Come l’abile fotografo restituisce bellezza alla monotonia del quotidiano, plasmandone ad arte la visione che l’uomo comune non sa cogliere, così Mirko Volpi, ricercatore di linguistica italiana all’Università di Pavia, ci incanta modellando sapientemente in un elegante equilibrio di dialetto e termini più ricercati, registro popolare ed aulico, un’ode al sentire comune della nostra gente, popolo della pianura, della nostra terra, quella padana, e di tutta quella stirpe rurale in cui inevitabilmente ci collochiamo, allorché rientriamo nei ranghi degli sconfinati territori piatti e puntellati di paesini tra l’Adda ed il Po, in mezzo l’Oglio; il Ticino ed il Mincio già estremi lontani.
Colloca quindi, anzitutto, i limiti dei nostri luoghi “ad orizzonte di roggia”, lo studioso nosadellese, ma poi come solo un profondo conoscitore di ciò di cui parla, ne pesca magistralmente a fondo i caratteri e le “specie” della nostra geografia culturale, a dipanarsi tra quelle che invero sono più isole di quelle nel mare, approdi dai mille rivoli di polle, canali, risorgive, fontanili, le cui acque lambiscono le nostre terre che da campi e cascine, terreni di foraggio e grano, corti, cascinali e stalle, hanno sempre tratto quella realtà vera dietro cui si cela l’essenza di ciò che a ragione è definito Oceano.
Ed è un mare di pianura che emerge, in un ritratto ancora profondamente contadino, radicato negli arcipelaghi paesani che una contemporaneità prepotente vorrebbe inghiottire, coi suoi svaghi e amenità di un tempo libero, che però qui non esiste: è solo la noia per l’assenza del lavoro, forgiata dal tempo e sublimata a sua volta nella contemplazione del lavoro stesso, cardine e senso all’alternarsi delle stagioni. Con l’afa dell’estate, le nebbie d’autunno e la nostalgia delle galaverne; d’intorno, l’incommensurabile piattezza di un mondo “...ritroso ai piedi del più piccolo accenno di altezze”. - Il vero abitante dell’Oceano Padano non ama il mare salato, non lo capisce, se ne tiene alla larga. “Cosa me ne faccio?” – e poco più avanti – “Cosa ci adacquo? Ci irrighi mica i campi, con questa..” -.
È una poetica che dai nostri luoghi non si erge a universalità del quotidiano, ma dalle profondità di tante distese, l’autore ne coglie gli aspetti più tipici e intimi che accomunano questi posti, il loro spirito, e il costume specifico dei suoi (nostri) stanziali isolani. E come un presidio naturale contro il presente, si evince un’etica di campagna immanente alle nostre terre, che non rifugge la modernità, ma pare discostarsene semplicemente, conservandosi. Sono i quadri dei nostri più prossimi dintorni, che Mirko Volpi dipinge come su tele impressioniste a collegare le parti per il tutto, e titoli come Stagioni, Acqua, Amore, e altre parole che non diciamo, Difendi, Conserva, si uniscono nella prima parte del testo come puntini di un colore, con uno stile letterario che rifugge i tecnicismi del saggista, ma centra al meglio il bersaglio, perché tocca le corde dell’emotività. Nella seconda parte Volpi esemplifica invece nella sua Nosadello l’archetipo della “way of life” di cui sopra, non raggiungendo forse la compattezza del più generale quadro di pianura della prima parte, ma restando pur sempre un’elegia intessuta come da spigolature di un’estate infinita (è anche uno dei titoli di questa metà del testo): un piglio umoristico, talora ripetendosi un poco in quelle caratteristiche del mondo padano descritte poc’anzi, ritrovando un po’ di Nosadello in tutti i paesi, tanto nella triangolazione Nosadello – Gradella – Pandino, come in altri borghi e frazioni di provincia. E tra le campagne ed i silenzi agresti, quel mondo di poche parole; ma che nella penna di chi vi si immerge, è profondo come il mare (Mirko Volpi, Oceano Padano, Editori Laterza, 13 euro).