Primo presidente donna per lo storico sodalizio santangiolino
Numeri in crescita nel 2012, ma serve la partecipazione degli stranieri
Per la prima volta in sessant’anni di storia l’Avis di Sant’Angelo ha un presidente donna. Ornella Grecchi è stata eletta lo scorso 24 febbraio. Per i prossimi quattro anni guiderà una delle sezioni Avis più attive del territorio lodigiano. E lo farà insieme a un consiglio direttivo che si caratterizza per due importanti novità: la presenza di un buon numero di donne e l’età media molto giovane. Due elementi che fanno ben sperare per il futuro. Vice presidente è Mauro Cremascoli, segretario Silvio Bosoni, tesoriere Pier Raffaele Savarè. Il consiglio è poi completato da Antonio Baggi, Giuseppe Benozzi (in rappresentanza del gruppo di Pieve Fissiraga), Antonio Bosatra, Giuseppe Bosoni, Mauro Cresta, Domenica Lucini, Lorenzo Maio (gruppo di Valera), Rosalba Mazzola (gruppo di Graffignana) e Davide Savarè. Il presidente del collegio dei revisori dei conti è Daniele Rusconi, gli altri due revisori sono Stefano Bassi e Gianni Zironi. Revisori supplenti Enrica Rozza e Giampiero Suardi. Direttore sanitario il dottor Vittorio Altrocchi.
“Il Ponte” ha incontrato nella sede di viale Partigiani il nuovo presidente Grecchi e i consiglieri Cremascoli, Pier Raffaele Savarè e Silvio Bosoni. E’ stata l’occasione per fare il punto su una delle associazioni più importanti di Sant’Angelo e per gettare uno sguardo al futuro.
Partiamo dai numeri. Come si è chiuso il 2012?
“Nel 2012 sono state effettuate 1867 donazioni, di cui 104 plasmaferesi. Nel 2011 si era arrivati a 1759, dunque l’incremento è di 108 donazioni. I donatori attivi al 31 dicembre 2012 sono 784, con un incremento di 44 donatori nel corso dell’anno. Le donne sono 237 contro i 547 uomini, grossomodo meno della metà. Mediamente ogni donatore nel 2012 ha effettuato 2,46 donazioni l’anno, contro le 2,38 del 2011”.
Da dove arrivano i donatori?
“Sant’Angelo, Pieve Fissiraga, Graffignana e Valera Fratta. Abbiamo poi molti donatori che risiedono in altri paesi del circondario, ad esempio a Vidardo, San Colombano e nel Pavese. In alcuni casi si tratta di santangiolini che si sono trasferiti. C’è addirittura una donatrice che arriva dalla Liguria: è una santangiolina, affezionata alla nostra sezione e al nostro ospedale”.
Da alcuni anni puntate a far crescere la plasmaferesi. Cos’è e perché è cosi importante?
“La donazione classica è quella del sangue, che tutti conoscono. La plasmaferesi consiste invece in una donazione effettuata togliendo solamente la parte liquida del sangue, il plasma, un liquido dal quale possono essere ricavati con lavorazioni industriali particolari prodotti medici, destinati ad esempio agli emofiliaci. La plasmaferesi sta assumendo sempre più importanza in Lombardia, perché mentre l’autosufficienza di sangue intero è stata raggiunta, così non è per il plasma, e dunque siamo parzialmente dipendenti dall’estero. I problemi sono due: uno di carattere economico, l’altro di natura sanitaria, perché non in tutti i paesi vengono rispettati gli elevati standard di sicurezza italiani”.
Come ha impattato la crisi sulla dinamica delle donazioni?
“Mentre il lavoratore autonomo riesce ancora a gestire abbastanza agilmente l’attività di donazione nel corso della settimana, registriamo un aumento dei problemi per quanto concerne i lavoratori dipendenti. Per evitare di impattare sul rapporto tra dipendente e datore di lavoro sono in aumento infatti le richieste di donazioni la domenica. E’ cambiato poi l’approccio alla donazione in ospedale”.
In che modo?
“Prima le donazioni in ospedale erano distribuite su cinque giorni la settimana, oggi siamo arrivati a tre. La sezione di Sant’Angelo, fino a un paio di mesi fa, era inoltre l’unica il cui responsabile delle donazioni è un medico in pensione, la dottoressa Somaini, che si occupa di questo servizio in maniera volontaria. Questo rappresenta ovviamente un beneficio economico per l’Azienda ospedaliera”.
I giovani si avvicinano alla donazione?
“Normalmente ogni anno registriamo una settantina di nuovi ingressi. Non sono tutti giovani, ma di certo questi rappresentano una buona percentuale. Negli anni scorsi sono state effettuate campagne di sensibilizzazione nelle scuole che hanno avuto un discreto successo. Nell’ambito di un progetto dell’Avis provinciale abbiamo ad esempio inviato a tutti i neo 18enni una chiavetta Usb con materiale informativo sulla donazione di sangue e di midollo osseo”.
Come è cambiato l’approccio all’associazione da parte dei nuovi donatori?
“Oggi c’è sicuramente maggior consapevolezza nel gesto che si compie, ma l’arma vincente rimane il passaparola: i giovani spesso entrano perché attirati dagli amici che già sono donatori”.
Qual è il rapporto con le comunità straniere presenti nel territorio?
“Dipende molto dalla cultura di provenienza. In taluni stati esistono realtà simili alle nostre, in altre il sistema sanitario è totalmente differente, tanto che i donatori vengono pagati. A Sant’Angelo abbiamo certamente donatori stranieri, alcuni addirittura di lungo corso, ma sono presenze sporadiche. L’approccio alla donazione spesso non è stimolato dalla comunità di provenienza, ma dalle amicizie e dai rapporti interpersonali: ci sono ad esempio ragazzi stranieri che si sono avvicinati a noi perché conoscevano dei donatori già attivi. La necessità di aumentare il numero di donatori stranieri è reale e discende da un’esigenza di natura medica”.
Cioè?
“Il sangue non è uguale per tutti. Aumentano i pazienti stranieri ed è necessario avere una banca sangue completa. Non è detto infatti che una trasfusione con un donatore di ceppo caucasico possa essere completamente compatibile con un ricevente di un altro ceppo, ad esempio un africano. Su questo fronte l’informazione è fondamentale”.
Lorenzo Rinaldi. |
|