Le memorabili imprese sportive di Francesco Daccò, detto “Cecòn”
Una vita con la bicicletta nel sangue


Francesco “Cecòn” Daccò

Anno 1906: La Gazzetta dello Sport, organizza sul tracciato Milano-Sanremo una corsa automobilistica, in pompa magna e con notevole dispendio pubblicitario. Su trenta vetture partite, solamente due vedono il traguardo: un fiasco totale. È il momento adatto per sferrare un affondo epocale in quella sfida che attraverserà tutto il secolo della modernità: uomo contro macchina.
Così l’anno seguente la testata sportiva decide di puntare sulla fatica dei corridori in bicicletta, piuttosto che sulle velocità folli delle tecnologicamente avanzate vetturette (le moderne utilitarie). La mattina del 14 aprile, al ritrovo presso l’Osteria della Conca Fallata, alla periferia di Milano lungo il Naviglio Pavese, piove e fa freddo e si presentano solo 33 degli oltre 60 iscritti alla corsa; tra di loro c’è Petit Breton, che arriva primo al traguardo precedendo Garrigou e il “diavolo rosso” Giovanni Gerbi. Ormai la storia del ciclismo si sta scrivendo e la Milano-Sanremo diventerà presto un’appassionante attrazione, la “Classicissima” per eccellenza, gara di apertura dei futuri campionati del mondo e banco di prova nonché consacrazione per i più grandi ciclisti di tutti i tempi, da Bartali a Coppi, da Girardengo a Mercks, da Binda a De Vlaeminck… a Francesco Daccò, detto “Cecòn”.
Il santangiolino Francesco Daccò è ciclista per passione da una vita, ma solo dopo i quarant’anni ha potuto co-minciare a dedicare tempo a questo sport, che pratica a livello amatoriale con l’amore e la costanza di un professionista. “Quasi quarant’anni di corse” dice lui, ma a guardarlo non tornano i conti e allora gli si chiede l’età: “I prossimi sono 82…” risponde, eppure il tempo sembra essersi fermato alle foto degli anni ’80.


Una bellissima immagine di “Cecòn” mentre scala, in bello stile, le Tre Cime di Lavaredo


“Cecòn”, di Milano-Sanremo ne ha corse 17, più 13 giri delle Dolomiti e un numero incalcolabile di altre gare (tra le 50 e le 55 all’anno per una media di 24.000 Km). Fare un elenco completo delle sue vittorie, piazzamenti e record è pressoché impossibile: si può solo ripercorrere in volata i suoi ricordi di scalatore a quota 2.800 nei 234 Km in solitaria durante una Cuneo-Cuneo; oppure giù in picchiata tra le valli piacentine, quando nell’85 “Cecòn” ha segnato il miglior tempo nei 226 Km del gran fondo.
Il ciclista barasino ha partecipato a diversi campionati italiani; ha vinto dieci campionati lodigiani e due della provincia di Milano, uno dei quali in volata a Paullo e l’altro a Seregno, nell’86, dopo una fuga di 60 Km in cui gli avversari devono essersi dimenticati di lui tanto li aveva distaccati. Sembra davvero di inseguire un velocista in fuga mentre “Cecòn” racconta le sue imprese, le arrampicate sullo Stelvio, i due secondi posti alle provinciali di Brescia, il secondo posto in una gara disputata all’autodromo di Monza: “Secondo” precisa, “ma perché ho sbüsade”.
“Cecòn” è un atleta che ha conosciuto i tracciati più impervi sotto la pioggia, il vento, sui sentieri “e le piste dei carri gelate, come gli sguardi dei francesi”: vengono in mente i testi di Paolo Conte quando “Cecòn” narra della sua partecipazione alla Parigi-Roubaix del 1992. Questa corsa, considerata da molti “la Regina”, si snoda lungo 260 Km senza rilevanti salite ma con circa 50 Km di pavé che fanno davvero selezione, per terminare nel velodromo della cittadina francese.
“Quando sono arrivato” racconta “Cecòn”, “ho consegnato i documenti per segnare il tempo. Allora i commissari di gara hanno cominciato a chiamarmi: li sentivo gridare Italien, italien! Non ci credevano che avevo 68 anni ed ero arrivato in fondo alla gara, e mi hanno fatto fare un giro in più, il giro d’onore!”.
Il ciclismo deve averlo mantenuto in forma se gli è capitato persino, da socio Avis, di donare il sangue la mattina ed essere pronto al pomeriggio per una gara a Vidardo: probabilmente en-trambe le cose fanno bene alla salute.
E oggi? “Cecòn” ammette di essere un po’ fermo nell’ultimo periodo, a causa di un insistente mal di schiena: “Ma apéna el me pasa…”.
Giuseppe Sommariva

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