Sant’Angelo: destinato alla collettività un alloggio confiscato al crimine
A colloquio con l’associazione Casabarasa

Inaugurata nel mese di settembre una casa tolta alla criminalità e restituita al territorio per andare incontro alle emergenze abitative della società civile.
E’ questa la notizia che porta in prima pagina “Casabarasa”, l’associazione nata nel 2013 proprio per cercare soluzioni abitative temporanee a persone e famiglie in difficoltà economica e sociale.
Ne parliamo con il direttivo della associazione, un gruppo di otto santangiolini ben motivati, che stanno guidando con successo l’associazione anche fuori dai confini cittadini.
Iniziamo col parlare di questa casa confiscata in via Pandini… l’avete chiamata Casa Bianca, perché?
Il bianco richiama l’immagine di un bene ripulito, proprio come è avvenuto con questo appartamento di provenienza illecita per il quale la legge prevede un riutilizzo sociale. E poi il bianco è la somma di tutti i colori, ci sembra un bel segno.
Come è arrivata nelle disponibilità della vostra associazione?
L’iter burocratico prevede che un bene sequestrato venga assegnato dalla Prefettura al Comune. Poi è quest’ultimo a individuare i soggetti che lo possono gestire… Nel nostro caso l’appartamento, che era già nella disponibilità dell’ amministrazione comunale dal 2014, ci è stato assegnato dal Commissario Dott. Savastano nell’aprile del 2016.
La convenzione con cui il Comune ci ha assegnato questo alloggio (sottoscritta anche dalle due Parrocchie di Sant’Angelo e dalle associazioni Libera e Progetto Insieme) prevede un contratto di comodato d’uso. Ora vedremo, sempre in collaborazione con l’amministrazione comunale, a quali persone potremo destinarlo.

Appunto, parliamo dell’utenza. A chi è principalmente rivolto il vostro servizio?
La chiave del nostro intervento è il supporto abitativo temporaneo, cioè un aiuto limitato nel tempo per chi vive un periodo di difficoltà, che gli permetta di superare il momento buio e di rimettersi in carreggiata.
I nostri utenti devono avere un minimo di capacità di reddito, anche perché devono riconoscere ai proprietari delle case un rimborso spese che va dai 100 ai 150 euro mensili, oltre al pagamento delle utenze. Per fare due semplici esempi, da noi può venire la famiglia (italiana o immigrata) che, perso il lavoro, viene sfrattata ed è in attesa di trovare una nuova soluzione, oppure il padre separato che si trova nell’emergenza di cercare un posto mentre prova a rimettere in sesto la propria vita…

Tecnicamente come funziona la gestione delle abitazioni?
Da un lato raccogliamo la disponibilità di abitazioni da parte di enti pubblici o privati (per esempio dai comuni oppure da soggetti come la CISL con la quale abbiamo iniziato proprio la nostra esperienza) oppure da singoli cittadini che mettono a disposizione alloggi di loro proprietà.
Dall’altro, tramite i servizi sociali, le parrocchie, la Caritas, raccogliamo e valutiamo le domande. Dal punto di vista giuridico l’associazione stipula un contratto di comodato precario sia con la proprietà sia con le persone in situazione di disagio abitativo. Nel contratto (che consente di utilizzare l’abitazione per un periodo che può variare dai 6 ai 24 mesi) l’associazione garantisce alla proprietà il rimborso spese pattuito nonché l’eventuale ripristino di piccoli danni qualora ce ne fosse bisogno.
Inoltre nei contratti è prevista la possibilità per i proprietari di rientrare in possesso del proprio bene nel giro di 30 giorni.
E poi c’è tutto il lavoro di tutoraggio…
L’altro fronte su cui ci muoviamo è rappresentato proprio dalle azioni di aiuto e sostegno finalizzate alla progressiva emancipazione dalla povertà e al raggiungimento della piena autonomia. Talvolta nei percorsi di tutoraggio occorre l’intervento di altri soggetti perché i casi che affrontiamo non riguardano solo la povertà economica.
Ad esempio ci rivolgiamo al centro antiviolenza di Lodi per supportare casi di donne che escono da situazioni pesantissime, oppure all’associazione Arsenale dell’accoglienza di Borghetto Lodigiano, che può mettere in campo interventi educativi e psicologici, o ancora, nei comuni dove funzionano, chiediamo l’aiuto dei servizi sociali.
E poi ci siamo noi con le nostre sensibilità. E’ del tutto evidente che, al di là del rapporto burocratico, si sviluppa una dimensione di prossimità con queste persone e una volta che le hai conosciute sei coinvolto nelle loro vite, ci sei dentro.

Da quando siete nati, nel 2013, avete accompagnato diverse persone. Siete già in grado di valutare i percorsi intrapresi proprio nell’ottica della emancipazione di cui parlavate prima?
Nel corso di questi anni abbiamo imparato tante cose, abbiamo ad esempio rivisto i contratti sulla base delle esperienze, e stiamo affrontando proprio in questi giorni la questione della durata dei comodati perché purtroppo la povertà può avere tempi più lunghi di quelli previsti…
Le storie che abbiamo incontrato sono tante, molte sono ancora in corso, alcune sono finite bene altre invece no.
Fra i primi ospiti c’erano alcuni ragazzi del Mali… Di quelli con cui siamo ancora in contatto possiamo dire che uno ha ottenuto un alloggio dell’Aler, un altro si è trasferito e come lavoro si occupa di profughi: qualche giorno fa ci ha mandato una foto insieme alla ministra Boschi…
E’ invece andata male per una famiglia rumena, padre madre e un bimbo piccolo. Non sono riusciti a stabilizzarsi con il lavoro e sono ritornati al loro Paese. Sappiamo che il padre è poi ripartito per la Germania.
E attualmente nelle nostre case in tutto il lodigiano abbiamo ospiti stranieri e italiani con situazioni le più diverse…

C’è differenza fra i bisogni degli stranieri e quelli degli italiani?
Beh, gli stranieri hanno un progetto migratorio ben preciso (migliorare la propria situazione economica, curarsi, far studiare i figli…) e sono ben determinati a portarlo avanti. Le storie degli italiani talvolta sono più complesse e pesanti dal punto di vista umano. E quando le persone si portano dietro un passato di violenza o disagio sociale sono forse più esposte al rischio di essere “invisibili” anche ai servizi sociali. In termini di numeri invece siamo al 50% fra italiani e stranieri.
La vostra associazione è referente per le emergenze abitative nel progetto Rigenerare Valore Sociale di Fondazione Cariplo per il Lodigiano, questo ha allargato di molto il vostro campo di azione.
Sì, ci ha permesso di farci conoscere anche da altre realtà .
A Sant’Angelo con la Casa Bianca di via Pandini siamo arrivati ad otto alloggi in gestione (di cui tre messi a disposizione da privati). Ma se guardiamo l’intero territorio lodigiano abbiamo più di venti case.
Siamo anche a San Colombano, Mulazzano, Codogno, Casalpusterlengo, Zelo, Miradolo e Castelnuovo Bocca d’Adda.

Una attività impegnativa che avrà bisogno anche di essere finanziata, come fate?
Come tutte le associazioni abbiamo le quote sociali che come si può immaginare bastano a poco. Per fortuna abbiamo avuto anche il sostegno di qualche imprenditore. E poi grazie alle convenzioni che facciamo con i comuni otteniamo anche noi un piccolo rimborso una tantum per ogni contratto gestito. Infine, grazie al progetto della Fondazione Cariplo, possiamo contare sul rimborso di alcune spese di manutenzione e di gestione amministrativa.
Ovviamente, se qualcuno volesse aiutarci può farlo aderendo al nostro progetto ‘Adozioni a KM zero’.
Allora diamo qualche dettaglio.
E’ una iniziativa a favore dei bambini delle famiglie accolte per poter sostenere l’accesso alla scuola materna. In situazioni di difficoltà economica questa spesa rischia di essere infatti tagliata.
Chi volesse aderire può fare un bonifico intestato a Associazione Casabarasa a questo
Iban: IT03W0503420346000000002276
, con causale: Adozione KM Zero.
Per altre informazioni telefonare al 392 617 3143..

 

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