Gertrude, la delicata e dolente figura così ben raccontata da Alessandro Manzoni ne “I Promessi sposi”, è uno di quei personaggi che hanno contribuito a rendere l’opera un romanzo “storico”, nel quale, cioè, accanto ai due protagonisti, Lucia e Renzo, nati dall’immaginazione dell’autore, ve ne sono altri realmente esistiti. Tra questi la notissima figura della Signora di Monza, come la definisce il Manzoni, che rimanda a un personaggio storico vissuto realmente: Marianna De Leyva, nata nel 1575 e morta nel 1650.
E proprio la famiglia dei De Leyva ha un legame niente meno che con Sant’Angelo Lodigiano, poiché, un antenato della sventurata religiosa, il suo bisnonno paterno, fu capitano di guarnigione della fortezza della nostra cittadina! Ci si riferisce a Antonio De Leyva, uomo d’armi spagnolo, che nacque nel 1480 e morì nel 1536, all’età di 56 anni, dopo aver ideato un piano di invasione della Provenza, ai danni del sovrano francese Francesco I.
Tempo dopo Antonio de Leyva, raggiunse l’Italia, al seguito dell’imperatore Carlo V, ove si distinse per il vittorioso contributo dato nella battaglia di Pavia, che vide contrapporsi l’esercito imperiale spagnolo contro quello francese di Francesco I.
Una tavola che, con ironia e arguzia, illustra la presa della roccaforte di Sant’Angelo nel gennaio 1525 da parte dell’esercito spagnolo, che spiana la strada per la conquista di Pavia. (Illustrazione tratta dal volume “Battaglia di Pavia” di Marco Giusfredi, Luigi Casali, Andrea Spada. Tipografia pime editrice Srl, Pavia - ottobre 2009)
Tuttavia, per comprendere più a fondo il contributo che diede questo condottiero, che nel 1528 governava a Sant’Angelo Lodigiano, è necessario allargare il nostro punto di vista e guardare la situazione della Lombardia e dell’Italia un po’ più da lontano.
Il sogno di unire l’Europa
È questa l’epoca di Carlo V e del suo intento di restaurare un potere capace di unire tutta l’Europa sotto la sua guida. Un sogno che, tuttavia, non troverà realizzazione nella realtà, poiché la nascita degli stati nazionali e le divisioni religiose hanno ormai segnato un confine sempre più definito tra i vari popoli. Spagnoli, Francesi, Tedeschi, Italiani non si considerano più membri di un solo, grande, uniforme “gregge cristiano”, poiché a quel punto ogni popolo possiede almeno due elementi fortemente caratterizzanti: la lingua e la religione. Attraverso questi due fattori, ogni popolo può finalmente fondare e intensificare la propria identità.
Questi aspetti, unitamente ai parziali interessi economici di ognuno, contribuiscono a dividere in più parti l’Europa, ove, pertanto, le alte aspirazioni dell’imperatore non possono compiersi senza generare una aperta ostilità. In effetti, Carlo V ha ereditato un immenso impero, che comprende Paesi Bassi, Borgogna, Austria, Spagna, Sicilia, Sardegna e persino colonie americane! Un insieme di territori, popoli, tradizioni, religioni, sistemi economici assai diversi tra loro, che, certamente, non rendono facile il compito dell’imperatore di unificarli o, per dire ancora meglio, di amalgamarli. Inoltre, a complicare ulteriormente la situazione, vi è la posizione del re di Francia Francesco I, il quale vede il suo regno pericolosamente soffocato dai domini dell’imperatore. Eppure, pur possedendo già un impero così sconfinato, Carlo V ritiene fondamentale la presa di un altro territorio: il ducato di Milano.
La conquista di quest’ultimo, infatti, è per lui basilare per poter collegare concretamente i suoi domini austriaci con quelli spagnoli. Lo scontro tra i due sovrani, che si combatteranno strenuamente per circa venti anni, coinvolge direttamente il territorio di Milano, logora non poco le finanze dei due avversari e devasta intere zone dell’Italia settentrionale.
Un momento cruciale di questo storica inimicizia è rappresentato dalla battaglia di Pavia, durante il quale Francesco I viene fatto prigioniero e costretto, durante il periodo della sua detenzione, a cedere agli spagnoli proprio il prezioso e strategico Ducato di Milano.
I mercenari
È questa pure l’epoca dei mercenari, di quei militari, cioè, che, a scopo di lucro, compiono azioni militari per conto di un privato, secondo un contratto prestabilito e accettato contestualmente.
Si tratta di una realtà antichissima, e non esclusivamente tardo-medioevale, come si tende a pensare, quella del mercenario, una realtà che, invero, affonda le sue radici addirittura nell’antico Egitto. Resta il fatto che questa figura di soldato prezzolato si ritrova con grande frequenza durante il Medioevo.
Un esempio del contributo del mercenario si vede molto bene proprio nelle battaglie del periodo in cui Antonio De Leyva agisce. In aiuto dell’imperatore Carlo V, infatti, accorrono i lanzichenecchi, mentre sostengono Francesco I i soldati svizzeri.
Con il formarsi e l’irrobustirsi degli stati nazionali, i sovrani sentono sempre più urgente reclutare persone della stessa nazione. E, neanche a farlo apposta, il primo grande esercito nazionale a formarsi è quello spagnolo. Carlo V è fermamente convinto che i soldati nazionali siano interessati a difendere il loro territorio, a differenza dei mercenari che lavorano solo per ottenere ricompense. In questa prospettiva diventa importante il ruolo del De Leyva, nei concitati eventi che precedono e seguono la nota battaglia di Pavia.
La battaglia di Pavia
Francesco I di Valois, re di Francia mette sotto assedio la città di Pavia, sul finire del 1524 con un esercito di circa trentamila uomini.
Come è stato accennato, la guerra tra l’imperatore Carlo V d’Asburgo, Arciduca d’Austria e re di Spagna e il sovrano francese è già scoppiata nel 1521 ed è costata a quest’ultimo la perdita del Ducato di Milano, tanto prezioso per Carlo V, in quanto terra di congiunzione tra i suoi domini del Centro-Europa e dell’Italia del sud.
Incapace di rassegnarsi al fatto che il suo nemico storico abbia ottenuto il tanto anelato territorio, Francesco I nel 1524 scende di nuovo in Italia. Sempre più determinato, Francesco I insegue il nemico spagnolo in fuga e riesce a riconquistare Milano. A questo punto, però, il sovrano francese compie l’errore fatale. Invece di ascoltare i saggi consigli dei suoi accorti generali, invece di continuare a inseguire gli imperiali e infliggere così il colpo di grazia, decide di appropriarsi di Pavia, una piazzaforte, all’interno del Ducato di Milano, di grande importanza. I restanti soldati di Carlo V, pertanto hanno tutto il tempo e il modo per ritirarsi indisturbati più indietro, per recuperare forza e riorganizzare un’azione controffensiva. A Pavia, una buona parte dei circa cinquemila lanzichenecchi tedeschi e una buona parte del migliaio di soldati spagnoli, tutti comandati proprio da Antonio De Leyva, riceve l’ordine da quest’ultimo di spostarsi verso la roccaforte di Sant’Angelo Lodigiano e più ancora in là, verso Lodi, da dove, al sicuro, avranno tutto il tempo di organizzarsi e rispondere ai francesi e alla loro fanteria svizzera.
Passano le settimane, all’estate segue l’autunno. Fino a quel momento Francesco I vede i suoi motivati e decisi a conquistare la città, ma poi con il sopraggiungere dell’inverno l’assedio si blocca. A quel punto l’esercito di Carlo V, che, invece ha avuto tutto il tempo di riposare e di elaborare una controffensiva, muove da Lodi con 2000 fanti italiani e spagnoli, ripassa da Sant’Angelo Lodigiano avamposto francese difeso da una guarnigione di 200 cavalieri e 400 fanti italiani.
Il 28 gennaio 1525 il castello di Sant’Angelo viene assalito da Ferdinando d’Avalos marchese di Pescara alla testa di 2.000 fanti spagnoli e italiani. Dopo un breve ma accanito combattimento la guarnigione si arrende. La strada per Pavia è libera, passano per Villanterio e accorrono nella città pavese, in aiuto al De Leyva. Nel mese di febbraio gli imperiali giungono a Pavia e la riconquistano definitivamente. Carlo V ora ha portato a termine il suo ambizioso disegno politico: conquistare l’ambito ducato di Milano per collegare i suoi vastissimi imperi.
De Leyva presiede il nostro castello
Tornando al nostro Antonio De Leyva, invece, va detto che il suo nome e quello della nostra cittadina sono destinati a intrecciarsi di nuovo. Carlo V vuole premiare la sua intraprendenza militare con incarichi prestigiosi. Di lì a poco gli affiderà l’incarico di presidiare la guarnigione militare proprio di Sant’Angelo Lodigiano, da cui durante la resistenza di Pavia, aveva ricevuto un contributo militare significativo, ma il permanere del De Leyva presso questa fortezza militare e destinata a concludersi in fretta, perché al De Leyva attende una ricompensa e un titolo onorifico ancor più prestigioso: riceve cioè il feudo di Monza e diventerà Signore della città e, per volere di Carlo V, il territorio di Monza da semplice feudo si eleverà, proprio sotto i De Leyva, a contea.
Come si evince da questi accenni storici, il legame fra Antonio De Leyva, il bisnonno della monaca di Monza e Sant’Angelo Lodigiano potrebbe definirsi debole, ma non è l’intensità del legame fra questo importante personaggio storico, che pure nel 1528 ha governato la nostra città quello che si vuol mettere in luce.
L’intento piuttosto è quello di evidenziare il ruolo non certamente secondario che il castello di Sant’Angelo Lodigiano, da un punto di vista militare, in una terra strategicamente così importante, qual era il Ducato di Milano, ricopriva in quel tempo, tanto da essere conteso da Francesi e Spagnoli. In altre parole, questo argomento vuol essere un omaggio al valoroso passato del nostro castello, il nostro simbolo e che vede in questo periodo la riapertura delle sue sale, grazie all’impegno di tante persone che, in virtù dell’amore per questo patrimonio storico, comprendendone il grande valore culturale ne hanno reso possibile la tanto attesa riapertura.
Veronica Paolini