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Ricorsi storici nella vita civile di Sant’Angelo Lodigiano:
lo scioglimento del Consiglio comunale nel 1910 a motivo della disastrosa condizione delle finanze comunali La crisi amministrativa che ha colpito il nostro Comune a seguito delle dimissioni del Sindaco Domenico Crespi e della Giunta, con il conseguente scioglimento anticipato del Consiglio comunale, ha riportato alla memoria una simile situazione avvenuta nella nostra comunità oltre un secolo fa. L’indagine storica che pubblichiamo a firma di Angelo Montenegro, pubblicata su “Il Foglio di Storia Locale” nel mese di giugno 1993, ricostruisce le motivazioni che hanno portato a quella paralisi amministrativa. Occorre puntualizzare che la ricerca di Montenegro è stata compiuta a seguito della crisi comunale avvenuta a Sant’Angelo Lodigiano nel 1993, quando un gruppo di componenti la maggioranza ha sfiduciato il sindaco Domenico Crespi portando allo scioglimento del Consiglio comunale, circostanza che ha portato all’avvento del Commissario prefettizio dottoressa Maria Carmela Nuzzi e alle elezioni che si sono svolte nel 1994, per la prima volta effettuate con la Legge 25.3.1993 n. 81 che prevedeva l’elezione diretta del sindaco da parte dei cittadini. Il Ponte La recente crisi amministrativa, culminata nell’autoscioglimento del Consiglio comunale e nell’arrivo di un Commissario prefettizio, ha creato qualche turbamento nei cittadini, abituati da decenni ad amministrazioni solide e longeve. In questo modo anche Sant’Angelo è stato toccato da una crisi politica e amministrativa che ha assunto ormai dimensioni nazionali. Una crisi che fino a qualche mese fa, appresa da giornali e Tv, appariva lontana e perfino un po’ astratta è diventata improvvisamente per tutti noi un’esperienza vicina e concreta. Per una curiosità ci siamo domandati se sia davvero la prima volta che a Sant’Angelo si verifichi una situazione del genere o se invece, scavando negli archivi, si possano rintracciare dei precedenti storici. Ci siamo quindi messi all’opera e abbiamo constatato che, andando a ritroso, se il nostro sguardo si ferma al 1945, si può rispondere di no: il paese non ha conosciuto precedenti di questo tipo. Se invece allarghiamo l’angolo visuale e andiamo più indietro nel tempo, nella Sant’Angelo dei bisnonni, tra gli inizi del secolo e la prima guerra mondiale, un precedente esiste. Risulta, infatti, che con decreto del 17 settembre 1910 “il Governo del Re” scioglieva il Consiglio comunale e nominava un Commissario regio, “il dottor Carlo Silvetti, segretario della […] sottoprefettura di Lodi”. Un giornale lodigiano dell’epoca scriveva che “La scelta non poteva essere né migliore, per Sant’Angelo, né così ben accetta a tutti indistintamente”, per “la competenza tecnica non comune” del Commissario (“Il Fanfulla”, 1 ottobre 1910). A voler essere precisi non si trattava di un Commissario prefettizio, ma di un “Commissario straordinario” che disponeva di poteri più ampi del Commissario prefettizio poiché, secondo la legislazione dell’epoca, era chiamato a ristabilire la legalità là dove questa era venuta meno. Nel nostro caso ciò si era verificato “per l’interruzione dell’azienda municipale” perché la situazione aveva reso “impossibile alle rappresentanze cittadine di reggere degnamente le sorti del Comune” (“Il Fanfulla”, 15 ottobre 1910). Ma che cosa era accaduto esattamente? A quanto pare il Consiglio comunale non aveva voluto eleggere il Sindaco e la Giunta, e quindi non avendo assolto ai suoi compiti istituzionali, aveva dato luogo ad una situazione di palese illegalità. Ma per capire bene quale fosse il problema bisogna fare ancora qualche passo indietro e ricostruire qual era la situazione amministrativa in quegli anni. Le amministrazioni che si sono succedute dal 1860 alla fine del secolo hanno avuto dei tratti comuni che si possono sintetizzare in questo modo. Il Consiglio comunale era composto in gran parte di fittabili, liberi professionisti e proprietari terrieri, simile in questo a quasi tutti i Consigli comunali dei paesi del Lodigiano, caratterizzati da un’economia eminentemente agricola. Erano espressione di una base elettorale assai ristretta, come prevedeva la legge elettorale allora vigente. Gli elettori a Sant’Angelo nei primi vent’anni dopo l’Unità variarono tra i 368 e i 374 su una popolazione di circa 8.500 abitanti. Con la riforma elettorale del 1882 il numero degli elettori cominciò a crescere così che nel 1892 erano diventati 626. Si trattava però ancora di un numero esiguo se rapportato alla popolazione e tale rimase fino al 1913, quando Giolitti riconobbe il diritto di voto a tutti gli elettori maschi, indipendentemente dalla loro condizione sociale. La preoccupazione principale delle varie amministrazioni municipali era stata quella di perseguire con rigore il pareggio di bilancio, cercando di spendere con molta parsimonia, perché ogni investimento avrebbe significato un aggravio delle tasse comunali che, considerate le misere condizioni della maggioranza della popolazione, avrebbero colpito soprattutto i proprietari. Con l’allargamento parziale della base elettorale si era verificato un progressivo ingresso in Consiglio comunale di rappresentanti di altri ceti sociali: commercianti, piccoli imprenditori, artigiani. Questi fecero sentire la loro voce esprimendo interessi diversi e talvolta contrastanti con quelli dei fittabili e dei proprietari terrieri. Alcuni di questi nuovi rappresentanti avvertivano con particolare lucidità l’inadeguatezza dei servizi e delle strutture esistenti in paese. D’altra parte Sant’Angelo era andata continuamente crescendo nel numero degli abitanti, nell’espansione edilizia e nelle attività industriali e commerciali. Si sentiva insomma che bisognava uscire da quell’ordinaria amministrazione cui per decenni i cittadini erano stati abituati a causa delle scarse risorse finanziarie che le autorità comunali riuscivano a reperire. Diversi nuovi consiglieri erano ormai convinti che occorresse decisamente imboccare la strada del progresso, cominciando a incrementare gli investimenti in opere di pubblica utilità e in infrastrutture, per aiutare il paese a uscire da decenni di arretratezza e miseria, in sintonia con un orientamento che nel primo quindicennio del Novecento andava affermandosi nell’economia e nella società italiane. L’amministrazione di Tomaso Colombo si era fatta interprete di queste istanze e aveva tentato fra il 1900 e il 1907 di imprimere un indirizzo nuovo alla politica amministrativa, facendo finalmente costruire un moderno edificio scolastico (la scuola elementare ancora oggi funzionante in via Morzenti), incentivando con varie iniziative l’alfabetizzazione dei ceti meno abbienti, istituendo il corpo delle guardie municipali per fare applicare più severamente i regolamenti sanitari, progettando un macello pubblico e incoraggiando gli investimenti industriali in paese. Ma tutto questo aveva comportato un notevole cambiamento di rotta nella politica tributaria dell’Amministrazione comunale che, per far fronte alle spese doveva necessariamente aumentare le tasse a carico dei possidenti, i quali costituivano la maggioranza in Consiglio comunale. Ciò determinò una forte reazione della tradizionale classe dirigente che accusò il Sindaco di “prodigalità” e lo pose in minoranza determinandone la caduta. Sorte non dissimile toccò al suo pur prudente successore, l’ingegner Giuseppe Bondioli, che era stato anche suo predecessore per un quadriennio. Anche Bondioli si trovò nella necessità di reperire risorse finanziarie per far fronte al crescente fabbisogno del paese e colmare il deficit ereditato dalla giunta Colombo, ma anche a lui fu, di fatto, negata ogni possibilità di attingere a nuove risorse finanziarie mediante il necessario aggravio della tassazione, e fu costretto a dimettersi. A questo punto le autorità superiori dovettero provvedere alla designazione del Commissario straordinario, dottor Carlo Silvetti. Questi lavorò con grande impegno e diligenza fra l’ottobre e il dicembre del 1910, esaminando accuratamente la documentazione e giungendo a queste conclusioni: “Analizzando le voci delle spese ho trovato che tutti gli stanziamenti sono insufficienti allo scopo per il quale vengono impostati, e cioè le spese superano di molto la quota prevista dalla cessata Giunta […]. Indagando sui precedenti rilevai che il metodo di limitare gli stanziamenti per non dover ricorrere a rinforzi di tasse venne eretto a sistema […]. Senonché i bisogni di un Comune come Sant’Angelo Lodigiano sono in costante aumento e savia regola d’amministrazione è appunto quella di prevedere le spese effettive con assoluta sincerità, provvedere agli stanziamenti con la voluta larghezza nelle previsioni tanto più […] quando la Giunta riconosce […] l’insufficienza degli stanziamenti di fronte alle spese […]. Ed infatti, la ragione vera della crisi deve ricercarsi precipuamente nella condizione disastrosa delle finanze comunali e nella necessità dell’amministrazione di dar mano all’aumento delle tasse” e a un ritocco dell’imposta su fabbricati e proprietà. “Provvedimenti questi di imprescindibile necessità per poter dare al bilancio il naturale assetto; ma che nessuna amministrazione cittadina si sentiva (per ragioni facili a comprendersi) in grado di poter applicare” (“Íl Fanfulla”, 26 novembre 1910).Tutto il senso della relazione del Commissario sta in quella parentesi, “per ragioni facili a comprendersi”, che significava in sostanza che nessun amministratore si sarebbe assunto la responsabilità politica di aumentare drasticamente le tasse nella misura necessaria per poter fornire ai cittadini quei servizi e quelle strutture ormai irrinunciabili e sollecitati anche da una serie di disposizioni di legge. Per qualunque Sindaco, infatti, compiere un’operazione del genere avrebbe significato una perdita secca del proprio elettorato che, come abbiamo visto, era costituito da un ristretto numero di notabili, quasi tutti imparentati tra di loro, che cercavano in primo luogo di tutelare i propri interessi sociali, economici e familiari. Ciò che appare paradossale in questa situazione è che, secondo la relazione del Commissario la sovrimposta su fabbricati e proprietà a Sant’Angelo risultava “molto al di sotto della media dei Comuni della provincia di Milano che superano, come rilevasi dai dati raccolti, la lira di sovrimposta comunale per ogni lira di imposta erariale”, mentre la sovrimposta pagata in paese era di 94 centesimi per ogni lira pagata allo Stato. Si trattava quindi non tanto di imporre balzelli, ma più semplicemente di portare i tributi comunali di Sant’Angelo nella media dei Comuni della provincia di Milano. Le Giunte che avevano provato a fare questa doverosa operazione erano state fatte cadere, e perciò si era dovuti ricorrere al Commissario straordinario, per imporre dall’alto ciò che gli amministratori non erano stati in grado di fare secondo le normali procedure. E il Commissario, resosi rapidamente conto della situazione, in circa tre mesi di permanenza in Comune deliberò l’innalzamento di tutte le tasse comunali portandole complessivamente ai livelli della media provinciale e cercò contemporaneamente di porre rimedio a una serie di “anomalie” che aveva riscontrato, tutte collegabili alla cronica limitatezza delle entrate comunali. A seguito delle ispezioni compiute risultò la mancanza in Comune del “registro della popolazione”, nonostante la legge avesse prescritto l’anno 1907 come termine ultimo per la sua installazione. Dal registro doveva risultare lo stato economico e patrimoniale dei cittadini residenti in Comune. Questa mancanza oltre ad essere una grave infrazione, come faceva notare il Commissario regio, privava l’amministrazione dello strumento più importante per l’accertamento di chi dovesse pagare le tasse comunali (e in che misura) e di chi avesse effettivamente diritto a determinate forme di assistenza. E questo spiega in parte le difficoltà che avevano avuto le diverse amministrazioni a predisporre corrette previsioni di entrata e a programmare le spese.Il Commissario aveva inoltre accolto tutte le richieste di aumento di salari e stipendi dei dipendenti comunali, giacenti nei cassetti da decenni, ritenendo tali compensi assai bassi rispetto a quelli pagati mediamente negli altri Comuni del Milanese. Non era stato, infatti, un caso che da alcuni decenni vi fosse stata una girandola di maestri, medici condotti, levatrici che, dopo l’assunzione, avevano cercato (e spesso trovato) collocazione in altri Comuni, lasciando vacanti i posti o obbligando il Consiglio comunale a bandire continuamente concorsi per trovare nuovo personale. Anche in questo caso i motivi andavano ricercati nel dissesto finanziario che, come abbiamo detto e come il Commissario non mancò di sottolineare, aveva origini lontane. Constatato successivamente che in alcune classi femminili della scuola elementare si superava il numero di 70 alunne, deliberava lo sdoppiamento delle stesse, con l’assunzione di nuove maestre e con la raccomandazione, indirizzata al Consiglio comunale di nuovo insediamento, di costruire un nuovo edificio scolastico. E mise inoltre una “delibera di massima” – che richiedeva dunque una ratifica del nuovo Consiglio comunale – per la costruzione di un macello comunale (per il quale si era battuto l’ex-sindaco Colombo, senza peraltro ottenere risultati) facendone anche preparare un progetto all’ingegnere lodigiano Alfredo Pioltelli. Insomma, in tre mesi di commissariamento venne in pratica realizzata molta parte di quanto le amministrazioni comunali avrebbero dovuto fare (e non fecero) nei decenni precedenti. Ma venne anche fotografata, attraverso la puntuale relazione del Commissario, la situazione amministrativa dei decenni precedenti che, pur nella asciuttezza e talvolta ermeticità del linguaggio burocratico, offre più di uno spunto di riflessione sul passato e sul presente di questo paese. Angelo Montenegro Da “Il Foglio di Storia Locale”, anno IX, n. 56, giugno 1993 |
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