L’antica storia dei cordai di Borgo San Martino,
un tuffo nella Sant’Angelo che non esiste più
Nei cortili del borgo, sulle tracce di uno scrigno di inestimabili ricordi.

di Lorenzo Rinaldi

Al netto degli eventi atmosferici avversi, a Borgo San Martino il lavoro dei “calcagnòn” (così venivano anche chiamati i “curdè” per via dell’ininterrotto andirivieni sui “santé”) non conosceva soste. “Quando era impossibile stare all’aperto, ci si concentrava su qualche altra attività, ad esempio nell’impacchettamento dei gomitoli”, racconta Rosario Arisi. Sui “santé” (che potevano disporre anche di due/tre piste, vale a dire due/tre linee di lavorazione affiancate) si trovavano uomini e donne, senza particolari distinzioni, se non per il fatto che solitamente i lavori più duri erano affidati ai primi. Quella dell’operaio della corda - almeno per quanti non lavoravano a tempo pieno - era un’attività che permetteva inoltre di integrare le entrate economiche della famiglia. Sebbene consentisse di lavorare gran parte dell’anno, i ricavi, almeno per i dipendenti, non erano particolarmente rilevanti, tanto che, come abbiamo già visto, proprio a seguito del boom economico e dell’apertura delle fabbriche la manodopera iniziò a scarseggiare attirata da altre e migliori prospettive occupazionali.

Fatica e magro stipendio

Tra quanti hanno fatto i “curdè” negli anni Cinquanta, quando ancora erano ragazzini, vi è chi ricorda che la paga, corrisposta ogni settimana, era di 14 lire. E c’è chi aggiunge che al mercoledì qualche operaio era solito rivolgersi al proprietario del “santé” chiedendo un anticipo sulla paga perché con il magro stipendio “non sarebbe riuscito ad arrivare al venerdì”. La stragrande maggioranza dei ragazzini che ogni estate percorrevano chilometri intrecciando la corda non erano in regola e dopo qualche mese di lavoro sarebbero tornati sui banchi di scuola. Discorso differente per gli adulti, dipendenti delle famiglie dei cordai: abbiamo raccolto testimonianze che ci spingono a dire che anche in questo caso il lavoro nero era molto diffuso, anche se vi sono certezze (e qualcuno ancora conserva il libretto di lavoro) che parte degli operai fosse in regola, specie nelle realtà più grandi. Di certo stiamo parlando di un mondo del lavoro estremamente differente da quello odierno, sicuramente con meno tutele.
Quello che scorreva sui “santé” era un mondo antico, fatto di fatica ma anche del gusto di stare insieme, che forse oggi si è un po’ perso. Gli uomini durante il lavoro erano soliti cantare brani da celebri opere, tanto che un “curdè” è passato alla storia con il soprannome di “Tamagno” (un omaggio al celebre tenore, Francesco Tamagno, 1850/1905) e il nucleo storico dei cantori della basilica arrivava proprio da Borgo San Martino.

Dallo spago alle gomene

Nella grande corte, a metà di via San Martino, Rosario Arisi ci mostra con orgoglio gli strumenti del lavoro, che ancora conserva, e i vari tipi di spago. A un certo punto arriva anche uno degli eredi della grande famiglia dei Trabucchi, che a pochi metri di distanza aveva uno dei “santé” più grandi di tutto Borgo San Martino. E la mente va indietro di mezzo secolo, o forse più. Una delle produzioni più diffuse era quella dello spago, che si divideva fra i gomitoli, comodi da usare in casa oppure utilissimi a salumieri e macellai (ogni gomitolo doveva essere lungo 100 metri e pesare 450 grammi) e matasse, anche in questo caso lunghe 100 metri. Tra le curiosità, Arisi ricorda “le corde granite, ritorte due volte per aumentarne la robustezza, che venivano utilizzate ad esempio in edilizia, dai muratori, per attaccarci il piombo del filo a piombo”. Più aumentava il diametro delle corde e più la lavorazione diventava complessa e servivano “santé” lunghi. La famiglia Arisi arrivò a produrre corde con diametro di 30 millimetri, utilizzate in ambito navale. Ma altri si spinsero più in là e le loro produzioni, oltre al mercato marittimo, servirono anche l’esercito. E ancora, parlando dei cordami più piccoli, in molti ricordano una particolare lavorazione destinata al mondo della moda. In questo caso, prima di essere inviata ai grossisti, la corda (il cui diametro andava da 8 a 10 millimetri) veniva passata nella paraffina, che rendeva il prodotto più lucido, gradevole all’aspetto e lo proteggeva dall’umidità: la corda così trattata serviva, ad esempio, per le finiture delle borse. “Per molti anni - dice Arisi - abbiamo utilizzato paraffina italiana di ottima qualità, poi a un certo punto le aziende che ci commissionavano il lavoro e ci fornivano la materia prima iniziarono a inviarci paraffina cinese, di qualità più bassa, ma che a loro costava decisamente meno”.Fu questo uno dei piccoli segnali della crisi che stava per abbattersi sul mondo dei cordai. Arisi ne è convinto e scuote la testa, mentre apre un grande sacco in juta che ancora contiene parte della paraffina inviata molti anni prima a suo padre dalla Cina.
Oltre alla paraffina, i grossisti e le grandi aziende che commerciavano in corda inviavano ai cordai barasini con i quali avevano contratti di collaborazione tutto il materiale per la lavorazione e con cadenza periodica il prodotto finito veniva poi ritirato dai corrieri. Le spole, il punto di partenza per la produzione delle corde, arrivavano inizialmente da canapifici italiani; con il passare degli anni però si aggiunsero canapifici dell’Est Europa, prevalentemente della ex Jugoslavia. “Ma la qualità, in questo secondo caso, era davvero molto scarsa”, riflette Arisi.

La crisi dei cordai barasini

I cordai di Borgo San Martino lavoravano soprattutto per conto terzi. E uno dei principali grossisti con i quali avevano stretto rapporti era la famiglia Griziotti di Milano, la cui azienda aveva diverse sedi tra Milano (gli uffici erano in corso Monforte), Trezzano sul Naviglio e Cusano Milanino. Qui i ricordi di Arisi si intrecciano con quelli degli eredi dei Trabucchi e così ne esce un quadro decisamente affascinante: i Griziotti, ebrei, in realtà si chiamavano Basevi, ma ai figli si preferì dare il cognome della mamma, Griziotti appunto. Durante la Seconda Guerra Mondiale Aldo Basevi, uno dei figli del titolare dell’azienda, visse a Sant’Angelo per circa sei mesi a casa dei Trabucchi. Un piccolo grande gesto di coraggio e ospitalità. Un altro grossista, certamente meno conosciuto, era Giordano di Genova: qui il ricordo diretto è della famiglia Trabucchi, le cui aziende (specialmente con Achille e Costantino e i loro eredi) erano specializzate nella produzione di cordami grossi, da usare nei porti e sulle navi.
Rosario Arisi identifica l’inizio della lunga crisi dei cordai barasini con la fine degli anni Sessanta. “Nella seconda metà degli anni Sessanta, mi pare fosse il 1967 - dice - i Griziotti si sono ritirati ed è subentrata la Bernucci Sforza. Ricordo ancora bene che mio papà ricevette la telefonata del ragioniere dei Griziotti, con i quali aveva consolidati rapporti, il quale lo avvisava del passaggio di proprietà e dell’intenzione di rivedere le condizioni economiche, con un taglio del 50 per cento di quanto veniva a noi corrisposto per ogni corda finita. Per fare un esempio, per un filato 3/4 saremmo passati da 120 lire al chilo a sole 60. Ai tempi ero un ragazzino, e accompagnai mio papà a Milano per cercare di trattare: ci fu poco da fare, la nuova proprietà accettò solo un lieve incremento dei prezzi. Troppo poco”.
Angelo Arisi, il papà del nostro interlocutore, cessò l’attività nel 1980. “Il lavoro era poco ed erano rimasti lui e la mamma - aggiunge Rosario Arisi -, ai quali davo una mano io quando ero libero dal lavoro in fabbrica. Ma la crisi viene da lontano. Ricordo ad esempio che sul finire degli anni Sessanta iniziarono a mandarci delle corde finite, realizzate direttamente nell’ex Jugoslavia, e ci chiedevano di raffinarle per renderle adatte al mercato italiano, che era più esigente”. Tra gli ultimi “santé” a essere dismessi Arisi cita quello della famiglia Scarioni, in via Cordai, oggi avvolto dalla vegetazione.
(2 - fine)
La prima parte è stata
pubblicata su “Il Ponte”, anno 22, n. 5.


IL PONTE - foglio d'informazione locale di Sant'Angelo Lodigiano

Sotto, alcuni strumenti di lavoro dei cordai e Rosario Arisi con Antonio Trabucchi. Sotto Rosario Arisi con Antonio Trabucchi.








Foto di Emilio Battaini