Il brutto pasticcio dei quadri spariti
La curiosa vicenda, nel 1676, di un lascito del conte Paolo Bolognini,
che lega alla Parrocchia di Sant’Angelo dipinti di ingente valore.
Una discutibile convenzione stipulata tra l’autorità ecclesiastica e i Bolognini favorisce i feudatari, consentendo l’alienazione dei quadri, sostituiti da copie, anch’esse irreperibili.

di Antonio Saletta

“Di monumenti e opere d’arte Sant’Angelo non doveva esserne priva”, così afferma un brano contenuto nell’opuscolo per la “Fiera del Festone” del 1937, uno scritto senza firma ma che, per il suo carattere storico, riteniamo possa essere attribuito alla penna di don Nicola De Martino.
L’autore si sofferma specialmente sulle opere d’arte della chiesa parrocchiale, fra cui magnifici arazzi donati dagli Attendolo Bolognini (saccheggiati e portati in Francia nel 1796, dalle truppe accorse in aiuto a Napoleone Bonaparte) e dipinti donati dal conte Giovanni Paolo alla chiesa parrocchiale nel 1676.
È bastata questa notizia e il ritrovamento di alcuni documenti, per riaccendere l’interesse, mai sopito, sulla curiosa vicenda di queste opere d’arte, avvenuta trecentoquaranta anni fa.

Il testamento

“Essendo la vita e la morte di ciascheduno nelle mani di Dio onnipotente, è molto meglio sii sotto il timor della morte vivere che sotto la speranza di vivere essere da essa colto, perciò [...] ho deliberato di fare questo mio testamento [...]”. È così che il 16 dicembre 1676, il conte Paolo Attendolo Bolognini, uomo di fervente religiosità, inizia il suo testamento che lega alla “cappella di patronato Attendolo Bolognini al titolo di San Michele Arcangelo nella chiesa parrocchiale di Sant’Antonio abate in Sant’Angelo”, tutti i suoi quadri di carattere sacro che, al momento della sua morte, si trovano nella sua casa di Milano. Nell’atto, steso dal notaio Giovanni Battista Bassio, si fa obbligo al “signor Curato di S. Angelo” che non si dovessero in nessun modo alienare e farne copie, “perché voglio che detti miei quadri restino perpetuamente alla soddetta Cappella di S. Michele ad eterna mia memoria, che tale è la mia ultima volontà”.

Basta scorrere l’elenco di questi dipinti e dei rispettivi autori per rendersi conto del loro valore artistico: un Ecce Homo di Tiziano, Santa Maddalena e Santa Marta sempre di Tiziano, l’Adorazione dei Magi di autore ignoto, un Cristo che porta la Croce del Luini, Nostro Signore con sei figure di Palma il Vecchio, Santa Agnese di un cavaliere romano, San Francesco del Cerano, San Giovanni Battista di autore ignoto, Natività di Nostro Signore di Camillo Procaccini, Cenacolo ossia Nozze con figure numero undici, con una scimmia e cagnolino di Alberto Sonello, San Sebastiano del Cerano.
Il 5 gennaio 1677, appena venti giorni dopo avere redatto il testamento, il conte Paolo Attendolo Bolognini muore nel suo palazzo di Milano, e immediatamente i fratelli Galeazzo, frate Giuseppe e Vittorio, parenti del defunto, rendendosi conto dell’ingente valore dei quadri, impugnano il testamento, cercando in tutti i modi di venire in possesso dei quadri, costringendo gli esecutori testamentari a nasconderli nel convento delle suore di via Lentasio a Milano.
Quando sembra evidente che l’azione legale non può avere possibilità di successo, molto furbescamente, i fratelli Bolognini cercano una soluzione bonaria e accomodante, rimettendo il tutto nelle mani del vescovo di Lodi, mons. Bartolomeo Menatti. Egli, dopo essersi consigliato con l’avvocato Pietro Paolo Arrigoni di Milano, decide di non fare causa ai Bolognini, perché la vertenza si sarebbe protratta nel tempo e soprattutto sarebbe stata dispendiosa, non avendo la Chiesa lodigiana i mezzi economici per condurla a buon fine.
Purtroppo si arriva ad un discutibile accomodamento, con il risultato di una assurda convenzione che, come vedremo, favorisce i feudatari Bolognini e, soprattutto, suona offesa alla volontà testamentaria del conte Paolo.
Vengono coinvolti, loro malgrado, don Giuseppe Senna, rettore della chiesa di Sant’Antonio abate, con i deputati e i dirigenti del Monte di Pietà, che avrebbero avuto il compito di garantire l’esecuzione del testamento.
La convenzione
Il 22 dicembre 1682, a sei anni dalla morte del conte Paolo, il vescovo Bartolomeo Menatti, assistito da don Pietro Antonio Maldotti, vicario generale e prevosto della chiesa dei Santi Naborre e Felice di Lodi, conclude l’accordo con i Bolognini.
La fretta appare alquanto sospettosa, a dimostrazione della volontà delle parti di concludere rapidamente una questione che scotta.
La convenzione (di cui riproduciamo la parte iniziale) obbliga la consegna immediata dei quadri ai conti Attendolo Bolognini, i quali si impegnano, entro sei mesi, a far eseguire le copie da un autorevole pittore per poi consegnarle alla parrocchia di Sant’Angelo, perché siano conservate e esposte nelle festività.
A determinare il valore economico dei quadri, sono chiamati i pittori Santo Agostino e Giuseppe Moratti, che nel convento delle suore di via Lentasio di Milano, dove si trovano i quadri, compiono la loro valutazione, modificando in alcuni casi l’attribuzione degli autori: Ecce Homo attribuito al Tintoretto e non al Tiziano, L. 200; Maddalena del Tiziano L. 400; Santa Marta del Cerano L. 400: Adorazione dei Magi, di autore ignoto, L. 200; Nostro Signore che porta la Croce, piccolo quadro del Luini, L. 80; Nostro Signore con sei figure di Palma il Vecchio, L. 600; Santa Agnese di un cavaliere romano, L. 100; San Francesco, attribuito al Procaccini e non al Cerano, L. 80, testa di San Giovanni Battista e due figure di autore ignoto, L. 100; Natività di Nostro Signore attribuito a Giulio Cesare Procaccini e non a Camillo Procaccini, L. 300; Cenacolo ossia Nozze con figure numero undici, con una scimmia e un cagnolino, di cui non è citato l’autore, L. 120; San Sebastiano, attribuito a Camillo Procaccini e non al Cerano, L. 150. In totale Lire 2330.
Lo storico Giovanni Pedrazzini Sobacchi, a cui si deve il merito di avere compilato una puntuale cronaca di questa vicenda, nell’Archivio Storico Lodigiano - 1929 (Anno XLVIII), da cui abbiamo tratto parte delle notizie, scrive che, da sue ricerche, il quadro del Cenacolo, essendo un soggetto profano, sarebbe stato sostituito da un San Giovannino di Giovanni d’Andrea detto il Sordo.
Dove sono finiti i quadri?
È questo il punto nevralgico della vicenda.
Se, come appare logico, i dipinti originali finiti nelle mani dei fratelli Galeazzo, Giuseppe e Vittorio, nel corso dei secoli sono stati suddivisi tra le varie famiglie Bolognini, delle copie dei quadri, consegnate alla chiesa di Sant’Angelo invece, si perdono letteralmente le tracce.
In un inventario del 17 ottobre 1718, al tempo del rettore Stefano Alessandro Prati, è documentata la loro presenza in parrocchia, mentre il Sobacchi menziona una ricognizione ai quadri avvenuta nel 1919 in sua presenza e in quella di don Nicola De Martino e del pittore Oppio. Riferisce di dipinti posti “un po’ nella chiesa propriamente detta, un po’ nella sacrestia e nel coro”, aggiungendo che “corrispondono esattamente all’elencazione dei due valentissimi pittori Santo Agostino e Moratti”.
Nel 1931, un anno prima della sua morte, Giovanni Pedrazzini Sobacchi pubblica sull’Archivio Storico Lodigiano un brano in cui afferma che i quadri “intelaiati sulle imposte degli stipi e dei reliquiari della sacrestia” sono due delle famose copie dei Bolognini.
In effetti uno dei dipinti raffigura un Cristo incoronato di spine, mentre l’altro rappresenta una figura femminile che, finora indicata come una Madonna Addolorata, potrebbe essere la Maddalena, uno dei quadri inseriti nel testamento del conte Paolo, ipotesi avvalorata dalla valutazione effettuata nel corso dell’inventario del 1981 da Chiara Vanzetto, della Soprintendenza ai Beni Artistici di Milano che, per il Cristo coronato di spine, così si esprime: “Non esiste un preciso riferimento tizianesco, benché, tra le varie redazioni eseguite da Tiziano di questo soggetto, la tela in questione si avvicini a quella conservata a Sibiu (Romania)”.
Chiara Vanzetto, rispetto al dipinto della Madonna Addolorata, afferma “…che può essere una derivazione dell’opera del medesimo soggetto dipinto da Tiziano e conservato al Prado di Madrid”.
Ne consegue che il Pedrazzini Sobacchi ha detto il vero e, a questo punto, ci piacerebbe che tali valutazioni fossero approfondite da storici dell’arte e intenditori, auspicando che, inoltre, persone di buona volontà ricerchino nelle pinacoteche o in raccolte private, almeno qualcuna delle opere originali.
D’altronde, il Sobacchi, in una nota finale dell’articolo citato, scrive: “Sarebbe arrischiato fare delle induzioni sul luogo (forse non tanto lontano) ove, in più che mai legittimo possesso naturalmente, si potrebbero trovare alcuni dei famosi quadri”.






Nelle immagini, a destra: i dipinti posti nella sacrestia della Basilica che, a detta dello storico Pedrazzini Sobacchi, sarebbero due delle famose copie fatte eseguire dai Bolognini;
sopra: la prima pagina della convenzione siglata dal vescovo di Lodi e dagli eredi del defunto conte;
sotto: mons. Bartolomeo Menatti, vescovo di Lodi dal 1673 al 1702, in un ritratto della quadreria dei vescovi, nel palazzo vescovile di Lodi.