Un curioso episodio tra storia e fantasia
La sera del 19 maggio 1859 soldati austriaci giungono a Sant’Angelo, stanchi, infangati fino alle ginocchia, timidi e incerti come il maresciallo Gyulai che li aveva mandati.
Essi si attendano alla Massaglia, nei dintorni di San Rocco e in località Verziere aspettando ordini; frattanto alcuni ufficiali si alloggiano nelle case dei privati costringendo a sgomberare gli infelici inquilini.
Con poche masserizie e con qualche suppellettile da cucina i profughi si avviano verso il centro del paese e improvvisano con paglia dei letti nella chiesa di Santa Marta e sotto i portici dell’antico cimitero.
Non era la prima volta che la chiesa di Santa Marta era diventata la casa comune; era già successo al tempo di Napoleone, poi nel ‘48, questa era la terza volta e speriamo... l’ultima.
Si può immaginare la confusione, il trambusto generale, accresciuto dalle voci le più incredibili e allarmanti: son tedeschi, son croati, sono turchi, musulmani; beh c’era di tutto un po’ e anche qualche reparto albanese con berretto frigio.
Molta trepidazione a Sant’Angelo, ma paura no. Sant’Angelo posta per natura nella Bassa Lombardia verso l’Oltrepò Pavese, con una popolazione di venditori nomadi, era sempre stata informatissima delle aspirazioni piemontesi, perciò roccaforte di patrioti e spina dolorosa per il governo imperiale.
Si può ritenere per certo che in quella sera molti furono i mandati d’arresto spiccati contro cittadini indiziati come filosardi, ma, per fortuna, questi non c’erano più.
Dunque la sera del 19 maggio 1859 a Sant’Angelo i profughi a Santa Marta, gli altri rintoppati nelle loro case, qualche curioso per le vie, l’immancabile stratega da strapazzo in piazza, i ragazzi sotto le coltri a sognare nemici, cannoni, squilli e schioppettate per l’indomani.
Nessuna alba invece fu più calma e placida come quella del giorno seguente. Calma e tranquillità in tutto il paese, niente cannoni e niente fucili, e a San Rocco nemmeno un austriaco.
Dove se ne erano andati? Quando?
Durante la notte, dalla parte della Contradella.
A Santa Marta si tira un gran respiro, si può tornare a casa, è la liberazione!
Manco a farlo apposta non se ne erano andati, perché verso il mezzogiorno squilli improvvisi di tromba si odono dalla Crocetta: sono ancora loro!
Staffette a cavallo passano veloci per il paese e vanno verso Milano, dietro loro armi e cannoni ippotrainati, giubbe bianche sporche a non finire; salmerie e munizioni del corpo di Ofen; fanti e cavalli di Mersdorf; soldati di Benedek confusi a quelli Stadion; così per tutto il giorno, al tramonto tutto era passato, tutto era finito.
Cos’era successo? Perché quel precipitoso ritorno?
La fantasia popolare vi ha ricamato sopra una geniale interpretazione che ancora oggi resiste al logorio del tempo.
Quei soldati erano quelli del giorno precedente, di notte avevano voluto inoltrarsi per la strada del Po.
“Si va bene di qui? Quali paesi si passano?” avevano chiesto, e un contadino della Branduzza così rispose: “Niente paesi di lì, tutte montagne: Montalbano, Montebuono, Monteleone, Montù, Montebello”.
Una fila di monti così, ma quanti eserciti non si potevano nascondere in quel terreno minato? Nessuno e tanto meno i soldati del maresciallo: dietro front!
Ben inventata. Ma la verità era ben più seria e diversa.
In breve, allo scoppio delle ostilità Gyulai invade la Lomellina in cerca dei Piemontesi, ma di questi nemmeno uno ne trova.
Indispettito scende allora nella Bassa Lombardia.
E’ qui che una notizia fulminea lo coglie: i franco-sardi sono entrati in Lombardia dal Nord.
Egli comanda la ritirata generale su Milano; troppo tardi, è battuto a Magenta e poi a Melegnano, dove perde il bastone di maresciallo, ed è esonerato dall’incarico dall’imperatore Francesco Giuseppe. La Lombardia è libera; come ricordo a Sant’Angelo rimane la storia di Montalbano e Montebuono, e come non lo sapete? Anche il nome di Giülai.
(Dal bollettino parrocchiale“L’Angelo in famiglia”, gennaio 1951. Senza firma)
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