Nel nostro ottocentesco monumentale camposanto,
sculture, mosaici e dipinti testimoniano, attraverso
l’arte, il ricordo indelebile per chi ci ha preceduto
di Carlo Fratti
Il nostro antico e glorioso paese vanta oltre ad uno straordinario castello visconteo trecentesco, dei più imponenti e meglio conservati fra gli oltre quattrocento castelli disseminati nella sola Regione Lombardia, la grande Basilica Cabriniana che nel Lodigiano, per ampiezza e magnificenza, è seconda solo al Duomo di Lodi e si fregia del titolo di Basilica Romana Minore concesso da Papa Pio XII “per la bellezza e la preziosità delle sue decorazioni” (cosi recita testualmente la bolla papale del 1950); conserva anche con grande orgoglio un imponente Cimitero che per ampiezza e pregio architettonico ricalca in piccolo (ma non troppo) il cimitero cittadino di Lodi. Questo a dispetto di tutti coloro che un tempo amavano ripetere ”A Sant’Angelo non c’è il cimitero perché muoiono tutti in prigione”; facendo poi seguito con la dispregiativa affermazione “Barasini ladri e assassini”.
L’area cimiteriale originaria, ha subito trasformazioni moderne con l’aggiunta negli anni Settanta delle due ali di cappelle ai due lati dell’ingresso, e ora si espande oltre, attraverso la centrale cappella Bolognini, la più imponente di tutte, severa e monumentale, ricca di formelle e ornamenti in cotto ed illuminata all’interno da piccole, graziose trifore, quasi a voler richiamare quelle molto più grandi e preziose dal bel colore rosso caldo del mattone lombardo del loro antico e possente maniero. L’ultima tomba di famiglia dei feudatari di Sant’Angelo apre ai suoi lati alla nuova area, o “campo nuovo”, come si usa dire, di moderna e recente realizzazione.
Il nostro vasto cimitero è da ritenere sicuramente un complesso architettonico nel suo genere di importante rilevanza. Lo stile neogotico gli conferisce un aspetto austero ed elegante, tipico di queste architetture di fine Ottocento (1876).
A tale proposito è sufficiente considerare il valore intrinseco dei materiali usati nella sua costruzione, i quali già dal pronao d’ingresso, delineano un carattere sicuramente monumentale, aprendo la visuale sul lato frontale e i due lati laterali fatti di cappelle che si susseguono in un ripetersi armonico ed elegante di archi a tutto sesto, che appoggiano su oltre cento snelle colonne con capitelli romanici in granito Montorfano. Le cento cappelle a loro volta su base rialzata da monolitici gradoni, sempre di granito, chiuse lungo tutto il perimetro da eleganti cancellate, sono l’elemento più rilevante da considerare, in rapporto alla capienza e rilevanza delle tumulazioni. Le cappelle nate come tombe delle famiglie più abbienti del paese conservano spesso sulle loro volte a crociera splendide decorazioni, molte delle quali dovute all’estro e all’inventiva di artisti come Manlio e Battista Oppio, padre e figlio, noti decoratori e pittori barasini, e ai mosaici di Ferdinando Bianchi, che negli anni Cinquanta ha realizzato pregevoli opere d’arte, una delle quali, un “Cristo risorto” in una delle cappelle sul lato sinistro, merita certamente di essere ammirata per le sue ragguardevoli dimensioni e la bellezza e la maestria nella realizzazione dell’immagine sacra.
Della statuaria, un tempo sicuramente numerosa, invece è purtroppo rimasto poco o nulla. Nel dopoguerra con la ricostruzione e il “boom” economico la moda ed il miope rigetto del vecchio, delle cose di una volta, hanno purtroppo fatto scempio delle opere che agli inizi del Novecento ornavano sicuramente tombe importanti e sepolture più semplici. Da ragazzo ho spesso assistito inerme alla distruzione di monumenti funebri che non avevano sicuramente un valore intrinseco, importante, ma erano di una qualità artistica, a mio avviso pregevole, per il loro stile d’epoca, i materiali impiegati, l’insieme compositivo del monumento, a volte dall’effetto suggestivo. Quelle opere sono state i miei primi riferimenti artistici, gli esempi a cui attingere idee e fantasticare, le prime basi sulle quali col tempo ho coltivato i miei interessi artistici. Insieme al fascino che esercitava la Basilica con la sua varietà policroma di marmi, decorazioni, e dipinti, il cimitero fu il piccolo semplice museo a portata di mano che, da ragazzo, mi ha fornito gli stimoli ad approfondire la mia passione per l’arte. Ma il denaro guasta molto spesso gli animi e la mediocrità del modernismo insensato ha preso il sopravvento sul gusto operoso e raffinato di un tempo. Oggi rimane ben poco di ciò che i nostri nonni vollero a ornamento delle sepolture dei loro cari, piccole opere spesso costate materialmente anni di risparmi e sacrifici, ma volute e scelte con cura e amore.
Il destino e la fortuna vollero che un giorno, negli anni Ottanta, credo, un parente mi dicesse, con sconcerto, che una bella scultura in marmo, divelta da una vecchia tomba, giaceva su un cumolo di macerie in attesa di essere caricata insieme agli altri detriti e quindi gettata chissà dove. Corsi al cimitero e, convinto l’operaio che trafficava laggiù, riuscii a farmela dare. Il trasporto del pesante blocco di marmo bianco di Carrara, sul portapacchi della bicicletta, fu un’impresa piuttosto faticosa, ma l’azione meritava ogni tipo di sforzo. Credo si trattasse di una delle più belle opere di piccolo formato, una volta presenti al Camposanto: un “Ecce Homo” alto un’ottantina di centimetri, dalla fattura straordinaria, bella per la sua perfezione artistica e il pathos emanato dall’espressione perfetta del volto sofferente e dell’equilibrata e vibrante tensione delle membra contratte nel dolore. Mi dissero più tardi che poteva trattarsi di un’opera giovanile di Arturo Pasqua, un artista barasino che io allora non conoscevo. La conservo ancora come un grande capolavoro.
Ho cercato col passare degli anni di scoprire altre opere degne di attenzione, ma purtroppo il piccone è stato più operoso e veloce e sulle nuove tombe oggi rimangono, copiose, solo fusioni recenti, neanche tutte in bronzo, una nuova generazione di presenze, clonate a migliaia di esemplari. Solo su poche tombe superstiti si conservano ancora sculture d’epoca; fra queste, due teste di Cristo in marmo sopravvivono, trascurate e sofferenti, al disinteresse di tutti: una più piccola di centimetri trentacinque di altezza, in uno stile tipico delle opere del ventennio, ma di bella fattura; l’altra un po’ più grande, dall’esecuzione sintetica ma bella, riflette uno stile alla Adolfo Wildt. Sono opere uniche in marmo bianco di Carrara, di buona esecuzione e formalmente compiute.
Da qualche tempo ho scoperto a pochi metri dall’ingresso, nel primo campo a destra, una bella Pietà in marmo di Carrara, una scultura importante, ricavata da un blocco di marmo di centoquaranta centimetri di lunghezza, per una settantina di altezza e sessanta di profondità. L’opera scultorea dal sapore un po’ nordico che il tempo e l’incuria hanno segnato brutalmente, ma che conserva ancora intatti tutti i carismi di un’ottima esecuzione. È pensata con perizia tecnica e bellezza artistica ed è posta a ornamento di una sepoltura abbastanza recente, ma ritengo che il marmo sia molto più datato e che quindi, probabilmente, provenga da un’altra sepoltura.
Tutto questo è lo sconcertante “scotto” da pagare al vorticoso progresso. Le evoluzioni, pratiche e teoriche dell’arte moderna hanno sovente creato una grande confusione a danno delle opere del passato.
Oggi anche in questo luogo regnano mediocrità e cattivo gusto. In una selva spenta di fiori artificiali, regna anche in questo luogo l’indifferenza generale e peggio ancora il furto e la devastazione, come accaduto recentemente, quando vandali senza scrupoli hanno brutalmente oltraggiato la memoria dei nostri cari defunti.
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Sopra: un busto. Sotto: un’opera del mosaicista Ferdinando Bianchi di origine
veneziana che per lungo tempo ha risieduto a Sant’Angelo. A
sinistra: “Ecce Homo” una straordinaria scultura in marmo di
Carrara attribuita allo scultore e marmista santangiolino Arturo
Pasqua, opera non più presente nel cimitero.
Di fianco la “Pietà” scultura in marmo di Carrara, deteriorata dal tempo e dall’’incuria e una scultura di donna.
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