Nell’esempio dei coniugi Bassi l’intraprendenza dei santangiolini nel mondo

Una storia sudafricana

Il Kenilworth Racecourse a Città del Capo, in Sudafrica, è un grande ippodromo in una grande metropoli. Ne siamo ben lieti, visto che le corse dei cavalli costituiscono là uno sport dal vivo interesse internazionale.
Ma la capitale sul Capo di Buona Speranza sta nell’altro emisfero, e questo fatto potrebbe già fargli assumere per noi quell’importanza relativa, delle cose troppo lontane. Quand’anche ci aggiungessimo che coll’ippica neppur ce l’intendiamo poi tanto, la distanza si farebbe ancora maggiore. A legarci personalmente a quel posto però è la storia interessante di due persone delle nostre parti emigrate laggiù qualche anno orsono, che tuttora lì vivono e lavorano e, con intraprendenza e abilità d’altri tempi, hanno reso viva l’italianità nel mondo.
Ma soprattutto, quel vecchio detto per cui Sant’Angelo e dintorni, stanno sempre in ogni dove.
A Città del Capo, presso il Kenilworth Centre dell’omonimo ippodromo, Nucci Altrocchi e Salvatore Bassi (di San Colombano, ma con parentela santangiolina) gestiscono oggi un centro di ristorazione, frutto della professionalità maturata dopo anni di esperienze alberghiere, là dove si stabilirono dopo il loro matrimonio nel 1970.
Da alcuni anni vivono in un gradevole quartiere a Città del Capo, e insieme ai loro figli Massimo e Micaela, hanno avviato l’azienda di catering nel grande ippodromo sudafricano, che raduna ogni anno migliaia di persone per gli eventi sportivi ed è divenuto negli ultimi tempi anche un grande centro congressuale e multifunzionale in Sudafrica. Con loro una quarantina di dipendenti fissi, che arrivano durante le particolari ricorrenze locali, anche a trecento unità.
L’esempio dei nostri due connazionali, nonché concittadini, mostra quanto il sacrificio di chi si è trasferito dall’altra parte del mondo sia premiato talora dal successo, non dimenticando mai comunque le proprie origini lodigiane e italiane.
“Il Ponte” li ha raggiunti via mail e nelle loro parole c’è una storia che è anche un po’ la nostra storia: quella che forse, a volte, la nostra città non sempre ricorda.

Un’immagine dall’alto di
Città del Capo con l’ippodromo
e il Kenilworth Centre

L'INTERVISTA

Penso che vi si possa giudicare una rappresentanza significativa di Sant’Angelo Lodigiano in un posto così lontano, e mi piacerebbe innanzitutto chiedervi cosa vi ha spinti fino lì, fino a Città del Capo…
Da più di 50 anni - racconta Salvatore - avevo zii che abitavano in Sud Africa e, in famiglia, il Sud Africa era un argomento abbastanza comune. Il lunedì di Pasqua del 1969, durante il pranzo coi miei cugini e comuni amici qualcuno ha lanciato l’idea di andare in Sud Africa. Un mio zio era al momento in Italia per assumere personale per due alberghi che avrebbero aperto nel 1970. Ho deciso allora di venire qui e vedere di persona come era la situazione. Sono arrivato a Città del Capo nell’agosto del 1969 e sono rimasto stupito dalla bellezza e dal clima di questo posto. Così sono ritornato nel febbraio del 1970, mi sono sposato e con mia moglie siamo ripartiti per Città del Capo.


Da sinistra Salvatore Bassi, i figli Micaela e Massimo e Nucci Altrocchi

Da quando avete in gestione questo Reparto di Ristorazione?
Per sette anni ho lavorato in albergo e nel 1977 ho preso la gestione del catering al Kenil-worth Race Course, l’ippodromo. Le corse dei cavalli al galoppo qui sono molto seguite, e il Kenilworth Race Course, il complesso, è molto grande: consiste di tre sale banchetti, due ristoranti, sei bar e un centro conferenze.
Quali sono i periodi di la-voro più intenso al Kenil-worth Centre (quelle particolari ricorrenze locali che vi fanno passare da quaranta a circa trecento dipendenti)?
L’ippodromo è aperto tutto l’anno, si corre due volte alla settimana, ma la stagione delle corse va dal primo novembre alla fine di febbraio. Durante la stagione nei ristoranti ospitiamo fino a mille persone, ma l’ultimo sabato di gennaio si corre la corsa più grande dell’anno: il “J&B Metropolitan” attrae gente da tutto il mondo che ha interesse per l’ippica. Per la comunità del Capo è l’avvenimento mondano più importante dell’estate. L’anno scorso erano presenti 50.000 persone, e noi abbiamo fatto il catering per più di 5000!
Come va la cucina italiana all’estero, soprattutto in mete esotiche come quella sud-africana?
Noi produciamo un catering con specialità locali e internazionali, ma è la cucina italiana che ha la parte predominante. Come in tutto il resto del mondo, la cucina Italiana è la più amata. In Sud Africa i ristoranti italiani sono i più numerosi, purtroppo non tutti sono genuinamente italiani. Tanti ristoratori che di italiano non hanno nulla, ne sfruttano il nome e la popolarità della cucina.
I vostri figli sono sempre stati con voi o si sono aggiunti in seguito, per una conduzione familiare della vostra azienda?
Il “Race Course Caterers” è una compagnia familiare. Oltre al sottoscritto e la moglie ci sono i nostri figli, Micaela nata nel 1972 e Massimo nel 1975. Dopo le scuole superiori Micaela ha ottenuto un diploma in pubbliche relazioni e Massimo un diploma alla scuola alberghiera, entrambi i corsi per una durata di tre anni. Poi la compagnia assume a tempo pieno venticinque persone e part-time circa trecento. Così, oltre al catering nel giorno delle corse abbiamo tre sale banchetti che possono accogliere fino a mille persone, e proprio i banchetti sono la parte più grande del nostro lavoro. Il centro conferenze, aperto da poco, è gia abbastanza usato.
Ma com’è la vita a Città del Capo?
Per quello che riguarda la vita a Città del Capo, molto è cambiato negli ultimi 10 anni. Sotto il governo dei bianchi la criminalità era inesistente, la burocrazia funzionava e la disoccupazione era al minimo. Con la salita al potere dell’ANC, si sono aperte le frontiere a tutta l’Africa. Milioni di persone hanno invaso il Sud Africa, intorno alle grandi città sono sorte bidonvilles, la disoccupazione è salita al 40%, con la conseguenza di un aumento preoccupante della criminalità.
Qual’è l’invito che fareste a chi si appresta a giungere da quelle parti per turismo o lavoro, e cosa vorreste ag-giungere quindi in merito alla vostra esperienza?
L’economia sudafricana è stabile, ma non è certo un paese dove immigrare al momento. Molti giovani sudafricani, di tutte le razze, finite le scuole cercano lavoro in Inghilterra o Australia. Ti posso garantire che emigrare in un paese straniero con una lingua, abitudini e cultura diverse è un’esperienza molto difficile. Con me, quando abbiamo aperto i due alberghi nel 1970, sono venute un centinaio di persone dall’Italia. Molte di loro, come capita per tutte le persone che lavorano in alberghi, finito l’anno di contratto sono ritornate in Italia. Diversi sono rimasti, qualcuno ha aperto pizzerie o altri ristoranti. Devi sapere che durante la Seconda Guerra Mondiale, molti italiani prigionieri di guerra sono stati mandati in campi di concentramento qui in Sud Africa e qui al Capo hanno lavorato in aziende agricole, gli ingegneri italiani hanno costruito strade, passi di montagna e aiutato nello sviluppo della vinicoltura. Pensa che oggi il vino locale ha raggiunto un alto livello e un altro successo locale è proprio l’olio d’oliva. Imprenditori italiani hanno importato ulivi dall’Italia e oggi producono un olio eccezionale.
Cosa vi piace ricordare allora e cosa vi manca dell’Italia, ma soprattutto di Sant’Angelo, di San Colombano e dintorni: cosa, in pratica, avete lasciato a casa, e cosa invece, portereste sempre con voi…
L’Italia è un Paese che non si può dimenticare, né si possono dimenticare San Colombano e Sant’Angelo. Io sono nato a San Colombano e dal 1969 sono residente a Città del Capo. Ma a Sant’Angelo avevo zii e cugini, per cui vi ho passato molto tempo, ho fatto amicizie e ho conosciuto mia moglie. Ci manca l’Italia? Certo, e quando ritorniamo in Italia, e succede abbastanza spesso, arrivando da Milano, prima il campanile di Sant’Angelo e poi le colline di San Colombano ci dicono che siamo a casa. La nostra gioventù, i nostri amici e soprattutto i nostri familiari, ci aspettano lì.
Matteo Fratti