Povertà, ricchezza dei popoli

La testimonianza dei sacrifici e della fatica del lavoro dei campi, agli inizi del Novecento a Sant’Angelo


Il papà e la mamma di mia mamma si chiamavano Luigi e Antonia ed erano nati nel 1837. La nonna è morta nel 1923 all’età di ottantasei anni e il nonno nel 1925, aveva ottantotto anni.
Quando ero un ragazzo, loro abitavano nello stesso cortile dove abitavano sei famiglie.
All’inverno quando ci chiudevamo in casa, per il grande freddo e gelo che faceva in quei tempi, il nonno ci raccontava tante belle storie ed io e le mie sorelle lo ascoltavamo in silenzio, ci sembrava che fossero proprio cose vere.
Ci raccontava di quando qui in Lombardia c’era il Comando austriaco con a capo il maresciallo Radetzky. Ci raccontava della rivolta delle cinque giornate di Milano, lui allora aveva undici anni, e delle associazioni segrete, dei carbonari di cui facevano parte Silvio Pellico e Pietro Maroncelli, che dopo essere stati scoperti sono stati imprigionati nel carcere dello Spielberg in Austria.
Ci raccontava anche che nel 1859 si doveva fare un combattimento qui a Sant’Angelo, gli austriaci si erano accampati nella campagna dove ora c’è la Fiat, di fronte alla cascina Malpensata. Di li, come raccontava il nonno, aspettavano l’esercito piemontese proveniente da Mortara e Pavia. Invece era arrivato un contrordine, l’esercito piemontese aveva proseguito verso Melegnano. Così il Comando austriaco ha dovuto alzare le tende e trasferirsi a Melegnano dove c’è stato un grande combattimento sul fiume Lambro. Mi diceva che l’ossario che si trova nella chiesetta al Lazzaretto qui a Sant’Angelo, contiene le ossa, trovate nel Lambro, dei soldati morti nella battaglia del 1859 a Melegnano.
I nonni, sebbene un po’ anziani, lavoravano un appezzamento di terreno in affitto nei pressi della Cascina Ca’ Pandina, che si trova a sinistra prima di arrivare a Villanterio.
Io nel 1904 avevo sette anni e frequentavo la seconda classe elementare e, durante le vacanze scolastiche, un mattino mia nonna mi ha chiamato per andare con lei a portare la colazione al nonno che era in campagna dalle tre del mattino per tagliare l’erba per il fieno.
La nonna aveva al braccio un cesto e quando siamo arrivati il nonno ci ha raggiunto con un secchio d’acqua, ci siamo seduti sulla riva di un fosso asciutto dove c’erano delle belle piante che facevano una bella ombra e la nonna ha levato il coperchio del cesto. Volete proprio sapere cosa c’era dentro nel cesto? C’erano dentro due scodelle, due cucchiai, un chilo di pane, un etto di zucchero e mezzo litro di aceto. Il pane, allora, costava trentacinque centesimi, lo zucchero quindici centesimi, l’aceto dieci centesimi; tutta la spesa era stata di sessanta centesimi. Hanno riempito le scodelle di acqua, ci hanno messo un cucchiaio di zucchero, un goccio di aceto, un po’ di pane e hanno fatto una bella zuppa; nient’altro.
Verso le nove si sono alzati e si sono messi ad allargare l’erba per farla essiccare al sole, hanno terminato questo lavoro alle undici e mezza, si sono seduti al medesimo posto e… un’altra zuppa come quella del mattino. Verso l’una sono andati a rivoltare l’erba e hanno finito alle quattro e mezza, per merenda un’altra zuppa, pane, acqua, aceto e zucchero.
Io che li stavo guardando mente lavoravano, vedevo il nonno che si asciugava il sudore della fronte con un grosso fazzoletto e la nonna che si asciugava il sudore con un angolo del grembiule.
Dico il vero, mi faceva molta pena vedere due poveri vecchi con sessantasette anni sulle spalle lavorare dall’alba al tramonto, con tre zuppe di pane, acqua, aceto e un po’ di zucchero. Io non potevo fare nulla per loro, ero troppo giovane, avevo sette anni!
Alle cinque del pomeriggio si sono messi ad ammucchiare il fieno per timore che durante la notte il brutto tempo l’avrebbe potuto bagnare. Appena arrivati a casa alle otto e mezzo, la nonna ha messo sul fuoco una pentola con acqua e un po’ di riso, condendolo poi con un goccetto d’olio e un pizzico di formaggio; questa è stata la cena. Alle nove e mezza, tutti a letto.
Io, durante l’estate, dormivo a casa dei nonni su una piccola branda, il letto dei nonni, invece, era fatto da tre lunghe panche di legno con sopra una bisaccia piena di foglie secche di granoturco, sopra un lenzuolo e una vecchia coperta.
Appeso alla parte, sopra il letto, vi era un bel quadro con Gesù incoronato. Mentre si svestivano sentivo la nonna che, sottovoce, diceva le preghiere della sera. Il nonno che era stanco per aver lavorato quattordici ore in campagna, non aveva voglia di pregare e salutava Gesù con una frase in dialetto barasino: “O Signur, son tutu vostu, pregà nun posu, buna sira Signur!”.
Battista De Vecchi

Proverbi del mondo contadino

- Quande fioca sü la föia del muròn l’è un invèrne da cuiòn. (Quando nevica sulla foglia di gelso è un inverno leggero)
- In april büta anca el maneghe del badìl. (In aprile si ingemma anche il manico del badile)
- Quande el sul el se volta indré, duman ghème l’acqua ai pé. (Quando il sole rispunta di nuovo a sera, domani ci sarà pioggia)
- I pulastri a Sant’Ana i fan ses övi ala stemana. (Le pollastrelle per Sant’Anna fanno sei uova alla settimana)
- Santa Caterina liga le vache ala casìna; lighi bèn, lighi mal, manca un mès a ‘nda a Nadàl. (Santa Caterina lega le vacche alla cascina, legale bene o legale male manca solo un mese ad andare a Natale)
- San Maver fa un frège del diaul. (San Mauro fa un freddo del diavolo)
- Ala Madona de la seriöla da l’inverne sème föra; ma se piöve o tira vènte per quaranta dì ghe sème drèn. (Alla Madonna della ceriola dall’inverno siamo fuori, ma se piove e tira vento per altri quaranta giorni siamo dentro)
- A San Pedèr la mèlga la scunde el puledèr. (A San Pietro il granoturco nasconde il puledro, è alta più del puledro)
- A la Madalèna la nus l’è pièna. (Alla Maddalena la noce è piena, completa)
- Quande el gal el canta föra ura se gh’è nigul piöve e se gh’è serèn se nigùla. (Quando il gallo canta fuori ora se c’è nuvoloso piove e se c’è sereno finisce che si annuvola)

 

Le fotografie e i proverbi sono tratti dal libro “Vivere di cascina” di Peppino Barbesta, Giacomo Bassi, Aldo Carera e Renzo Cattaneo, edito nel 1985.

 


L’autore di questo racconto, BATTISTA DE VECCHI, nato nel 1897 e morto nel 1987, è stato un personaggio conosciutissimo a Sant’Angelo, avendo esercitato per molti anni la professione di postino. Andato in pensione, si è scoperto scrittore pubblicando sul “Foglio di Storia Locale” gustosi episodi degli anni di gioventù. Il racconto che pubblichiamo è tratto da un opuscolo manoscritto che il De Vecchi ha depositato presso l’archivio parrocchiale.