Luigi Semenza, patriota santangiolino condannato “per amore dell’Italia”
Imprenditore tessile, fratello di Gaetano, nel 1852 fu processato a Mantova per aver
cospirato contro l’Austria con quelli che sarebbero stati i martiri di Belfiore

di Paolo Semenza

A Sant’Angelo la lapide agli eroi del Risorgimento in viale Partigiani cita Luigi Semenza insieme a Raimondo Pandini fra i “cospiratori condannati”.
Quasi di fronte, nella casa all’angolo con via Morzenti, ora sede di un negozio di frutta e di un’agenzia, nacque Luigi Semenza il 6 giugno 1822, da Antonio ed Eva Dehò, e così i suoi fratelli fino a Gaetano nel 1825.
Non ero mai stato a Sant’Angelo, finché tre anni fa lessi su Il Ponte l’articolo su Gaetano Semenza: cercai l’autore, Antonio Saletta, che da allora mi aiuta con pazienza nelle ricerche sulla mia famiglia nell’Archivio parrocchiale. Da lì, lo studio si è esteso. Ho anche incontrato dei parenti che non conoscevo. Le ricerche non sono concluse, ma intanto Antonio mi ha chiesto di scrivere una pagina sul mio trisnonno Luigi.



l’atto di battesimo di Luigi Semenza nell’Archivio parrocchiale di Sant’Angelo

 

La famiglia Semenza

C’erano allora diverse famiglie Semenza a Sant’Angelo, probabilmente tutte più o meno imparentate, per discendenza da comuni antenati vissuti intorno al 1600.
Nella casa con bottega dell’allora Piazza della Fiera viveva la famiglia di Domenico Semenza, commerciante, con la sorella Marianna, la moglie Anna Maria Pasetti e i due figli Antonio e Agostino con le rispettive famiglie.
Avevano anche un po’ di terra, ma l’attività principale della famiglia doveva essere il commercio e la produzione della seta. E per questo Antonio con la moglie si trasferì a Verolanuova, a sud di Brescia, dove acquistò degli immobili a partire dal 1826, dove impiantò o rilevò una filanda e dove nacquero gli ultimi tre figli.
Trasferimento però parziale: anche dopo che Domenico morì nel 1827, Antonio e Agostino continuarono ad essere registrati insieme in Piazza della Fiera e avere un’attività comune, fino al 1839 quando, entrambi in cattive acque, divisero le loro attività e i loro beni: Antonio a Verolanuova e Agostino a Sant’Angelo.
Pochi mesi dopo, i beni di Antonio a Verolanuova passarono al concorso dei creditori, e nel 1840 egli prese in affitto il podere del Torrazzo a Podenzano di Piacenza, con tutta la sua famiglia. Ma a fine 1841 morì a Piacenza. Eva e figli tornarono almeno per qualche tempo a Sant’Angelo.
Nel frattempo, i figli devono aver studiato, e con buoni risultati, a giudicare da come poi si sono distinti in molteplici attività; non sono però riuscito a scoprire dove, a parte il primo figlio Dionigi, che frequentò il Ginnasio di Brera e poi entrò in Seminario a Lodi, dove fu ordinato sacerdote nel 1843.
Il secondo maschio era Luigi, che a Sant’Angelo nel 1844 si fece “dispensare dall’età minore” per poter riacquistare, a rate, casa e filanda di Verolanuova, che erano finite a un creditore. Ma la prima testimonianza della sua attività è una lettera sul mercato della seta, a lui indirizzata a Milano nel 1843 da una ditta di Lione.
Luigi andava spesso a Lione, una delle principali piazze di commercio della seta. Dalla relazione con Claire Dorangeon, che lavorava in una bottega tessile, nacque una bambina, Marie Louise, il 1° marzo 1845. Quando la riconobbe si qualificò come rappresentante di una casa di commercio, abitante a Lione.
Nel 1845 Luigi e anche la madre con i fratelli presero la residenza a Milano, provenienti da Sant’Angelo.
Altre lettere testimoniano un suo recapito a Torino dal 1848. Qui probabilmente incontrò Laura Brambilla: nata nel 1823 a Cassano d’Adda, diplomata al Conservatorio di Milano, era la sorella minore delle famose cantanti liriche Marietta e Teresa. Teresa nell’autunno 1848 interpretava La Favorita al teatro Carignano, e si può immaginare che anche Laura avesse una parte minore, non documentata.
Luigi Semenza e Laura Brambilla si sposarono il 28 febbraio 1849 a Torino. L’atto di matrimonio li indica entrambi domiciliati a Torino. In novembre la madre Eva morì a Milano. La prima figlia Virginia nacque a Torino all’inizio del 1850. Padrino di battesimo fu Gaetano, che in quell’anno sarebbe emigrato a Londra (Luigi sarebbe poi stato padrino della prima figlia di Gaetano). La famiglia si trasferì poi a Verolanuova, dove nacquero Severina nel 1851 e Arturo il 4 ottobre 1852.

L’arresto

Veniamo ora alla vicenda che tanto incise sulla vita sua e della famiglia: Tito Speri costituì a Brescia un comitato insurrezionale segreto contro l’Austria, e Luigi Semenza era membro del sub-comitato di Verolanuova (Palazzi, p. 12). Ma nonostante i sospetti ciò non fu mai scoperto, perché a Brescia non ci furono delatori, e non fu condannato per questo. Ma come allora fu incastrato?
Le indagini e poi il processo di Mantova partirono a gennaio del 1852, con la scoperta di una cartella del prestito mazziniano e l’arresto di don Enrico Tazzoli e altri. Lo stato di assedio in vigore dal 1848 affidava i processi ai militari, e delle indagini era incaricato l’Auditore di Guarnigione Alfred Kraus, in contatto continuo con Radetzky.
Il Registro contabile di Tazzoli, la cui chiave era il Pater Noster, fu decifrato a Vienna, e ciò portò in giugno all’arresto di molti che vi erano citati, fra cui Tito Speri. Un altro degli arrestati, Luigi Castellazzo, parlò di un acquisto di fucili da parte di Giovanni Acerbi, a Broni allora in Piemonte. Lo stesso Registro riportava: “Acerbi per acquistare armi, 3125”. Acerbi però era fuggito. Speri raccontò di esser stato mandato al confine di Pavia con un apposito carretto a doppio fondo per prendere i 50 fucili e portarli a Mantova. Ma le armi, consegnate in Piemonte, non erano arrivate in Lombardia per la troppa sorveglianza di polizia.
Le indagini si andavano esaurendo, concentrate su altri fatti, quando Giulio Faccioli, un altro degli arrestati, udì qualcosa da Speri su un “affare della filanda” e andò a dirlo a Kraus. Kraus interrogò Castellazzo, che disse che l’acquisto di 50 fucili fu combinato con Luigi Semenza presso la sua filanda di Verolanuova, a fine 1851, da Acerbi e Speri. Subito Kraus scrisse a Brescia di arrestare Luigi Semenza e perquisire la sua casa. Fu arrestato la notte del 15 o 16 ottobre 1852, e arrivò nel carcere del Castello di Mantova il 17. Il piccolo Arturo era nato da pochi giorni.
In casa la polizia sequestrò lettere dall’estero, appunti, e lettere sue alla moglie da Mantova (sede del processo) di accompagnamento di carichi di bozzoli: non c’entravano nulla, ma sono ora una testimonianza della sua intensa attività, e anche della sua cura per la figlia lionese, che aveva messo in un bel collegio. Inoltre una trentina di libri, alcuni francesi. A parte qualche libro sospetto o che non avrebbe potuto esser venduto in Lombardia, l’unica cosa veramente di rilievo per l’inquirente era un inventario del 1850 delle armi che aveva in Piemonte, in più depositi, per un totale di 1173 fucili. Attività tuttavia lecita in un altro Stato. Le carte sequestrate e l’elenco dei libri sono conservati all’Archivio di Stato di Mantova.
Semenza non ammise mai di aver saputo a cosa dovevano servire i fucili venduti. Non abbiamo i suoi interrogatori ma solo la sua ultima dichiarazione: “Io protesto di nuovo che ero assolutamente ignaro che queste armi potessero avere sinistro scopo avendo io fatto il contratto per conto di Antongina, sudditto Piemontese, al quale vennero effettivamente consegnati in Torino, che questo fatto potesse essere delittuoso io non lo poteva ne crederlo ne immaginarlo”.

La condanna e la prigionia

Nonostante la mancata importazione delle armi, gli indizi raccolti permisero a Kraus di incolpare Semenza. Speri non lo tradì, disse di non sapere se egli ne conosceva la destinazione. Era saltata fuori una frase, detta da Semenza quando fu fatto l’affare: ma 50 fucili sono pochi. Kraus interrogò Speri: se secondo lui erano pochi, voleva dire che sapeva che dovevano servire per l’insurrezione! Ma Speri sviò: “Per dire il vero io non vi trovai qualche significazione in senso politico, ma mi pareva una espressione del commercio, per indicare che non poteva ridurre i prezzi, per la poca entità del contratto”.
Tuttavia, Luigi Semenza fu giudicato colpevole “di aver venduto ad un Lombardo una Partita d’armi, conoscendone la destinazione per la Lombardia allo scopo rivoluzionario”, e condannato a 5 anni di carcere in ferri, da espiarsi “in una Fortezza, oltre al rimborso solidario [...] pel danno arrecato al R. Erario con le loro mene rivoluzionarie”.
Come fece Kraus a condannarlo? Nella requisitoria del 12 febbraio 1853 egli scrisse (da Belfiore II, p. 730.743, con modifiche): “non è mai stato sottoposto ad indagine giudiziaria. In relazione alle sue idee politiche, nulla di sfavorevole sussiste nei suoi confronti, tuttavia il suo fratello Dionigi, che vive a Londra, ha fama di mazziniano e già in passato è stata eseguita una perquisizione nella casa di Luigi Semenza per sospetto occultamento d’armi o corrispondenza segreta con la propaganda rivoluzionaria, ma senza risultati”. Kraus sembra far confusione fra i due fratelli: Gaetano, commerciante a Londra e amico di Mazzini, e don Dionigi, anch’egli espatriato e studente di teologia a Friburgo.
Semenza ammise di aver trattato una partita d’armi, e munizioni, col lombardo Acerbi, sostenendo però che fossero per il piemontese Antongina, per la Guardia Nazionale a Broni. Ammise anche di essere andato da Acerbi a Mantova per il saldo. Ma Kraus osservò che Antongina non avrebbe avuto alcun bisogno di un mediatore lombardo e considerò questi fatti un indizio legale “vicino” che Semenza potesse ben sapere che le armi erano per la Lombardia, e quindi allo scopo di “alto tradimento, poiché una simile quantità d’armi da importare segretamente in Lombardia poteva essere destinata solamente ad imprese pericolose per lo Stato”.
Inoltre Castellazzo, per Kraus un “pentito” credibile in tutti gli altri casi, lo accusò in un confronto di aver saputo che le armi erano per la Lombardia e per l’insurrezione. In considerazione del sospetto già visto (forse sorto per via della “cattiva fama” di Gaetano, e forse anche di Dionigi, ed espresso nel manifesto della sentenza con: “di dubbia fama politica”) Kraus valutò l’accusa un indizio legale “vicinissimo”.
Semenza però negava, e questi indizi non costituivano una piena prova legale. Fra l’altro, come scrisse anche Speri nella lettera a Tarquinia Massarani del 24 febbraio 1853, Castellazzo era un testimone solo indiretto di un fatto raccontatogli da Acerbi.
Il Codice Penale del 1803, I § 430 prevedeva che senza una prova completa, difficile da raggiungere senza una piena e circostanziata confessione, nessuno potesse esser condannato a morte, ma al massimo a 20 anni. Ma anche l’art. 34 della Constitutio Criminalis Theresiana, che era ancora una fonte della legge militare, vigente in stato d’emergenza, stabiliva analoghi limiti per l’applicazione della pena di morte, che era la pena ordinaria per l’alto tradimento. Ma consentiva alla “discrezione ragionevole” del giudice una pena straordinaria e arbitraria.
Così, nel Giudizio di Guerra del 15 febbraio 1853 furono condannati per alto tradimento in 27: a morte tutti i 23 che avevano confessato, a vari anni di carcere Semenza e altri tre, dichiarati colpevoli “per concorso di circostanze”. Radetzky confermò le pene detentive, e la pena di morte a Speri, Grazioli e Montanari che furono impiccati il 3 marzo. Agli altri commutò “in via di grazia” la pena di morte in anni di carcere. Castellazzo invece sparì dalla sentenza e fu liberato...
Luigi Pastro (p. 183) racconta che dopo la lettura della sentenza tornò in prigione in carrozza con Semenza e due guardie. Semenza gli sussurrò all’orecchio in francese: “Fuggiamo!” Pastro lo guardò, accennando ai gendarmi. E Semenza: “Forse non avrem mai più un’occasione più propizia”. Pastro rise, ma Semenza: “Si vede che non sei marito, né padre”. Meno male che non ci provarono...
Il 17 maggio i condannati partirono per le fortezze in Boemia: la maggior parte a Josefstadt, Semenza con altri cinque a Theresienstadt (oggi Terezín, 50 km a nord di Praga). Pastro riferisce che nel 1855 furono tutti trasferiti a Josefstadt (Josefov presso Jaroměř, più ad est).
La condanna comportava il “sequestro politico militare” dei beni, affidati a un gestore che dava i proventi allo Stato. La moglie Laura chiese gli alimenti per sé e i figli a termini di legge. Andò a Vienna a chiedere la grazia e a visitare il marito in carcere a Theresienstadt, con la piccola Virginia che alla vista del padre in catene scoppiò a piangere, e allora le catene gli furono momentaneamente tolte. La lapide sulla tomba di Laura testimonia: “Il marito per straniera tirannide sofferente eroicamente soccorse”.

La liberazione

Di fatto, Luigi Semenza fu graziato qualche mese prima della maggior parte degli altri, per la nascita della seconda figlia dell’Imperatore, Gisella, il 12 luglio 1856. In totale fece quindi 3 anni e 9 mesi di prigione. Il resto dei detenuti politici italiani fu graziato il 2 dicembre 1856, per la visita dell’Imperatore in Lombardo-Veneto.
Con la grazia, venne tolto anche il sequestro dei beni. Una circolare di Polizia del 7 settembre, disponendo di “mantenere su lui una viva sorveglianza” disse che pareva intenzionato a trasferirsi a Milano, dove la famiglia risiedeva già durante la sua prigionia.
Non si sa quanto facilmente e rapidamente Luigi riprese energie ed attività, forse però non si riprese mai del tutto dal punto di vista economico: alla Camera di Commercio di Milano risulta che nel 1859 aprì un negozio di seta e forniture militari (dopo il passaggio della Lombardia al Regno di Sardegna...), ma chiuse questa attività nel 1863 per “gravi sventure” economiche.
Con alterne vicende, la Filanda Semenza (importante per un secolo per l’occupazione e lo sviluppo di Verolanuova) e i commerci proseguirono, con la collaborazione delle sorelle, Marianna, Rosa e Maria, che si sposarono tardi, fra il 1858 e il 1863, probabilmente anche per le disavventure di Luigi. Anche Gaetano a Londra e il fratello minore Enrico a Lione, oltre ad avere proprie attività, collaboravano nei commerci della filanda.
Nel 1862 Luigi e Laura ebbero un altro figlio, Enrico, a Milano.
Del 9 dicembre 1866 un telegramma a Gaetano, da Verolanuova a Londra: “Sei eletto deputato parlamento Italiano maggiorità imponente voti spontanei fatti coraggio tutti ti salutano. Luigi”.
Nel 1868 la prima figlia Marie Louise sposò a Lione il tedesco Albert Löw. Intervenne anche Luigi e suo fratello Enrico fu testimone di nozze. Löw fu poi collaboratore di Gaetano nella costruzione delle Ferrovie Sarde e Roma-Fiumicino.
Luigi morì mentre era di passaggio a Torino il 30 settembre 1869. Fu sepolto a Verolanuova, la sua lapide recita: Luigi Semenza / per amore d’Italia penò 4 anni a Theresienstadt / cittadino d’opere utilissimo / per ingegno attività e industria / degno ne’ commerci di miglior fortuna / a 47 anni morto a Torino il 30 settembre 1869 / e qui trasportato per desiderio de’ suoi e di tutti / lasciava desolati e dolorosi per sempre / parenti, moglie, quattro figli e il paese tutto / che s’ebbe da lui lustro e lavoro.
Dopo la sua morte i suoi immobili andarono all’asta nel 1873, ma Laura riuscì a ricomprarli cedendone una parte. Nel 1880 Laura cedette la filanda al figlio Arturo, che in precedenza era a Londra come collaboratore di Gaetano, e che poi la gestì per quasi 50 anni, anche con la famiglia di Virginia.

Bibliografia
Cipolla C., Belfiore. I e II, Franco Angeli 2006 (l’opera più approfondita sull’argomento).
Palazzi F., Del comitato segreto insurrezionale bresciano 1850-51, 1886 (in rete).
Pastro L., Ricordi di Prigione, Gaspari 2009 (bel libro del 1907, qualche ricordo impreciso su Semenza).

IL PONTE - foglio d'informazione locale di Sant'Angelo Lodigiano



Sopra il ritratto di Luigi Semenza (Mantova, ASCMn, Museo del Risorgimento e della Resistenza “R. Giusti”, Fotografie, n. 18) e sotto il nucleo famigliare di Luigi nell’anno 1829 al n. 321 di Piazza della Fiera a Sant’Angelo, dallo Stato d’Anime dell’Archivio parrocchiale.