Tra il serio e il faceto le origini della denominazione di via San Martino.
E fu così che le truppe del maresciallo Gyulai fecero di nuovo il loro ingresso a Sant’Angelo. Era il 20 maggio del 1859 e i soldati austriaci, stanchi e infangati fino alle ginocchia, con il loro comandante in testa alla colonna ripassarono dalla Massaglia, questa volta senza accamparsi.
Gyulai, sulla strada per la Lomellina, aveva infatti ricevuto un dispaccio urgente con il quale lo si avvertiva che i franco-sardi, a sorpresa, erano entrati in Lombardia da Nord. Il feldmaresciallo aveva ordinato la ritirata immediata su Milano, per andare a ricongiungersi con il grosso dell’esercito imperiale, ma era già troppo tardi. Le sconfitte subite a Magenta e Melegnano indussero Gyulai a ripiegare sulla sponda sinistra del Mincio, all’interno del cosiddetto Quadrilatero (il sistema difensivo austriaco, considerato impenetrabile, che nel Lombardo-Veneto copriva il territorio compreso tra le fortezze di Peschiera del Garda, Mantova, Legnago e Verona). Tale strategia difensiva fu considerata uno smacco per l’esercito asburgico, al punto che Gyulai venne sollevato dall’incarico e fu l’imperatore Francesco Giuseppe in persona ad assumere il comando delle truppe.
Questo è quello che ci raccontano i libri di storia, ma ancora una volta la verità è un’altra.
Rientrati in paese dalla Contradella intorno a mezzogiorno, i soldati austriaci, preceduti da velocissime staffette a cavallo, procedevano lenti, a capo chino, con le belle divise bianche ammorbate più che mai. Con il loro comandante sempre in testa, risalirono la Guattera e si misero a manovrar cannoni e a misurare il passo lungo quella viuzza stretta che li avrebbe portati fuori paese, sulla strada principale verso Milano. Li avrebbe portati… se non che…
Arrivati a metà di quella angusta stradina trovarono file di carri abbandonati ad intralciare il cammino.
Niente da fare, di lì non si passava. Immaginatevi l’esercito asburgico, colonne con migliaia di soldati, fanti e cavalieri, i carri con l’artiglieria pesante e poi un esercito nell’esercito, le donne e gli ausiliari addetti ai rifornimenti, alle provvigioni, alle vettovaglie; immaginatevi questa massa di gente, cose e animali che percorre una strada larga sì e no 4 metri, in mezzo alle case, intralciata da carrette e barrocci disseminati come su un percorso a ostacoli.
E come se non bastasse, dall’altra direzione si faceva avanti una fila di contadini di ritorno dal lavoro nei campi. Fu il feldmaresciallo a prendere contatto con uno dei villani per chiedere indicazioni.
- Scusi - chiese cortesemente Gyulai - sa indicarmi un’altra strada per Milano?
- Sì - rispose il villano - ch’el gira indré.
- E poi? - sollecitò il maresciallo.
- E pö gh’è el Pusòn.
- E poi?
- E pö gh’è le Vignöle.
- E poi?
- E pö Bu Santa Maria.
- E poi?
- E poi e poi… - disse il villano barasino lanciando un’occhiata complice ai suoi compari che già pregustavano la burla - E pö, sciur Giülai, se’l sa no le strade ch’el staga a ca’ sua!
I villani si allontanarono tutti fra grosse risate e il feldmaresciallo imperiale rimase a bocca aperta col bastone nel sacco. I soldati austriaci, neanche fossero nel triangolo delle Bermuda, non uscirono mai dalle mura barasine.
Il 23 giugno, alla vigilia della battaglia di San Martino e Solferino, l’imperatore Francesco Giuseppe, non avendone più notizie, diede per disperso l’intero corpo d’armata. Decise, in seguito, di imporre alla storiografia la versione ufficiale di cui abbiamo già dato conto e che, pur disonorando il malcapitato Gyulai, rattoppava quantomeno l’onore dell’impero.
E fu da allora che la strada di Sant’Angelo Lodigiano sulla quale si arrestò la marcia degli austriaci venne intitolata Via San Martino e Solferino.
E ad imperitura memoria di quegli storici eventi che portarono all’unità nazionale, tradizione vuole che ancora oggi, su quella via, le automobili possano essere parcheggiate e lasciate selvaggiamente in sosta, in modo da impedire il traffico e renderlo pericoloso senza che un vigile stacchi mai una multa dal blocchetto.
Postumio.
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