Sono di soddisfazione e gioia le parole di Paolo Racconi, presidente dell’associazione Obiettivo Solidarietà, di ritorno dal terzo viaggio in Bielorussia.
Tra i barasini e la terra tristemente nota per l’esplosione di un reattore nucleare a Chernobyl si è creato, infatti, un legame che sembra ormai indissolubile.
Un convoglio umanitario è partito nuovamente il 23 di marzo, per rientrare domenica primo aprile.
“Questa volta siamo riusciti, esattamente martedì 27 – precisa Racconi – a caricare tutti gli oltre 140 pacchi su un camion e a consegnarli personalmente”. Una parte del materiale è stata distribuita alle famiglie dei bambini annualmente ospiti in alcune case di Sant’Angelo, ma non solo loro beneficiano di quest’atto di generosità.
“All’ospedale di Ciaussi – continua il presidente – abbiamo donato un computer e parecchio materiale sanitario per la sala operatoria. Abbiamo portato ulteriori pacchi di generi alimentari all’orfanotrofio e, mentre eravamo lì, abbiamo comperato 10 armadi – uno ogni due bambini – sempre per l’orfanotrofio e15 banchi scuola – per trenta alunni – più tre scrivanie per le insegnanti del villaggio di Antonovka”.
La lunga carovana di camper che ha raggiunto la Bielorussia
Questa però è la fine del viaggio, che è partito come le altre volte aggregato ai camper dell’associazione Garda Solidale Onlus, esclusivamente volta, quest’ultima, all’aiuto della Bielorussia.
“È stata un po’ un’impresa – afferma lo stesso Racconi – noi siamo partiti il venerdì e siamo arrivati la domenica mattina. Nel pomeriggio abbiamo iniziato a parlare con l’assistente sociale della provincia di Gomel, la quale ci ha confermato che saremmo riusciti a portare a termine la consegna. Il lunedì, nel centro di Gomel dove sono arrivati tutti i pacchi, li abbiamo smistati. Abbiamo percorso 210 km per arrivare nella nostra zona e abbiamo consegnato quello che avevamo sul camper all’ospedale”. Da lì all’orfanotrofio e poi alla scuola e dopo aver lasciato quattro dei sei componenti il convoglio a Krichev, sono ripartiti in camion per Gomel. Ricomincia quindi il giro delle consegne iniziando dalla scuola, passando per l’ospedale e finendo ancora una volta all’orfanotrofio.
Non sempre però fila tutto liscio, ed ecco il senso delle parole iniziali di Racconi. Al passaggio alla frontiera, per esempio, il timore delle guardie è che qualcuno tenti di oltrepassare clandestinamente il confine, timore rivolto in primo luogo ai bambini.
L’obiettivo è stato quindi raggiunto superando ogni volta le difficoltà alla frontiera, i chilometri percorsi, la fatica delle operazioni di carico e scarico.
Un’immagine di una misera abitazione visitata
Ma sembra esserne valsa la pena se un ragazzino incontrato in un orfanotrofio, con una poesia nella quale afferma che il bene ricevuto da chi neppure lo conosce ha potuto fargli sentire la carezza mai avuta dalla mamma, riesce a ripagare tutti di tutto.
“Nei villaggi – spiega Racconi per inquadrare la situazione – la maggior parte delle case non hanno ancora l’acqua, ma il pozzo fuori. Gli uomini lavorano nei Kolchoz, andando ad accudire i maiali o impiegandosi nelle fabbriche di concime o di bitume. Chi può ha la sua mucca per il latte, ma tutto è contaminato”. Nonostante la miseria “Sono molto ospitali, stando a loro dovremmo entrare nelle case di tutti. Ti invitano e ti mettono sulla tavola cose che col loro stipendio – dai 50 ai 70 euro mensili – sono impensabili”.
“La vita – racconta ancora Racconi, come infilasse una dietro l’altra una serie di fotografie – per loro è dura. Le donne a trentacinque anni cominciano già ad essere sciupate. A diciannove dimostrano molti più anni di quelli che hanno. Gli uomini cominciano a bere al mattino per far fronte alla fame”.
In futuro si vorrebbe riuscire a riparare il tetto della scuola di Antonovka e a sistemare “quelli che loro chiamano bagni”.
In tutto questo è bello sapere che tra i nostri concittadini c’è chi non rimane indifferente, ma si sente spinto, come altri ieri e oggi, a fare del bene.
Fulvia Cresta