Dagli archivi della “Air Force”, la ricostruzione del bombardamento aereo alleato
sul nostro paese che colpì abitazioni causando danni e gravi ferimenti alle persone
Erano gli ultimi mesi di guerra, l’offensiva aerea alleata dispiegò sulla Pianura Padana moltissimi aerei; sul Lodigiano gli attacchi furono indirizzati contro le vie di comunicazione: stazioni, treni, ponti, strade, incroci, corriere, automezzi in movimento. Non furono grosse azioni offensive, se paragonate a quelle subìte da Milano ma continui attacchi condotti dall’aviazione tattica alleata, solitamente effettuati da cacciabombardieri.
Il gruppo di ricercatori Air Crash Po di Soresina, appassionati di aviazione militare con la passione per la ricerca storica, ha recuperato diversi microfilm presso gli archivi della Maxwell Air Force Base in Alabama, negli Stati Uniti, che riportano la sintesi delle attività aeree svoltesi nel Teatro Operativo del Mediterraneo nel 1943/45 e in particolare, nelle bobine A-6309 e A-6310 dell’A-FHRA, sono menzionate alcune località del Lodigiano: Lodi - Codogna (Codogno) - Melegnano - Sant’Angelo Lodigiano.
Ad attaccare Sant’Angelo, in quel giorno di fine inverno, fu una formazione di due cacciabombardieri americani Republic P-47 D Thunder-bolt nella versione D-35, caratterizzata dal tettuccio a goccia, appartenenti al 350th Fighter Group della Twelfth Air Force.
L’aereo era pesantemente armato con otto mitragliatrici Browning da 12.7 e con bombe da 500 libbre o razzi ed era usato intensamente in missioni di bombardamento in picchiata e di ricognizione armata che comportavano azioni di strafing (letteralmente: mitragliare a volo radente).
La missione codificata FS 347 ha avuto inizio con sei P-47. Erano decollati il 18 marzo 1945 di prima mattina, dall’aeroporto di Pisa S. Giusto l’obiettivo era bombardare in picchiata e dare la copertura dell’area ai bombardieri medi B-25, oltre Lavis (TN) sulla ferrovia per il Brennero, ma nel corso della missione un P-47 fu colpito dalla contraerea e dovette rientrare alla base scortato da un altro P-47. Dal rapporto si legge che nella zona di Lavis persisteva brutto tempo che ha costretto i restanti 4 caccia ad attaccare obiettivi secondari o forse bersagli di opportunità. La radio del leader di volo non funzionava e non poteva mettersi in contatto radio con i B-25; così i quattro P-47 rimasti, dovendo ritornare sganciando le bombe, decisero di dividersi: due si diressero su Mortara, dove sganciarono quattro bombe (due non esplosero), altri due si diressero verso il Lodigiano, (non si sa se l’obiettivo principale fosse il ponte stradale di Sant’Angelo), giungendo nel cielo della cittadina alle ore 13,30 (ora alleata, che non teneva conto dell’ora legale). Erano quindi le 14,30 e gli aerei si presentarono alla quota di 5000 piedi (1700 metri); secondo i testimoni provenivano da est.
Il primo aereo dopo una breve affondata sganciò due bombe e riprese rapidamente quota colpendo il ponte stradale (secondo il rapporto della missione, fu colpito il ponte stradale demolendone una campata). In realtà sappiamo che mancò di poco l’obiettivo: una bomba cadde vicino al ponte, colpendo il terreno e creando una enorme voragine che molti santangiolini
ricordano (dove ora si trova il bar annesso al distributore di carburante), mentre l’altra esplose poco distante, nei pressi della cascina Mottina, prospiciente al ponte, senza provocare troppi danni.
Carmen Capetta racconta: “Quella domenica pomeriggio ero insieme ad altre bambine nel cortile dell’asilo Vigorelli per la dottrina, sentimmo l’allarme con il suono della sirena. Poco dopo vidi un aereo in picchiata, poi il botto acuto; una scheggia di bomba rovente fu ritrovata davanti all’entrata della trattoria di Nervetti Agostino, situata in via Cavour”.
Il secondo aereo sganciò due bombe da 500 libbre (circa 227 kg) fra gli edifici del centro abitato (il rapporto americano parla di “risultati non osservati”, un modo spesso usato per dire: forse abbiamo distrutto abitazioni civili, magari ucciso dei civili ma facciamo finta di non sapere che cosa hanno provocato le bombe...). In realtà gli ordigni finirono proprio sul paese colpendo caseggiati di proprietà di Luigi Curti (Luisòn) in via Pandini, alla Contradella.
Seguirono le esplosioni e ai testimoni si offrì uno spettacolo desolante: l’area dove sorgevano le due abitazioni era sconvolta, piena di macerie, avvolta nel fumo e nella polvere.
Fu distrutta completamente l’abitazione dell’inquilino Angelo Cerri mentre fu gravemente danneggiata l’abitazione dell’inquilino Mansueto Savarè, la cui casa fu sventrata e ridotta ad un cumulo di macerie; fortunatamente la seconda bomba finì nel giardino, creando una vasta voragine.
Ci furono danni anche alle abitazioni vicine, dove gli spostamenti d’aria mandarono in frantumi vetri e infissi.
Angelo Gallorini, residente all’epoca nella zona, racconta: “Tutti i vetri si erano rotti, pentole e vari oggetti finirono all’interno della nostra casa”. Un vero dramma anche perché inaspettato. Alcuni testimoni riferirono che si sentì il rombo dei motori e subito dopo due scoppi che scossero tutta la zona; furono le bombe da 500 libbre, lanciate dall’aereo di coda. Quindi i due aerei scomparvero alla vista in direzione di Pavia.
Dopo l’attacco gli aerei americani si dedicarono, come di consueto, alla caccia di obiettivi occasionali prima di far ritorno alla base. Secondo alcuni testimoni, l’obiettivo poteva essere il consorzio Agrario con il silos in cemento armato in posizione dominante, poco distante dai caseggiati.
Nel corso dell’incursione rimasero gravemente ferite Luigia Speziali di anni 38, e sua figlia Lorenza Cerri di anni 4, che vennero scaraventate a causa dello spostamento d’aria dall’interno del loro appartamento all’esterno, cadendo a terra violentemente.
Solo per caso, non si verificò una strage poiché altri suoi due figli, Luigi e Teresa si erano recati alla pasticceria “Unica” poco distante, gestita dallo zio Fedele, mentre il marito Angelo Cerri, in quel momento assente, rincasò urgentemente dopo le notizie ricevute. Molte persone accorsero sul luogo, lo spavento era stato indescrivibile per tutti, si vedeva una grande nube di polvere salire però senza che si sprigionasse un incendio. I due feriti furono trasportati al locale ospedale Delmati per le prime cure. Non mancò un episodio alquanto singolare; nell’abitazione di G. Battista Corsi, distante circa 50 metri, furono rotti tutti gli infissi e vetri e, a causa dello spostamento d’aria, una scheggia di vetro provocò una lieve escoriazione sul naso della piccola Edda, adagiata nella culla nel cortile, all’ombra di una pianta. Ben presto intervennero sul posto le locali autorità civili e militari operando ricerche di eventuali persone coinvolte e mettendo in sicurezza le parti pericolanti degli stabili. La madre Luigia fu sottoposta ad un delicato intervento alla gamba destra mentre la figlia Lorenza, con varie ferite ma non gravi, fu curata senza problemi. Nei giorni seguenti la famiglia Cerri, che aveva perduto tutti i propri beni, fu ospitata dal Comune in un alloggio provvisorio adeguatamente arredato.
Alcune schegge delle bombe furono raccolte tra le macerie in quei giorni, ed una di esse ora si trova conservata nella vetrina dei reperti storici nella caserma dei Vigili del Fuoco; altre tre schegge furono raccolte da Francesco Cerri ed ora sono conservate in una teca all’interno del negozio di alimentari di Angelo Cerri in via Costa.
Fino a quel giorno Sant’Angelo non aveva mai subìto bombardamenti, anche se il centro del paese è stato mitragliato diverse volte nel corso del conflitto.
Nel territorio comunale furono almeno undici i mitragliamenti..
Ad apporre l’iscrizione è il santangiolino Giuseppe Lucini, laureato in filosofia e sociologia all’Università belga di Lovanio, con l’intento di tramandare alla storia un avvenimento straordinario avvenuto nella sua vita e quella della nostra città, l’ospitalità a Dominique Pire, premio Nobel per la Pace, il 17 febbraio 1963.
Dominique Pire, sacerdote belga, durante la seconda guerra mondiale partecipa attivamente alla Resistenza e nel 1949 si occupa del pressante problema dei rifugiati, fondando un’organizzazione per aiutarli.
Nel 1958 gli viene conferito il Premio Nobel per la Pace per aver favorito “al di là delle lotte razziali delle tendenze politiche e delle credenze religiose, lo sviluppo dello spirito di fratellanza tra gli uomini e tra le razze”. Nel 1962, crea l’iniziativa del “pane per la pace” e nel 1963 viene in Italia iniziando da Pavia la raccolta di fondi per questo scopo.
Da Pavia giunge a Sant’Angelo Lodigiano dove sosta alla casa natale di Santa Francesca Cabrini ed è ospite per alcuni giorni della famiglia Lucini. Padre Dominique Pire muore in Belgio il 30 gennaio 1969.
L’iscrizione della lapide documenta un’altra prestigiosa presenza nella nostra città, quella del moralista e sociologo belga Jacques Leclercq, che nella sala consiliare del nostro Comune, il 30 aprile 1959, è relatore di una conferenza ai laureati cattolici del territorio, alla presenza dell’ambasciatore del Belgio e del prefetto di Milano.
Ed è sempre la famiglia Lucini con il figlio Giuseppe, che nel 1989 riceve la benemerenza civica per il suo impegno sociale, che accolgono nella loro casa Leclercq, assieme al sociologo Pierre De Bie e al rettore dell’Università di Lovanio Honoré Marie Van Waeyenbergh.
Nel 1987 la decisione di apporre la lapide a ricordo degli avvenimenti che hanno dato lustro alla loro famiglia e a Sant’Angelo Lodigiano.
Antonio Saletta
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