Pietro Quaini tra le vittime di una tragedia dimenticata
L’affondamento della nave inglese Laconia durante la Seconda guerra mondiale, in cui perirono 1350 prigionieri italiani

“C’è anche un soldato santangiolino tra le vittime dell’affondamento del Laconia nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Di Pietro Quaini restano lettere, cartoline e documenti e la memoria dei parenti. Quaini nasce a Sant’Angelo Lodigiano il 15 marzo 1919 da Domenico Rozza, di professione ortolano, e Maria Rozza, casalinga. Componente di una famiglia numerosa, è settimo di nove figli: quattro maschi e cinque femmine. La famiglia proveniva dalla Ranera, si trasferisce alla Cascina Boffalorina e giunge poi in paese, prima alla Guatra, dove Pietro passa l’infanzia, infine in via Madre Cabrini 82.
Nel 1938 Quaini viene chiamato alle armi nella classe del 1918, distretto militare di Lodi, matricola 3755, e richiamato alla leva nel terzo Reggimento Bersaglieri-Divisione Celere nello stesso anno. Il 2 aprile 1939 è nominato soldato scelto, mentre il 19 agosto caporale. Al rientro a casa inizia a lavorare insieme al fratello maggiore Giovanni come verniciatore imbianchino, ma la loro unione lavorativa dura ben poco in quanto all’entrata dell’Italia in guerra il 10 giugno 1940, Quaini viene reclutato nel terzo Reggimento Bersaglieri, terza Divisione Celere “Principe Amedeo Duca d’Aosta di Milano”. Raggiunge il 22 giugno 1940 il fronte Occidentale-Alpino e partecipa immediatamente alle operazioni di guerra. L’Italia riesce a occupare una piccola fascia di territorio francese meridionale con una breve ma cruenta battaglia, è il primo importante scontro dell’Italia.
Dopo alcuni mesi Quaini parte alla volta di Napoli e il 16 febbraio 1941 si imbarca sulla nave San Marco Polo, un transatlantico requisito dalla guerra, facendo rotta verso Tripoli (Libia). Sbarca a Tripoli insieme ai mezzi bellici, in territorio di guerra, ed è destinato sul fronte di Tobruk. Il 26 febbraio 1941 viene trasferito al deposito del 39esimo Reggimento Fanteria Caserta, quale centro di mobilitazione del 25esimo Battaglione, divisione motorizzata di Bologna. Il 24 gennaio 1942 viene trasferito al 40esimo Reggimento Fanteria, primo battaglione, prima compagnia mobilitata in Africa Settentrionale. Iniziano subito i combattimenti, con i tedeschi contro i carri armati inglesi.


Nel frattempo Quaini scrive alla famiglia raccontando le sue giornate: il giorno era molto caldo e portava a una notte fredda e buia, il cibo era sempre pieno di sabbia e si mangiavano spesso datteri. Un’annotazione: gli inglesi sparavano a “tutta birra”.
Il 27 maggio 1942 il santangiolino viene trasferito al settimo Reggimento Bersaglieri e il 28 giugno con il suo reggimento arriva a El Alamein, a circa cento chilometri da Alessandria, una stretta striscia di terra compresa tra il mare e la depressione di Bab el Qattara. Il 10 luglio inizia la prima battaglia di El Alamein, alle 5 di mattina incomincia l’attacco inglese: è una notte terribile, attaccano per primo il settore nord a Tel el Eisa, la Fanteria e i Bersaglieri vengono isolati in mezzo agli inglesi, a questo punto non resta che arrendersi: i superstiti vengono fatti prigionieri a centinaia. Quaini viene catturato su un’altura.
Con un telegramma di stato del 14 luglio 1942 la sua famiglia viene informata dalla Croce Rossa Italiana. Solo nel gennaio 1943 però viene notificato che è prigioniero in Egitto nel campo 308. Da quel momento non si avranno più sue notizie e il suo nome figurerà nell’elenco dei prigionieri imbarcati sul Laconia. Fino a quando un suo commilitone, Mario Lupi di Abbiategrasso, uno dei pochi sopravvissuti del Laconia, prima di morire rende una testimonianza, contenuta in un volumetto, raccontando i fatti del 1942.
Al termine della battaglia di El Alamein, dopo essere stati fatti prigionieri e disarmati, i militari italiani vengono incolonnati e, sotto scorta a piedi, costeggiano la costa entrando nelle linee nemiche; vengono quindi caricati su camion e portati al campo 308 di Alessandria d’Egitto. Seguono schedatura, visite mediche, disinfezioni, rasature per eliminare e prevenire gli insetti. Il 19 luglio Quaini è trasferito con un viaggio in treno - chiuso nei vagoni nonostante un caldo insopportabile - al campo di Geneifa, una località del Canale di Suez. Il campo era utilizzato come campo di raccolta e di transito e Quaini vi rimane dal 24 al 29 luglio, in attesa dell’imbarco.
Il mattino del 29 giunge l’ordine di partire, i prigionieri lasciano quindi il campo verso le 10 e a piedi partono in colonna per Port Tewfik, adiacente al porto di Suez. Infine verso le 13, sotto un terribile sole, a più riprese e a gruppi di 200 – 300, vengono imbarcati su un transatlantico di 20.000 tonnellate che stava aspettando al largo. Il suo nome era Laconia, unica nave disponibile in quel momento: i prigionieri occuparono tre stive, chiusi dietro grate di ferro. I soldati vengono stivati come animali nei locali angusti ricavati sottocoperta, con condizioni climatiche micidiali. La loro unica colpa era di essere italiani, prigionieri di guerra.
Il Laconia (imbarcazione inglese), non era una nave da guerra ma era stata armata. Salpa dal porto di Suez il 29 luglio, diretta verso la Gran Bretagna. Sulla nave vengono imbarcati oltre a militari e passeggeri inglesi, 1.800 prigionieri di guerra italiani delle divisioni Ariete, Brescia, Pavia, Trento, Trieste e Sabratha e guardie e soldati polacchi arruolati nell’Ottava Armata Britannica. La nave circumnaviga il Capo di Buona Speranza, passa al largo delle coste del Sudafrica, fa molte fermate e deviazioni non procedendo mai in linea retta temendo la presenza di mine galleggianti. Fa tappa in diversi porti quali Aden, Mombasa, Durban e Città del Capo, dove sembra sia stata cambiata la destinazione d’arrivo, ossia dalla Gran Bretagna alle coste degli Stati Uniti, spiegando di conseguenza il motivo dell’azzardato allontanamento dalle coste africane verso l’Oceano Atlantico.
Dopo un mese di navigazione i prigionieri ormai sono ridotti in condizioni pietose. La sera del 12 settembre, alle 20, con il mare calmo e il cielo molto nuvoloso, navigando a luci spente per evitare gli attacchi dei sommergibili nemici, a circa 360 miglia a nord-est dell’isola di Ascensione nel golfo di Guinea, il Laconia viene silurato dal sommergibile tedesco U Boot 156 con al comando il capitano Werner Hartensteiner. Ci sono due tremende esplosioni e il Laconia inizialmente si inclina su un fianco per poi affondare.
Centinaia di prigionieri italiani trovano la morte, per gli altri è solo questione di tempo; gli inglesi temendo che le scialuppe non bastino per tutti i naufraghi, non aprono i cancelli delle stive, negando ai prigionieri italiani la possibilità di accedere alla coperta. Ben 1.300 prigionieri trovano la morte nell’affondamento della nave, annegando nella loro inesorabile prigione di metallo e tra questi Quaini. Alcuni riescono però a sfondare i cancelli di sbarramento e tentano di raggiungere le lance di salvataggio: molti affogano. Solo poche centinaia di superstiti vengono salvati dalle unità navali giunte in soccorso nei giorni successivi. Nell’elenco del Ministero della Difesa, tra i caduti italiani della Laconia, vi è anche il nome di un grande amico e commilitone di Quaini: si tratta di Giovanni Asti, classe 1918, residente a Paullo. I due erano inseparabili. Muoiono insieme, nello stesso giorno.
Quaini viene poi dichiarato ufficialmente morto dalla Commissione interministeriale con il telegramma al Comune di Sant’Angelo del 31 marzo 1945, successivamente con il verbale di irreperibilità rilasciato dal Comando del distretto Militare di Lodi nel luglio 1946.

Marco Danelli

IL PONTE - foglio d'informazione locale di Sant'Angelo Lodigiano

Sopra, il bersagliere Pietro Quaini.
Qui sotto, il documento della Croce Rossa che attesta un imbarco non meglio precisato e il verbale di irreperibilità del Comando del Distretto Militare di Lodi con la dichiarazione della morte per affondamento sul piroscafo Laconia. Nel testo a lato, Quaini (il quinto da sinistra) ritratto con i commilitoni e la nave inglese Laconia.