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IL PONTE
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ANNO 5- N.2(Versione web - anno 2 n.2) NUOVA SERIE APRILE 2001

Ricordare per non dimenticare

25 aprile 1945

Pasquale De Vecchi, partigiano della brigata "Giustizia e Libertà"

brigata

13 maggio 1973: decennale della mostra-mercato degli autoveicoli. Da sinistra: Gino Pasetti, pasquale De Vecchi e giuseppe orlando, presidente della confederazione generale del commercio e turismo.

Pasquale De Vecchi, classe 1922, ha militato nelle file della Resistenza come combattente della brigata "Giustizia e Libertà" operante nell’Oltrepò pavese, ottenendo il riconoscimento ufficiale di "Partigiano combattente" con la croce al merito di guerra.

Secondo i ricordi di De Vecchi – raccolti e gentilmente fornitici da Gino Pasetti -, egli avrebbe deciso di diventare partigiano in circostanze molto particolari per Sant’Angelo. Egli rammenta infatti come il sabato precedente al "Festòn" del 1944 vi fosse stato un terribile rastrellamento da parte dei fascisti. Molti giovani santangiolini, renitenti alla leva, erano braccati e costretti a scegliere fra il giuramento di fedeltà al fascismo o la deportazione in Germania. Fu il tragico giorno in cui i coniugi Semenza furono colpiti mortalmente dalla mitraglia dei fascisti, rei di non aver rispettato il coprifuoco e di essersi affacciati fuori casa per prendere uno dei loro figlioletti, in Via S. Martino. Ai funerali delle vittime partecipò, a rischio della vita e con sprezzo del pericolo, una delegazione partigiana. Portò una corona di fiori ed Ettore Mascheroni, sulla tomba dei coniugi, denunziò con vibranti parole di sdegno la barbara carneficina compiuta dai fascisti.

"Fu proprio durante quel corteo funebre", continua nel suo racconto De Vecchi, "che presi la decisione di andare in montagna. Lo feci con altri tre giovani di S. Colombano. Mi recai quindi a Romagnese dove mi presentai al comandante Giovanni Antoninetti della brigata "Giustizia e Libertà". Accolto finalmente nelle loro fila, dopo 15 giorni fui assegnato al gruppo "Volante" che aveva il compito di attaccare di sorpresa il nemico nelle strade e le caserme della "Guardia repubblicana", per sequestrare le armi e rifornire la nostra Brigata.

Ricordo che una volta abbiamo fermato un camion che trasportava stoffe requisite dai fascisti per essere consegnate al Comando militare tedesco. In pieno giorno, in un avventuroso viaggio costellato di insidie e di pericoli siamo riusciti a portare il camion, che viaggiava alla velocità massima di 30 chilometri orari da Belfuggito di S. Angelo a Romagnese. Abbiamo attraversato Monteleone, Chignolo Po, dove abbiamo attraversato con il traghetto, abbiamo poi attraversato Borgonovo, superando i comandi fascisti. Ci imbattemmo poi in una formazione partigiana che faceva riferimento al comando di divisione "Garibaldi" e che voleva giustiziare subito i conducenti del camion, nostri prigionieri. Dopo un lungo battibecco, siamo riusciti a portare prigionieri e camion al nostro Comando di Romagnese.

Lo stesso tragitto abbiamo percorso in un’altra azione. Il Comando partigiano aveva deciso di operare un’incursione a S. Angelo. Il comandante Antoninetti aveva organizzato l’operazione dopo un sopralluogo in paese. Durante l’ispezione nei pressi del castello incappò in una pattuglia della Guardia repubblicana che fortunatamente non lo riconobbe. Raggiunse subito le sorelle Merli, che avevano una segheria e di lì studiò il modo di attaccare il deposito di armi e vestiario della divisione S. Marco.

Il giorno successivo un drappello della "Volante" formato da 12 partigiani, di cui facevano parte il comandante Sandro Tonolli, il partigiano Giovanni Rognoni e il sottoscritto, entrarono in azione. Requisiti tre camioncini alla ditta Pila di S. Colombano, alle primissime ore del mattino assaltammo il deposito della S. Marco. Fatti prigionieri i militari posti a guardia del deposito, riempimmo i camioncini di coperte, cassette sanitarie e armi e rifacemmo il tragitto che da S. Angelo conduceva a Chignolo Po, usammo quindi il traghetto per l’attraversamento del Po e raggiungemmo infine Romagnese.

Ricordo i momenti drammatici di quella che noi chiamavamo ‘l’invasione dei Mongoli’ e il tentativo di accerchiamento della nostra formazione da parte dei tedeschi. Per salvare la formazione ed evitare la cattura ci fu ordinato di ‘sciogliere le file’ e ritirarsi in ordine sparso. Siamo così scesi a Bobbio organizzati in un gruppetto di sette, otto persone: ero in compagnia, tra gli altri, di Nino Boggi e di Dino Pasetti. Eravamo costretti a dormire di giorno nei cascinali, senza farci notare dai proprietari e dai contadini, che avrebbero rischiato la vita se colti ad aiutare i partigiani.

Superato quel momento di difficoltà feci ritorno dal comandante Antoninetti che risiedeva a Pianello e da questi ricevetti l’ordine di verificare tutte le postazioni nemiche perché le forze fasciste e tedesche stavano smobilitando e organizzando la ritirata.

Il 25 aprile a Borghetto riuscii a requisire un autoblindo ai tedeschi e, sempre agli ordini del comando partigiano che si era nel frattempo trasferito a Sant’Angelo, ho pattugliato il territorio santangiolino.

A Sant’Angelo, per merito dei partigiani e delle autorità religiose, soprattutto Don Nicola De Martino, tutti i cittadini, di qualsiasi tendenza politica, sono stati rispettati e fu evitato qualsiasi spargimento di sangue, a differenza di ciò che avvenne in altri paesi, vicini e lontani, dove si contarono decine di fucilati.

Conservo ancora un vivido ricordo di quei giorni e un debito di gratitudine per il comandante Antoninetti, Piero Speziani, Sandro Tonolli e per tutti gli altri compagni di lotta.

an.mo.

 

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