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IGiovanni Battista Sommariva, avvocato, uomo politico e spregiudicato affarista vissuto tra XVIII e XIX secolo, è una figura quasi leggendaria della storia barasina e non solo: nelle vicende della Repubblica cisalpina, la realtà storica riguardo a Sommariva rimane ancora oggi offuscata da una sovrapposizione di notizie contrastanti e non verificabili, spesso tramandate in maniera acritica persino dalla storiografia ufficiale.
Fu Angelo Montenegro a tracciare forse il primo profilo biografico del Sommariva svincolato da tradizioni e preconcetti morali, con un approccio alle fonti rigoroso e la cautela del condizionale storico.
Ma per quale motivo, ad un personaggio che occupò un posto d’onore nelle vicende nazionali, la storia ha riservato un trattamento di tale noncuranza? Stefano Levati, ricercatore presso il Dipartimento di scienze della storia dell’Università degli Studi di Milano, esprime una posizione forte riguardo tale quesito, affermando che “Giovanni Battista Sommariva è stato vittima di un curioso caso di rimozione storiografica”.
Tale “rimozione” sarebbe avvenuta per identificare con Sommariva un periodo oscuro della vicenda rivoluzionaria in Italia: i venti mesi della Seconda cisalpina contrassegnati da soprusi operati dai militari francesi con la connivenza, in primis, proprio dell’avvocato lodigiano. Inoltre, a causa di una grave insufficienza documentaria, la vita di Sommariva si è prestata a diventare negli anni quell’intreccio di biografia e romanzo storico arrivato fino a noi.
Il prof. Levati, in occasione di una conferenza organizzata lo scorso 22 settembre dagli “Amici del Castello” in collaborazione con “Il Ponte”, ha comunque illustrato la possibilità di dissolvere alcune nebbie che ancora si aggirano intorno al personaggio barasino.
Di seguito diamo conto della relazione che il prof. Levati ha presentato al Castello Bolognini, in una serata troppo poco frequentata.
Le origini
Giovanni Battista Sommariva nacque a Sant’Angelo il 12 agosto 1757. La famiglia Sommariva pare non versasse in condizioni di miseria economica, come molti biografi hanno voluto far credere.
Si sa che il nonno già negli anni ’20 del Settecento dichiarava di possedere, oltre all’abitazione con corte e orto, 43 pertiche di terreno e tre case in affitto, che a Sant’Angelo gli garantivano una rendita annua di 180 lire. Nulla di esorbitante, ma la scelta di avviare a carriera ecclesiastica uno dei quattro figli, Michelangelo, così come fu per lo zio don Marco, conferma un certo livello culturale, nonché la precauzione di non disperdere un patrimonio famigliare che non doveva essere del tutto indifferente. Un patrimonio forse sufficiente al giovane Giovanni Battista per frequentare la Facoltà di Giurisprudenza all’ateneo di Pavia e laurearsi, il 19 giugno 1779, senza bisogno di ricevere favori dalla famiglia Bolognini.
Elementi come le umili origini e i riguardi dei feudatari verso il valente figlio del popolo sarebbero stati introdotti ad arte nella biografia del Sommariva, allo scopo di farlo apparire ribelle e ingrato nei confronti di quella nobiltà che lo aveva riscattato.
Si laureò, dunque, Giovanni Battista, e con l’avvio della carriera forense arrivò anche il matrimonio con Giuseppina Verga, celebrato il 26 febbraio 1784.
Giovanni Battista non divenne certo quel che si dice un avvocato di grido e sarebbe rimasto un professionista mediocre se non avesse cominciato ad interessarsi di politica.
Scalata al potere
All’inizio degli anni ’90, dopo la nascita del figlio Luigi, il matrimonio con Giuseppina entrò in crisi e si risolse con la separazione legale nel novembre 1792. Ma a fronte di una vita privata caduta in pezzi, quegli anni corrisposero all’avvio di una vita pubblica folgorante.
Già nel 1790 Ferdinando d’Asburgo collegava il nostro avvocato ai tentativi di far partecipare gli estimati agli organi rappresentativi fino ad allora appannaggio dell’aristocrazia. Risulta quindi falsa la ricostruzione secondo cui Sommariva, astuto opportunista, si precipitò a Milano solo all’indomani dell’arrivo delle truppe francesi e senza alcuna esperienza pregressa in campo politico. Giovanni Battista si trasferì stabilmente a Milano quantomeno dal 1786 e dieci anni dopo, all’arrivo dei francesi, faceva già parte di un club di notabili e nobili riformisti, un circolo di rivoluzionari moderati che andò particolarmente a genio al generale Bonaparte tanto da fargli scegliere tra le file del club 5 dei 16 nuovi municipalisti chiamati a guidare la città: tra questi Sommariva, che in meno di un anno divenne la vera eminenza grigia del Direttorio esecutivo. Sono le cronache dell’abate Mantovani a restituirci le immagini dei direttori intenti “a improvvisare la parte indicata loro dal comandante francese e suggeritagli dietro le scene dal segretario Sommariva”.
Sta di fatto che malgoverno, corruzione e soprattutto lo strapotere di Sommariva cominciarono a preoccupare Parigi da dove, nell’aprile 1798, partirono i primi ordini di epurazione. Il vento cambiò appena in tempo ed è difficile dire se il ritorno degli austriaci in città sia stato per il nostro una disgrazia o un colpo di sfacciata fortuna. Infatti, se gli austriaci provvidero all’immediata confisca dei beni di quello che anch’essi consideravano un uomo pericoloso, la fuga da Milano ed il forzato esilio parigino furono un’occasione per rinsaldare vecchie amicizie e intrattenere nuovi rapporti d’affari con gli alti papaveri dell’esercito, in particolare con Gioacchino Murat. Cosicché, al rientro dei francesi in Italia nel giugno 1800, Giovanni Battista fu il punto fermo in un vorticoso accentramento di potere che si concluse in un triumvirato ai vertici dello Stato, con Sigismondo Ruga e Francesco Visconti a fare il palo nel governo Sommariva.
Arricchirsi, con discrezione
Nei primi anni ’90 l’unica fonte di reddito dichiarata da Giovanni Battista era rappresentata dalla sua attività forense. Addirittura nel 1798 il povero avvocato fu costretto a far ricorso contro una tassazione a suo dire sproporzionata, considerando il licenziamento dalla carica di Segretario generale del Direttorio. Nonostante si ostinasse a dichiarare un reddito annuo di 5.500 lire, tra il ’98 e il ’99 Sommariva acquistò però una casa con stalla in Sant’Angelo al prezzo di 3.300 lire, 4 pertiche di orto a 1.800 lire e terreni per complessive 277 pertiche alla cifra di 36.863 lire. Seguirono una proprietà acquistata alla non modica somma di 450.000 lire e la partecipazione con il cugino Giuseppe Sacchi all’acquisto di 1.346 pertiche in località Ca’ dell’Acqua. Giovanni Bat-tista, però, prese la buona abitudine di trattare questi affari tramite procuratore, in modo da non comparire mai direttamente negli atti notarili se non a distanza di anni. Così si svolse anche il famoso acquisto di Villa Carlotta, concluso nel 1801 e formalizzato presso le autorità catastali soltanto nel marzo del 1817.
Evasione fiscale, truffe, tangenti. Sulle mille congetture che tentano di spiegare come Sommariva si sia potuto arricchire così tanto in così poco tempo, resta il fatto che nel 1805 il suo nome risultò tra le 169 famiglie del Regno che godevano di un’entrata superiore alle 60.000 lire annue. Il solito Mantovani ebbe a dire che “La sfacciataggine, con cui il governo delibera le aste e provvisioni di qualunque co-sa o genere abbisogni la Repubblica, è giunta al colmo della scelleratezza. Si contratta il 14 o il 15% preventivamente a Sommariva”. Calcoli recenti lo hanno smentito: l’abate arrotondava per difetto.
Il “declino”
La sfacciataggine denunciata da Mantovani fu punita in occasione della rifondazione della Repubblica: con la vicepresidenza Melzi, a nulla valse il ritorno a Parigi. Fu proprio Melzi ad istituire una commissione d’inchiesta su un caso di irregolarità nella fornitura di viveri all’esercito. Il coinvolgimento nel cosiddetto affare Borsi costò a Sommariva la carriera politica; Napoleone lo esonerò dal processo penale esclusivamente “per non compromettere le persone alle quali potrebbe asserire il Sommariva d’avere fatto parte delle sue birbanterie mediante de’ regali, delle somministrazioni etc.”. Iniziò quindi un periodo di rifiuto verso tutto ciò che Sommariva aveva rappresentato negli anni precedenti, e si finì per relegarlo in un angolo buio della Storia.
L’esclusione dalla politica non dovette comunque abbattere Giovanni Battista, che ebbe di che godere le proprie ricchezze. Già nel 1803 arrivava a Melzi una comunicazione che diceva, riguardo a Sommariva: “Si trova imbarazzato a spendere metà delle sue rendite. O questa è un’esagerazione per parte di chi la divulga, o bisogna aver ben accumulato per trovarsi in tale imbarazzo a Parigi”. Con una rendita annua stimata in 200.000 lire, non doveva trattarsi di un’esagerazione. Dal 1802 Sommariva continuò a viaggiare per star dietro agli affari più importanti: Belgio, Olanda, Inghilterra e Scozia fino al soggiorno in Baviera dove ottenne, non si sa ancora dietro quale motivazione, il titolo di Conte conferito dall’ordine di Sant’Uberto.
Alla sua morte, sopraggiunta a Milano nel gennaio 1826 “per vizi precordiali”, Giovanni Battista lasciò al figlio Luigi un patrimonio stimato in 16 milioni di lire, tra i più alti del Regno Lombardo Veneto. Luigi, intrapresa la carriera militare, non ebbe tempo di perpetuare il nome cosicché la straordinaria ricchezza andò dispersa e non esistono, oggi, dei Sommariva che possano vantare diritti d’eredità. Apprendiamo la notizia con malcelata delusione.
Giuseppe Sommariva