A colloquio con le vittime dell’alcolismo
“Mio Dio dammi il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, la forza di accettare quelle che non posso cambiare, e la saggezza per distinguere la differenza”.
Con questa preghiera termina l’incontro degli Alcolisti Anonimi al quale il gruppo di Sant’Angelo mi ha invitato a partecipare. Sono stato contattato dopo la pubblicazione dell’articolo sulle dipendenze sul numero scorso ed eccomi dunque qui, interessato a conoscere l’impegno di chi combatte contro l’alcol ma nello stesso tempo timoroso di invadere l’intimità di queste persone.
Questa sera siamo in otto: con me anche un alcolista che per la prima volta partecipa agli incontri degli Alcolisti Anonimi.
È una buona occasione per capire qualcosa di più di questo gruppo di auto aiuto, nato negli USA nel 1935 e diffuso in tutto il mondo.
Mi metto al tavolo con loro, li ascolterò e cercherò di rendervi partecipi: i nomi che riporterò sono di fantasia, le storie, invece, drammaticamente vere.
Basta il giro di presentazione per entrare subito in sintonia con questo mondo: “Sono Giorgio, sono alcolista e sto bene”, è la formula di rito che ricorda a tutti, ma soprattutto a loro stessi due cose essenziali: sono vittima dell’alcol e sono riuscito a non bere. Si, perché il “non bere” è il primo pensiero della giornata di questi uomini e di queste donne, che stanno risalendo verso la vita dopo essere sprofondati nell’inferno dell’alcol.
“Siamo il popolo delle 24 ore” mi dice Silvana “gente che vive 24 ore alla volta con l’obiettivo di non toccare il primo bicchiere”. Quello dopo il quale si ricomincia, si ritorna all’inferno…
Silvana è una alcolista che ha smesso di bere e fornisce aiuto a chi ha problemi ad uscire dalla dipendenza. Questo suo impegno la rende più forte nella determinazione personale al mantenimento della sobrietà.
“Sono arrivata a conoscere Alcolisti Anonimi spinta dai miei famigliari” spiega Silvana “io non volevo venire, pensavo di poter controllare la situazione. Ma quando sono arrivata mi sono sentita accolta, non mi sono sentita colpevolizzata. Ho capito subito di essere nel posto giusto”.
È lo stile dell’associazione, nella quale può entrare chiunque voglia smettere di bere: non serve altro. Non conta chi sei, come la pensi, o da dove vieni. Si viene qui in libertà, ci si scambiano le esperienze (non ci sono terapeuti) e ci si impegna a mettere in pratica un programma di recupero noto con il nome di “metodo dei dodici passi”. È un percorso di risveglio spirituale finalizzato a ridare dignità all’alcolista, che lo aiuta a modificare la sua visione del mondo.
Accettando con umiltà la propria impotenza di fronte all’alcol, abbandonando stati d’animo negativi, riconoscendo i propri errori, riparando i torti fatti e donando gratuitamente aiuto agli altri si cerca di raggiungere uno stile di vita sereno.
Silvana è un po’ un’eccezione nel gruppo. Ci è arrivata, per usare le sue parole, senza avere troppe macerie alle spalle. Frequentare Alcolisti Anonimi l’ha però sorretta quando in seguito ha dovuto affrontare, fortunatamente da sobria, seri problemi.
Diversa è la storia di Antonello che a causa dell’alcolismo ha visto la famiglia sfasciarsi e ha perso il lavoro. “Avevo avuto un passato da alcolista ma ne ero uscito. Dopo dodici anni ci sono ricaduto e questa volta non sono stato più capace di rialzarmi. Mia moglie mi ha sbattuto fuori casa, mia figlia non ha più voluto saperne di me, ho perso il lavoro, mi hanno ritirato la patente…non sapevo più cosa fare. Ho trovato aiuto un una comunità terapeutica dove mi hanno consigliato di frequentare questo gruppo col quale condivido i miei sforzi”.
Quello di Antonello è il percorso di un uomo solo che piano piano sta riprendendo le forze. È commovente sentirlo parlare dei sui famigliari: “le mie sorelle sono venute a trovarmi 8 mesi fa: ci siamo riappacificati, adesso mi guardano negli occhi!”. La figlia non ancora, “lei assomiglia a me, ha la testa dura”. Fra qualche settimana Antonello inizierà a lavorare fuori dalla comunità. Un altro passo verso la libertà.
Anche Giuseppe si sta misurando con la sua libertà, riconquistata dopo che, per un reato commesso sotto gli effetti dell’alcol, è finito in carcere. Eppure “il carcere mi ha salvato la vita” dice, “ho capito che l’alcol era veramente il mio problema solo quando le porte della cella si sono chiuse dietro di me”. La presunzione di poter controllare la dipendenza è una costante nelle storie di questi uomini. “Nemmeno un incidente frontale che avevo provocato da ubriaco mi aveva convinto a smettere di bere” precisa Giuseppe che dopo il carcere è passato a vivere in una comunità. Dopo molte difficoltà ha trovato un lavoro e per ora coltiva due sogni: vorrebbe un’auto e una casa tutta per sé. Un bel passo per uno abituato a programmare solo le successive 24 ore.
Come Silvana, Antonello e Giuseppe, altri che ho conosciuto stasera mi hanno parlato delle loro miserie, delle loro menzogne, del male che hanno fatto a se stessi, ai famigliari, agli amici, ai colleghi.
Ognuno ha una storia a sé. Non c’è comunanza di condizioni socio-economiche o ambientali, non c’è una identica base di fragilità personale, non c’è una somiglianza nemmeno nel percorso terapeutico di ciascuno.
Ciò che li accomuna è il fatto che per vie diverse, molto simili a quelle che potrebbe percorre ciascuno di noi, si sono trovati vittime dell’alcolismo.
Ciò che li avvicina è il grande impegno che, con umiltà, stanno mettendo per riprendersi la vita.
Conoscere le loro storie può essere un segno di speranza per tutti.
Giancarlo Belloni
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