Rappresentanti locali e attività di ricerca sono solo due dei punti da sciogliere:
il rischio è che le decisioni su un patrimonio santangiolino vengano prese a Roma
Sulla Fondazione Bolognini sembra essere calato il silenzio e mancano certezze
Un consiglio di amministrazione ormai privo di rappresentanti locali. La relazione di un avvocato romagnolo in cui si indica che la Fondazione ha cessato progressivamente le attività per cui era stata pensata. E un patrimonio immenso, costituito da terreni, cascine e in primo luogo dal castello di Sant’Angelo, un bene di straordinaria importanza per il Lodigiano e in generale per tutta la Lombardia, che al suo interno ospita tre musei e la sede della Fondazione stessa.
Sembra calato il silenzio sul futuro della Fondazione Morando Bolognini, nata per volontà della contessa Lydia Caprara, vedova del conte Gian Giacomo Morando Bolognini, con l’obiettivo di svolgere ricerca in campo agricolo e dotata di un patrimonio milionario, tra cui spicca proprio il maniero barasino. Il silenzio è però carico di incertezze e, in una fase delicatissima per l’ente, il rischio è che da Roma si decida il futuro di una risorsa locale che appartiene alla collettività.
Gli ultimi progetti di riforma dei centri di ricerca del Ministero dell’Agricoltura hanno posto sotto l’ombrello del Crea lo storico Istituto sperimentale per la cerealicoltura di Sant’Angelo, creato (inizialmente con altro nome) a seguito del lascito testamentario della contessa Lydia Caprara. Questo è l’ultimo dato certo da cui partire per cercare di fare chiarezza sul futuro del castello santangiolino e della Fondazione Bolognini. Da questo punto in poi, emergono solo elementi che meritano un approfondimento.
Il primo è legato al consiglio di amministrazione della Fondazione, del quale, dopo un periodo di commissariamento, oggi fanno parte soltanto esponenti che non provengono dal nostro territorio, ma da altre regioni d’Italia. Rimane vacante il posto che storicamente è appartenuto al rappresentante locale e che deve essere indicato dalla Camera di commercio. Archiviata la Camera di commercio di Lodi, la nomina spetta alla nuova Camera metropolitana di Milano, che tuttavia non ha ancora provveduto e - anzi - avrebbe indicato di non essere interessata a esercitare questo diritto di nomina. Il rischio, chiaramente, è che sul patrimonio della Fondazione Bolognini vengano prese decisioni da esponenti non lodigiani e che, non essendo presente nel cda il rappresentante territoriale, nessuno possa concretamente svolgere un’azione di vigilanza.
C’è poi il tema delle fonti di reddito della Fondazione. Tra questi gli affitti dei terreni coltivati e dei fabbricati, i frutti delle coltivazioni e le royalties per il mantenimento in purezza delle varietà cerealicole selezionate in passato dall’Istituto. Il rischio concreto è che progressivamente queste royalties passino direttamente in capo al Crea, privando la Fondazione Bolognini di importanti entrate.
E proprio le fonti di reddito sono uno degli elementi presi in esame dalla valutazione sulla situazione della Fondazione Bolognini commissionata pochi mesi fa a un avvocato di Faenza, dalla quale emerge un quadro preoccupante, che suona come un ulteriore campanello di allarme. Senza fonti di reddito la Fondazione non avrebbe più ragione di esistere e lo statuto parla chiaro, indicando che in caso di scioglimento il patrimonio (tra cui appunto il castello) debba essere devoluto al Consiglio per la ricerca in agricoltura (che non esiste più ed è entrato nel Crea) o ad altri enti con finalità analoghe o di pubblica utilità.
La Redazione
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