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IL PONTE
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ANNO 7 - N. 2 (Versione web - anno 4 n.2) NUOVA SERIE APRILE 2003

25 aprile: anniversario della Liberazione

La lotta partigiana di Osvaldo Grecchi

Sui monti della Val d’Ossola con Antonio Danelli e Giovanni Gatti

lotta partigiana Sono tre i santangiolini che dal luglio al novembre 1944 hanno preso parte alla lotta partigiana sui monti della Val d'Ossola, nell' 85esima Brigata Garibaldi: Osvaldo Grecchi, classe '25, Antonio Danelli, classe '24 e Giovanni Gatti, antifascista della prima ora, che abitava in via Barasa nel quartiere San Rocco.
L'intera vicenda dei tre in Val d'Ossola, partiti da Sant'Angelo immediatamente dopo l'arresto di Umberto Biancardi per mano fascista, è raccontata da Osvaldo Grecchi.
Osvaldo nasce nel mese di aprile del 1925 a Casalpusterlengo, da Giuseppe e da Maria Galetti di Cremona. Primo di due figli maschi, ha anche due sorelle maggiori, e con la famiglia approda dalla bassa a Sant'Angelo quando ha cinque anni. Il padre, casaro, si trasferisce dalla Polenghi alla locale latteria Mascheroni. Osvaldo frequenta le scuole fino alla quinta, poi a partire dai 15 anni inizia a lavorare come fresatore alla Brown Boveri di Milano.

Le strade che lo portano da giovane assertore degli ideali di libertà a partigiano sui monti piemontesi, schivando le pallottole nazifasciste, sono due. Alla Brown Boveri arriva nel 1940, ed entra in contatto con il gruppo interno antifascista: tutti  milanesi vecchio stampo, con robusti ideali contro il regime, rafforzati in qualche caso dalla dottrina comunista.

«I vecchi operai cominciavano a lavorare su noi giovani- prende a spiegare Osvaldo- per metterci contro il fascismo. Cercavano di farci capire, all'interno della fabbrica, il sistema democratico. Erano tutti comunisti e socialisti, si mettevano in qualche modo allo scoperto. Ci mostravano i limiti del sindacato fascista, l'unico ammesso, ci spiegavano i modi per poter eleggere democraticamente i nostri rappresentanti. Al sabato per noi giovani c'era il “premilitare”: il sabato fascista.  A Sant'Angelo ci riunivano al campo sportivo. Ricordo che c'era un muro, noi lo dovevamo scavalcare, e c'erano delle corde appese su cui arrampicarci. L'uniforme del fascio la indossavamo soltanto per le feste nazionali, come ad esempio l'anniversario della marcia su Roma dell' ottobre 1922.»

Grecchi intanto tiene i contatti anche con Sant'Angelo, dove il movimento antifascista, pur tra mille difficoltà, si mantiene in vita. E sarà anche il  trait d’union tra gli ambienti meneghini di sinistra e il Risorgimento Liberale, foglio clandestino antifascista stampato dal barasino Biancardi.

Procedendo con ordine: «La resistenza a Sant'Angelo contò diversi gruppi. Io, seppur diciannovenne, facevo parte del gruppo di San Rocco, con oltre una quindicina di persone. Il luogo di ritrovo era di solito la trattoria San Giorgio, in via Cesare Battisti, gestita da Carlo Avogadri, antifascista di vecchia data. Fra i frequentatori del gruppo c’erano Vittorio Ferrari detto “geròn”, Gino Zocchi, Paolo Arati, Pietro Altrocchiel mètu”, Mario Gatti, Nino Muciàcia, Lino Bertolini, Pino Pagani, Rocco Cova, Luigi Cipelli e Antonio Danelli. Io ero legato con Milano e con Gatti».


Rovegro (nella zona di Intra, sul Lago Maggiore), 1944.
Da sinistra: Antonio Danelli, Ricchini (un contrabbandiere della Val d'Ossola) e Osvaldo Grecchi

E' Gatti in qualche modo la mente del gruppo. Lavora alle Ferrovie Nord, e gli agganci nel mondo dei trasporti risulteranno indispensabili ai tre barasini per giungere senza problemi in Val d'Ossola. A Sant'Angelo è attivo una sorta di coordinamento dei gruppi antifascisti. Si riunisce a casa dell'avvocato Sandro Tonolli, alla “guatra”. Solo i capi partecipano alle riunioni, Piero Speziani, Francesco Lombardi, Antonio Soini, Mario Flaim, un certo Passariello, capitano della finanza sfollato alla Gibellina, e Gatti.

Le riunioni in tempo di guerra, dopo il 25 luglio del 1943, servono per restare uniti, per aspettare l'avanzata degli angloamericani e poter prendere di sorpresa i fascisti. Grecchi è giovane, partecipa soltanto a due incontri segreti, grazie all'esperienza che ha maturato come staffetta con Milano. Le preoccupazioni maggiori sono per i tedeschi stanziati alla Porchirola, in direzione di Graffignana. Una trentina, un distaccamento di contraerea.

«Non si sapeva come avrebbero potuto reagire, e allora mi mandarono in ispezione, per studiare la zona. Accanto al prato dove c'erano i militari, correva una stradina sterrata. Dovevo vedere fin dove arrivava, se ci fossero sbocchi, nel caso si decidesse di prenderli di sorpresa. Ci andai in bici, la stradina arrivava fino in riva al Lambro. Con me avevo il lasciapassare tedesco perchè lavoravo alla Brown Boveri, e facevamo motori marini per scopi bellici, per i motosiluranti. Poi però l'assalto partigiano alla contraerea nazista non venne mai fatto».

11 Dal 25 luglio '43 al giugno '44 Grecchi resta a Sant'Angelo e lavora ancora Milano. La sua partenza, con Gatti e Danelli è fissata per l'inizio di giugno, ma prendono la via dei monti soltanto con i primi di luglio, terminato il rastrellamento improvviso in Val d'Ossola, alla ricerca dei partigiani già attivi. Gatti mantiene dei legami proprio in quella valle, con la brigata garibaldina. Conosce i capi, comunisti, anche se nella brigata l'elemento comune più che altro è l'antifascismo. Il periodo della fuga da Sant'Angelo, e in parte anche il motivo, coincidono con la vicenda di Umberto Biancardi.

«Io ero in contatto con lui, perchè la sera andavo a prendere i giornali antifascisti che stampava clandestinamente, li mettevo sulla pancia, sotto la camicia, e li portavo a Milano, alla Brown Boveri. Uno dei capi lì era Guido Cremascoli, che poi portava fuori dalla fabbrica i giornali. Cremascoli fu anche il primo sindaco di Bascapè».

Nel rastrellamento del giugno '44 in Val d'Ossola, che in qualche modo ritarda la partenza di Grecchi, Gatti e Danelli, muore Mario Flaim.

«Fra i compagni della squadra, ne avevo due dei sette che erano con Mario nel rastrellamento nazifascista di giugno. Raccontarono che quando furono circondati in cima al monte Marona, sopra Intra, Mario rimase alla mitraglia sparando e aprendo una breccia, dando modo ai compagni di fuggire. Morì così. In quel rastrellamento la nostra brigata ebbe più di 100 morti; a Fondo Toce furono 43, a Pogallo 17 i fucilati. E in ogni paese poi altre fucilazioni come rappresaglia».

Grecchi e gli altri due partono quindi da Sant'Angelo all'inizio di luglio, con le Ferrovie Nord fino a Laveno Mombello in Lombardia. Poi l'attraversamento del lago Maggiore, fino a Intra. Per prendere il traghetto i barasini superano un posto di blocco fascista grazie alle conoscenze di Gatti. Da Intra, con un tram arrivano fino a Premeno, capolinea, dove passano la notte.

«Il giorno dopo un ragazzino ci ha portato a un distaccamento dei garibaldini, a Curgè…erano quattro baite per il pascolo, a mille metri. Ognuno prese un nome di battaglia. Il mio era “Calippo” e per Danelli, invece, il nome fu “Sant'Angel”. Gatti rimase a Premeno, perché le condizioni fisiche gli impedirono di salire tra i monti con noi.
La vita era frenetica: ci spostavamo continuamente per scombussolare i montanari e impedire che qualcuno di loro riferisse ai nazifascisti dove eravamo. Facevamo puntate giù a Intra, a Fondo Toce, all'assalto di qualche caserma per far rifornimento di armi o dai fornai per comprare farina per il pane. Ci muovevamo in piccoli gruppetti, venti o trenta alla volta.
A Intra c'erano i fascisti, mentre i nazisti erano a Novara e in Val Sesia. Ci siamo scontrati più volte perchè volevano liberare la Val d'Ossola, da cui passava un treno che arrivava dalla Svizzera. Le armi dalla Germania, tramite il treno, arrivavano in Piemonte. Noi creavamo difficoltà nei collegamenti, anche se non potevamo certo far saltare il treno, che trasportava anche passeggeri civili».
Fino al novembre 1944 Grecchi e Danelli sono sui monti piemontesi, poi un altro grande rastrellamento e la fuga verso la Svizzera.
Grecchi continua: «Dalla postazione partigiana di Miazzina si controllava tutto il lago Maggiore. Continuavano a traversarlo barche cariche di gente. I nostri informatori ci dissero che c'erano un sacco di fascisti a Intra. Abbiamo previsto il rastrellamento e siamo fuggiti. Prima abbiamo fatto un po' di resistenza, poi  abbiamo sparato per tenerli lontani, ma risalivano la valle con gli autoblindi e noi non li potevamo certo fermare con il moschetto. La gente del posto ci ha aiutato molto in quell'occasione. Nella fuga, passammo per Cicogna, un paesino prima della Val Grande, dove la notte si sentivano ancora i lupi. Una ragazzina mi ha dato mezzo zaino di noci. Sono state provvidenziali: per i due giorni successivi siamo rimasti a digiuno. E poi ci indicavano dove erano i fascisti, e i montanari che lavoravano a Intra salivano in valle portando notizie fresche».

L'ultimo scorcio di monti italiani prima del confine è la Val Canobina. La raggiungono a piedi, sfidando la neve caduta da due giorni. Appena in tempo ad evitare l'accerchiamento della valle, Grecchi e Danelli arrivano oltreconfine a Gondo. La disinfezione e poi finiscono in un campo gestito dagli svizzeri. Il loro status è quello di internati. Nei campi, anche russi, tedeschi, francesi e tanti ebrei.
Prima di entrare in Svizzera però, nascondono le armi. All'inizio non vengono a contatto con la popolazione. Nel canton tedesco, poi, gli svizzeri sono ostili:  i filotedeschi, sono infastiditi dal fazzoletto rosso al collo, segno distintivo dei partigiani garibaldini.
Nel febbraio '45 Grecchi è mandato in un altro campo, al confine con la Germania. E poi ancora lavora in campagna, dorme a casa di contadini svizzeri, sempre però con lo status di internato.

«Finita la guerra non potevamo muoverci senza il permesso svizzero. Sono tornato a casa il 2 luglio del 1945. Prima ci hanno riuniti a Como, e poi via verso Sant'Angelo. Danelli è fuggito un mese prima, da una caserma svizzera. Gatti invece è tornato dalla Val d'Ossola subito dopo il 25 aprile».

Grecchi rientra a Sant'Angelo il sabato della vigilia del “festòn”:
«In paese sapevano che eravamo partigiani. E ci hanno accolto bene».

 

Lorenzo Rinaldi

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