Un’istituzione ottocentesca a presidio dell’ordine pubblico

La Guardia Nazionale nel periodo a cavallo dell’unificazione italiana

Il ruolo della Guardia Nazionale nella comunità santangiolina attraverso il rapporto tra il capitano Rozza e il parroco don Dedè


Nel 1859 il “Devotissimo Servitore, Capitano Anziano Ingegner Francesco Rozza” scriveva una lettera al “Pregiatissimo Signore Don Bassano Dedè, Prevosto Parroco di Sant’Angelo”, pregandolo di esortare i parrocchiani, durante le funzioni religiose, ad iscriversi e partecipare attivamente, come membri della Guardia Nazionale, “destinata a tutelare la pubblica sicurezza e l’indipendenza dello Stato”.
Quando si parla di Guardia Nazionale, si fa riferimento ad una delle istituzioni più rappresentative delle classi medio-alte della società ottocentesca, che affonda le sue origini nel travagliato periodo della Rivoluzione Francese. Durante quegli anni la borghesia sentiva urgente il bisogno di istituire un corpo militare di uomini armati, che difendeva i cittadini dalla criminalità, dall’esercito del re e da eventuali invasioni straniere. Da quel momento essa divenne un efficace veicolo di diffusione in Europa degli ideali risvegliati dalla Rivoluzione e promossi dalle truppe di Napoleone Bonaparte.

In tutte le province del Regno d’Italia, per altro ancora incompleto, la Guardia Nazionale fu istituita ufficialmente con un decreto di Eugenio, Principe di Savoja-Carignano, Luogotenente Generale di Sua Maestà nei Regj Stati, sulla proposizione del Ministro dell’Interno e del Consiglio dei Ministri, datato 3 maggio 1859 e, in Lombardia, in particolare, l’obbligo di iscriversi a tale organizzazione militare fu reso attivo con un decreto del governatore Paolo Onorato Vigliani, datato 2 luglio 1859.
E, appunto, i documenti di cui accenniamo, provenienti dall’Archivio parrocchiale, che riguardano proprio la comunità santangiolina, sono un esempio del significativo ruolo non solo militare-difensivo della Guardia Nazionale, ma anche della sua nuova valenza di “cartina al tornasole” dell’identità e del comportamento della borghesia in Italia.

Don Dedè e l’ingegnere Rozza

Siamo nel 1859, alle soglie dell’unificazione italiana. don Bassano Dedè, cui sono indirizzate alcune lettere dell’ingegnere Francesco Rozza, per pregarlo di sensibilizzare i parrocchiani ad un’adesione massiccia ai Corpi della Guardia Nazionale, non è certamente un comune sacerdote. Don Dedè, chiamato a reggere la parrocchia dal 1857 al 1892, fu uomo di immensa carità verso i poveri e i sofferenti. Fonderà un Istituto per i sordomuti, un ospizio per gli anziani e una casa per gli orfani, per sua iniziativa avverrà l’ampliamento dell’Ospedale Delmati, mentre la Società Operaia Cattolica lo vedrà tra i più convinti assertori. Diverrà padre spirituale della concittadina Francesca Cabrini, destinata a diventare la Santa patrona degli emigranti.
Il mittente è invece Francesco Rozza, figlio di proprietari terrieri, il quale, a soli 22 anni, ha già conseguito la laurea in Ingegneria. Ingegnere comunale per molti anni, egli fu tra i professionisti che realizzarono la prima linea tramviaria Sant’Angelo-Lodi-Crema, nonché la strada provinciale Melegnano-Sant’Angelo per Corteolona, e pure della provinciale Sant’Angelo-San Colombano.
Tuttavia, l’elemento che, a ben 127 anni dalla sua realizzazione, rimane ancora oggi il simbolo della sua attività a Sant’Angelo è, niente meno, che l’orologio a quattro facciate del nostro campanile! Eppure, non fu l’impegno professionale, quanto piuttosto la passione politica a fare di questo barasino un personaggio fondamentale nella storia della Sant’Angelo ottocentesca. Convinto assertore dei principi della fede cattolico-romana e devoto al papa-re Pio IX, fu più di una volta costretto ad allontanarsi dal paese natale, a causa dei suoi rapporti controversi con l’amministrazione austriaca. Nel 1859, anno in cui risalgono questi documenti, è eletto Deputato e nominato Capitano anziano della Guardia Nazionale, mantenendo cariche prestigiose anche negli anni a venire, con la cacciata degli austriaci dal Lombardo-Veneto, da parte dei Piemontesi.
È proprio in questi anni che l’ingegnere Rozza, deluso dagli stessi piemontesi che invadono anche i territori pontifici, rinvigorìsce il suo orientamento antiliberale e, a questo punto, anche anti-unitario.
Inoltre, l’incontro con don Bassano Dedè fu estremamente significativo per l’amministrazione locale.
Si può dire che l’ingegnere Rozza, forte dell’esperienza, del consenso e del prestigio guadagnati in sede locale durante gli anni dell’amministrazione austriaca, divenne, in un certo senso, il braccio secolare della Chiesa locale, in seno al Consiglio comunale e alla Giunta, prolungando idealmente l’effetto delle agguerrite omelie che, dal pulpito, don Dedè rivolgeva contro i garibaldini.
Ed ecco, dunque, come in tali documenti emerge il connubio di forze che lega queste due importanti figure di storia locale e, altresì, il ruolo fondamentale attribuito alla Guardia Nazionale anche nelle trame più capillari della società.

Difficoltà dell’arruolamento

In un’altra lettera indirizzata dal capitano Rozza al parroco Dedè, è possibile conoscere il regolamento e i compiti della costituenda Guardia Nazionale che avevano come obiettivo la salvaguardia della “tranquillità e pace del paese”.
L’obbligo di iscrizione riguardava tutti i cittadini dai 21 ai 55 anni, abbienti, che versavano un qualunque contributo allo Stato.
Una scuola aveva il compito di esercitare gli aderenti nel “maneggio delle armi” due volte al giorno, “salvo la domenica a funzioni ecclesiastiche ultimate”.
Nella lettera il capitano Rozza si “duole che molti non siansi per anco fatti iscrivere, e che molti fra gli inscritti ricusino o malamente si prestino all’Ordinario servizio e più ancora duole che solo pochissimi si presentino ai militari esercizi”, ricordando che “per chi non si presta sono comminate apposite pene pecuniarie e l’arresto personale”.
Con l’invito al parroco Dedè di comunicare dal pulpito gli obblighi cui sono sottoposti i concittadini, il capitano Rozza conclude la missiva con un preciso impegno verso la comunità parrocchiale: “il Comando e la Guardia Nazionale, entro i limiti delle loro facoltà, saranno sempre pronti a quanto può essere suggerito da questo M. R. Parroco per il buon ordine del Paese nei rapporti di pubblica moralità e per il dovuto contegno degli esercenti nel tempo delle festive funzioni della parrocchia”.
La Guardia Nazionale rimarrà in attività sino al 1876, anno nel quale sarà sciolta.
Ancora una volta la “microstoria”, la storia di livello locale, ricostruibile attraverso testimonianze dirette, semplici, ma proprio per questo ancor più preziose, scopre molte più pieghe, altrimenti nascoste, della società, che non i macroavvenimenti, gli unici, spesso e purtroppo, ad essere studiati sui banchi di scuola.
In tal caso, tali testimonianze rivelano come la Guardia Nazionale, nei Regni pre-unitari prima e dell’Italia post-unitaria poi, abbia avuto differenti e importanti valenze: presidio dell’ordine pubblico, garante armata dei diritti sanciti dallo Statuto, nonché luogo di formazione di legami sociali e politici.
E a ciò si aggiunga che, con i suoi altalenanti momenti di espansione e di crisi, essa ha costituito un attendibile “termometro” della situazione politica del Paese. Vigorosa garante del nuovo assetto istituzionale e immediato strumento di formazione di nuove identità politiche e sociali nei momenti costituenti, e, analogamente, elemento moderato e conservatore, nel momento in cui si creavano e si rafforzavano canali di rappresentanza e di controllo sociale più sicuri, diplomatici e misurati.
Veronica Paolini


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Il cappello e il giubbino indossati dai componenti la Guardia Nazionale