lotta partigiana
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«I vecchi operai cominciavano a lavorare su
noi giovani- prende a spiegare Osvaldo- per metterci contro il fascismo.
Cercavano di farci capire, all'interno della fabbrica, il sistema democratico.
Erano tutti comunisti e socialisti, si mettevano in qualche modo allo
scoperto. Ci mostravano i limiti del sindacato fascista, l'unico ammesso,
ci spiegavano i modi per poter eleggere democraticamente i nostri rappresentanti. Grecchi intanto tiene i contatti anche con Sant'Angelo, dove il movimento antifascista, pur tra mille
difficoltà, si mantiene in vita. E sarà anche il trait d’union tra gli ambienti meneghini di sinistra
e il Risorgimento Liberale, foglio clandestino antifascista stampato dal
barasino Biancardi.
Procedendo con ordine: «La resistenza a Sant'Angelo contò diversi gruppi. Io, seppur diciannovenne,
facevo parte del gruppo di San Rocco, con oltre una quindicina di persone.
Il luogo di ritrovo era di solito la trattoria San Giorgio, in via Cesare
Battisti, gestita da Carlo Avogadri, antifascista
di vecchia data. Fra i frequentatori del gruppo c’erano Vittorio Ferrari detto “geròn”, Gino Zocchi, Paolo Arati, Pietro Altrocchi
“el mètu”, Mario Gatti,
Nino Muciàcia, Lino Bertolini,
Pino Pagani, Rocco Cova, Luigi Cipelli e Antonio
Danelli. Io ero legato con Milano e con Gatti».
E' Gatti in qualche modo la mente del gruppo.
Lavora alle Ferrovie Nord, e gli agganci nel mondo dei trasporti risulteranno
indispensabili ai tre barasini per giungere
senza problemi in Val d'Ossola. A Sant'Angelo
è attivo una sorta di coordinamento dei gruppi antifascisti. Si riunisce
a casa dell'avvocato Sandro Tonolli, alla “guatra”. Solo i capi partecipano alle riunioni, Piero Speziani, Francesco Lombardi, Antonio Soini,
Mario Flaim, un certo Passariello,
capitano della finanza sfollato alla Gibellina,
e Gatti. Le riunioni in tempo di guerra, dopo il 25 luglio
del 1943, servono per restare uniti, per aspettare l'avanzata degli angloamericani
e poter prendere di sorpresa i fascisti. Grecchi
è giovane, partecipa soltanto a due incontri segreti, grazie all'esperienza
che ha maturato come staffetta con Milano. Le preoccupazioni maggiori
sono per i tedeschi stanziati alla Porchirola,
in direzione di Graffignana. Una trentina, un distaccamento di contraerea.
«Non si sapeva come avrebbero potuto reagire,
e allora mi mandarono in ispezione, per studiare la zona. Accanto al prato
dove c'erano i militari, correva una stradina sterrata. Dovevo vedere
fin dove arrivava, se ci fossero sbocchi, nel caso si decidesse di prenderli
di sorpresa. Ci andai in bici, la stradina arrivava fino in riva al Lambro. Con me avevo il lasciapassare tedesco perchè lavoravo alla Brown Boveri, e facevamo motori marini per scopi bellici, per i
motosiluranti. Poi però l'assalto partigiano alla contraerea nazista non
venne mai fatto».
«Io ero in contatto con lui, perchè la sera andavo a prendere i giornali antifascisti che
stampava clandestinamente, li mettevo sulla pancia, sotto la camicia,
e li portavo a Milano, alla Brown Boveri.
Uno dei capi lì era Guido Cremascoli, che poi
portava fuori dalla fabbrica i giornali. Cremascoli
fu anche il primo sindaco di Bascapè». Nel rastrellamento del giugno '44 in Val d'Ossola, che in qualche modo ritarda la partenza di Grecchi, Gatti e Danelli, muore
Mario Flaim. «Fra i compagni della squadra, ne avevo due
dei sette che erano con Mario nel rastrellamento nazifascista di giugno.
Raccontarono che quando furono circondati in cima al monte Marona,
sopra Intra, Mario rimase alla mitraglia sparando
e aprendo una breccia, dando modo ai compagni di fuggire. Morì così. In
quel rastrellamento la nostra brigata ebbe più di 100 morti; a Fondo Toce furono 43, a Pogallo 17 i fucilati.
E in ogni paese poi altre fucilazioni come rappresaglia». Grecchi e gli altri due partono quindi da Sant'Angelo all'inizio di luglio, con le Ferrovie Nord fino
a Laveno Mombello
in Lombardia. Poi l'attraversamento del lago Maggiore, fino a Intra.
Per prendere il traghetto i barasini superano
un posto di blocco fascista grazie alle conoscenze di Gatti. Da Intra, con un tram arrivano fino a Premeno,
capolinea, dove passano la notte. «Il giorno dopo un ragazzino ci ha portato a
un distaccamento dei garibaldini, a Curgè…erano
quattro baite per il pascolo, a mille metri. Ognuno prese un nome di battaglia.
Il mio era “Calippo” e per Danelli,
invece, il nome fu “Sant'Angel”. Gatti rimase
a Premeno, perché le condizioni fisiche gli impedirono di salire
tra i monti con noi. L'ultimo scorcio di monti italiani prima del
confine è la Val Canobina. La raggiungono a
piedi, sfidando la neve caduta da due giorni. Appena in tempo ad evitare
l'accerchiamento della valle, Grecchi e Danelli
arrivano oltreconfine a Gondo.
La disinfezione e poi finiscono in un campo gestito dagli svizzeri. Il
loro status è quello di internati. Nei campi, anche russi, tedeschi, francesi
e tanti ebrei. «Finita la guerra non potevamo muoverci senza
il permesso svizzero. Sono tornato a casa il 2 luglio del 1945. Prima
ci hanno riuniti a Como, e poi via verso Sant'Angelo.
Danelli è fuggito un mese prima, da una caserma svizzera.
Gatti invece è tornato dalla Val d'Ossola subito
dopo il 25 aprile». Grecchi rientra a Sant'Angelo
il sabato della vigilia del “festòn”: Lorenzo Rinaldi |
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