Il dialetto barasino:
le ragioni della diversità


Immagini di Sant'Angelo nella prima metà del '900: la starda del Poscastello

Il Pubblichiamo ampi stralci di un articolo dell’avvocato Pietro Madini (nato nel 1864 nella vicina Bargano di Villanova del Sillaro e morto a Milano nel 1938), apparso nel 1928 sulla rivista “Archivio Storico Lodigiano”, che tenta di dare una spiegazione alla singolarità della nostra parlata. Nel solco di quanti vi avevano colto assonanze con i dialetti veneto e genovese, Madini privilegia la pista ligure, sostenuta, a suo dire, da una giustificazione socio-economica (i traffici di cordame e pizzi che i nostri avi svilupparono specialmente con Genova, più facilmente raggiungibile attraverso il valico della valle di Bobbio) prima che dalla somiglianza dei suoni.
Alle tesi del Madini risponderà Giovanni Pedrazzini Sobacchi nel febbraio del 1929 sulla stessa rivista, (articolo riportato nel volume “Sant’Angelo Lodigiano ed il suo Mandamento nella Storia e nell’Arte” pagg. 151–153). Pedrazzini Sobacchi rivendicò, per il nostro dialetto, una unicità figlia di contaminazioni più complesse di quelle supposte dal Madini e preannunciò un suo approfondimento sulla materia che, a causa della prematura scomparsa, non riuscì a produrre.
Nell’articolo del Madini, risulta interessante la tesi del “clan” che spiegherebbe il carattere isolazionista del dialetto barasino; tesi, questa, in qualche modo condivisa anche dal Pedrazzini Sobacchi che la riconduce però agli “Spagnuoli” della Costa presso i quali, ancora nel secondo ‘800, vigevano regole quali il veto assoluto di amoreggiare o di contrarre matrimonio fuori dal quartiere.
Giancarlo Belloni.

Il "lattaio" con i caratteristici contenitori


Esiste nel territorio lodigiano un dialetto strano, curioso; non si può dire se bello, ma è certo caratteristico, e differente da tutte le altre parlate locali, da cui si stacca, per la eccezionale peculiarità della pronuncia, della terminologia e della formazione speciale di determinate parole. E’ il dialetto che si parla nella borgata di Sant’Angelo Lodigiano; il così detto dialetto barasino; e il più singolare si è che esso è limitato alla breve cerchia della borgata, e in modo speciale a determinati quartieri periferici, i più popolari e abitati dalla popolazione più antica e genuina (i borghi).
Anche questo dialetto è fatalmente destinato, come tutti gli altri, se non a scomparire, certo a trasformarsi e a perdere le proprie caratteristiche […] Però ancora adesso un Santangiolino, che parli il suo gergo, lo si riconosce tra mille, a distanza, per l’accento e l’originale tonalità della voce.
Come si può spiegare questo interessante fenomeno? […] L’Avvocato G. Baroni, l’egregio direttore di questa Rivista, […] scrive che “l’inflessione di voce nella pronuncia del dialetto barasino consuona un po’ con quella del Veneto, e più ancora con quello zenesu (genovese N.d.R.). Ciò fa pensare alle relazioni che da antico corsero tra Sant’Angelo e Venezia e Genova, a causa principalmente del commercio dei cordami e dei pizzi.”
E’ più che certo che le due più antiche piccole industrie barasine, la fabbricazione dei cordami e dei pizzi al tombolo (che sono del resto oggi ancora in vigore), trovavano in passato il loro naturale smercio in Genova, i cordami per gli usi marinari, e i pizzi per la loro grande diffusione, aiutata da Venezia e da Genova, che li producevano anche in larga scala.
La mano d’opera barasina andava quindi anonimamente ad alimentare quella vasta esportazione mondiale. Ma più che con Venezia, i barasini avevano maggiori comodità di comunicazioni colla capitale ligure […]. Questa continuità di rapporti deve aver cominciato ad influire sulla pronuncia del dialetto, che evidentemente andava prendendo a prestito dal dialetto ligure parole ed espressioni.
Ma ciò solo non basta forse a spiegare questo fenomeno di osmosi dialettale.
Un’altra, e certo più importante ragione deve essere intervenuta: i matrimoni. Doveva probabilmente succedere che i mercanti santangiolini, lasciando Genova e rivalicando i monti per tornare alle loro sedi, arrivassero talora accompagnati da donne genovesi. Queste, decantando ai compaesani le bellezze della terra ricca, pingue e ubertosa che circondava la borgata lambrana, esercitavano un grande richiamo a fratelli, cugini, nipoti, conoscenti, che, affluendo di ma-no in mano, venivano a formare uno speciale conglomerato etnico di una popolazione, legata da affinità, interessi e parentele, e continuata da un sistema di selezione, come nelle società zingaresche e israelitiche, e che finivano così a creare, gradatamente, coi matrimoni gelosamente chiusi e ristretti, quello che nella antica Gaulia inglese si chiamava clan. […]. Queste lente infiltrazioni liguri lasciarono palesi impronte nel dialetto di quella popolazione, la quale, per le ragioni anzidette, e perchè non usava dislocarsi per dedicarsi all’agricoltura, rimaneva fedelmente attaccata alle sue dimore. Per questo motivo anche il suo speciale dialetto rimase sempre ristretto nella cerchia del borgo barasino, quasi immutato.


Immagini di Sant'Angelo nella prima metà del '900:
uno scorcio della piazza Maggiore con la vecchia chiesa parrocchiale


[…] Chi abbia un po’ di famigliarità col vernacolo ligure, vi trova una evidentissima somiglianza col barasino, coi suoi suoni alternati, di tonalità musicali trascinate, specie negli interrogativi e negli esclamativi. Un dialogo animato fra due autentici barasini è certo qualche cosa di originale e pittoresco.
La caratteristica più spiccata del dialetto barasino consiste nel far terminare un gran numero di parole in “e” o in “u”, a seconda dei borghi più popolari (San Martino, la Costa) el vege, el puvrète, el panarote, el bègliète, l’öve, scrite, lüghide, l’ose, dulse, drite, pelade, balurde, che diventano el puvrètu, el panarotu ecc. nell’altro quartiere.
Una grandissima affinità tuttora esistente fra il dialetto genovese e il barasino è nel participio, che in molti casi ha la stessa terminazione o simigliante; il genovese dice pigiào (preso), rivào (arrivato) ecc. e il barasino dice ciapadu, rivadu ecc.
Nel dialetto genovese sono pure frequenti le terminazioni in “e” o in “u”: … se möve, felisse, ciöve (piove), l’öve, la ciave… bravu, unestu, el mustu, fatu, ecc.
Le terminazioni in “én” dei diminutivi (fiulén, ecc.) è un’altra delle caratteristiche barasine, ma non ha riscontro nel dialetto genovese. […].
Ma per darsi un’idea delle analogie fra i due vernacoli uno dovrebbe leggere la magnifica raccolta di poesie genovesi di Martino Piaggio, detto l’Esopo Genovese, uno dei più fecondi e originali verseggiatori dialettali d’Italia, unico nel suo genere. Leggendo quelle poesie, così geniali, facete, salaci ed argute, viene fatto realmente di ricordare “quel vernacule salade e suggestive, ragò condide de zenesu che si parla nel borgo dei Barasa”.
Pietro Madini

Da “Archivio Storico per la Città e i Comuni del Circondario e della Diocesi di Lodi” anno XLVII N. 3° - 4°
“Nel dialetto lodigiano – il dialetto barasino: S. Angelo Venezia? S. Angelo Genova”.

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