Il Ponte di Sant'Angelo Lodigiano Foglio d'informazione locale

Con UNITRE alla scoperta dell’impianto
di stoccaggio gas di Cornegliano Laudense

di Giancarlo Belloni

Cinque milioni di anni fa la Pianura Padana era un mare. Poi, nel corso del tempo geologico, l’abbassamento delle acque e i sedimenti dell’erosione delle montagne, portati a valle dai fiumi e dagli agenti atmosferici, hanno fatto emergere le terre. Ma in profondità, nel corso di centinaia di milioni di anni, la lenta decomposizione di sostanze organiche ha permesso la formazione di gas: quello stesso che utilizziamo oggi per scaldare le nostre case e per cucinare.
Dalla nostra pianura partì dunque l’era del metano in Italia con la scoperta di molti giacimenti di gas naturale, alcuni anche a due passi da noi, come quello di Cornegliano Laudense rimasto in attività dal 1951 al 1997.
Esaurito il metano presente nel sottosuolo della Muzza, da cinque anni a questa parte il giacimento è stato convertito nel più moderno impianto di stoccaggio di gas naturale italiano, e l’Unitre (Università delle tre età) di Lodi ha avuto l’opportunità di farlo conoscere sul campo ai suoi iscritti.
Il tutto è nato qualche mese fa, quando a margine di una conferenza con il responsabile dell’impianto di stoccaggio, la direzione di Ital Gas Storage, la società che gestisce il deposito, ha dato la disponibilità ad organizzare alcune visite in loco.

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Iniziativa interessante alla quale abbiamo aderito volentieri e che ora vogliamo raccontarvi, anche per condividere le rassicurazioni ricevute sui timori generati dal deposito di gas.
Quindi, lasciata la provinciale 235 e oltrepassata la cascina Sesmones, appena costeggiato il canale della Muzza, eccoci qui a fine marzo nella sala riunioni della centrale di stoccaggio. Siamo una ventina, e prima di avventurarci nel complesso facciamo una istruttiva chiacchierata con i responsabili: il direttore che ci spiega le funzioni dell’impianto, il geologo che ci chiarisce gli aspetti scientifici, il responsabile della sicurezza che ci tranquillizza con i tantissimi controlli che vengono effettuati e il project manager che ci mostra la sala di controllo e ci parla di nuovi progetti. Poi, bardati con una tuta bianca monouso, casco e scarpe antistatiche, sotto una pioggia gelida (questo l’unico neo della mattinata!) facciamo il giro del gigantesco impianto che pompa il gas nel sottosuolo per conservarlo ed estrarlo quando serve per farlo arrivare alle case e alle aziende...
Un giro con tante curiosità e domande, ma andiamo con calma!
Perché il gas viene stoccato? In Italia il gas viene immagazzinato in giacimenti esauriti per poi poterlo estrarre secondo le necessità. Le operazioni vengono svolte su richiesta delle aziende del gas che normalmente chiedono di iniettarlo nel giacimento durante i mesi estivi, quando la domanda è minore, per poi prelevarlo durante i mesi invernali quando la produzione di gas nazionale e le importazioni non sono sufficienti a soddisfare le richieste delle utenze civili e industriali. Come abbiamo visto recentemente a causa della guerra in Ucraina, lo stoccaggio del gas ha anche una funzione di riserva strategica per affrontare gli eventi geopolitici che condizionano le forniture.
Com’è fatto il giacimento nel quale viene immagazzinato il gas? I giacimenti non sono delle cavità piene di gas, come ingenuamente si potrebbe pensare. Il metano è “intrappolato” in un sistema geologico poroso e permeabile costituito da rocce, sabbie, ghiaie il cui spessore può variare dalle decine alle centinaia di metri. Nel giacimento di Cornegliano Laudense questo strato (detto roccia serbatoio) è posizionato a circa 1.500 metri di profondità ed è uniformemente ricoperto da rocce e argille impermeabili (dette roccia di copertura) in grado di inibire la risalita degli idrocarburi intrappolati. Mediante i pozzi che collegano la superfice col giacimento, il gas da stoccare viene iniettato nuovamente negli strati di “roccia serbatoio” in cui si trovava in origine.
Come arriva il gas da immettere nella centrale di stoccaggio? Il gas arriva alla centrale di stoccaggio attraverso un metanodotto, cioè un tubo che lo collega alla rete nazionale gestita da Snam Rete Gas. Sia l’iniezione che l’estrazione del metano avvengono mediante 14 pozzi posizionati in due distinte aree (quelle che passando sulla provinciale per Lodi sono indicate dai cartelli Cluster A e Cluster B) che collegano il giacimento con il blocco di trattamento e compressione del gas.
Quali sono le diverse fasi dell’impianto di stoccaggio? Le operazioni della centrale sono quelle del riempimento del deposito, dell’estrazione, del trattamento e della riconsegna del gas alla rete. Per iniettare il gas nel giacimento sono necessari potenti impianti di compressione che riescono a spingere il gas nello strato poroso del giacimento attraverso i pozzi di collegamento. L’estrazione e la riconsegna si compiono con un processo altrettanto complesso: una prima fase prevede la risalita del gas attraverso gli stessi pozzi utilizzati per l’iniezione, segue poi il trattamento per liberarlo da impurità (es. sabbia e acqua) dovute alla permanenza nel giacimento, per renderlo disponibile all’utilizzo. Il tutto si compie in grandi infrastrutture collegate da valvole, tubazioni e cisterne che si possono intravvedere anche dalla strada.
L’acqua che esce col gas come viene trattata? L’acqua estratta insieme al metano (molto salata, ricordo di quel mare di milioni di anni fa) viene separata dal gas attraverso due processi: il primo è il passaggio nel separatore a cicloni (un po’ come la centrifuga per l’insalata), e poi in colonne di disidratazione in grado di deumidificare il gas. L’acqua accumulata viene conferita con autobotti in impianti di trattamento esterni e poi immessa nel mar Adriatico. Nella centrale di Cornegliano stanno però attivando un impianto di depurazione e desalinizzazione interno che consentirà di conferire le acque ripulite nel canale della Muzza, con un processo virtuoso utile anche in caso di siccità.
C’è il rischio di dispersione di gas nell’ambiente? Il giacimento è stato dichiarato idoneo allo stoccaggio proprio per la profondità in cui si trova e per la roccia solida e impermeabile che lo sormonta che “sigilla” il giacimento e impedisce fughe di gas. Non c’è nemmeno nessun pericolo di esplosione proprio perché il metano è contenuto in stratificazioni rocciose dove non può penetrare ossigeno. I più anziani ricordano però che una fuga di gas c’è stata negli anni ’50, proprio qui vicino, a Caviaga... A Caviaga fu scoperto il primo giacimento di gas in Italia... Lì ci fu un errore nella messa in produzione del pozzo di estrazione che comportò episodi di infiltrazione di gas nel terreno. Il gas di Caviaga migrò in superfice verso San Martino in Strada e Cornegliano Laudense. Per risolvere il problema fu necessario perforare decine di pozzetti di sfiato per disperdere il metano fuoriuscito dalla sua sede naturale. Secondo i tecnici un evento simile è da escludere al giorno d’oggi grazie all’evoluzione delle tecnologie e all’esperienza fatta in questi anni.
E tutti gli alti camini che si vedono anche dalla strada? A che servono? Questi hanno una funzione di scarico di sicurezza e vengono impiegati solo se è necessario svuotare le tubazioni per qualche motivo, con ridotte emissioni controllate di gas. Ma non c’è niente che brucia nella sommità dei camini anche perché un sistema di spegnimento entrerebbe subito in funzione nel caso il gas emesso dovesse prendere fuoco. Un rischio, quello di un eventuale incendio, come di qualsiasi altra criticità, che troverebbe i sistemi di sicurezza pienamente presidiati 24 ore al giorno per 365 giorni l’anno, con impianti di superfice e in sottosuolo in grado di isolare completamente ogni eventuale situazione di pericolo.
Al termine della visita usciamo sollevati. Grazie alla conoscenza, da oggi in poi andando a Lodi guarderemo il gigante del gas con occhi più benevoli.