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Le vicende storiche della nostra torre campanaria e dell’orologio pubblico, dalle origini quattrocentesche al sopralzo barocco al completamento neoclassico di Antonio Saletta.
Raccontavano i nostri progenitori che quando i nonni di Madre Cabrini, allontanandosi da Sant’Angelo per andare a ritirare una cospicua eredità, non scorsero più il campanile, ritornarono a casa rinunciando all’eredità.
Leggenda o realtà? Poco importa. L’aneddoto assegna in ogni caso al campanile, simbolo della nostra identità, il posto che merita: un posto fondamentale. Il campanile è la voce della chiesa: i rintocchi delle sue campane, oltre a chiamare ogni giorno a raccolta i fedeli, sono serviti in tempo di guerra ad avvertire la popolazione di qualche imminente pericolo. E il loro gioioso scampanio ha annunciato, come meglio non si sarebbe potuto, la fine delle ostilità. Da ultimo la torre campanaria, sulla quale svetta un orologio pubblico, svolge anche la funzione di torre civica. La parte più antica Nell’archivio parrocchiale è annotato: “Nell’anno 1662 alli 22 giugno fu cominciata la fabbrica della chiesa parrocchiale di Sant’Antonio Abate della Terra di Sant’Angelo, […] non restando altro solo che il campanile imperfetto, così lasciato dalli nostri antenati”. Il documento avvalora l’ipotesi che il nucleo originario del campanile, la possente base quadrata, sia da collocare alla chiesa parrocchiale degli inizi del 1400 quando fu edificata all’interno della cinta murata del paese. Sull’origine romanica del campanile e della chiesa soppressa nel 1662 non è da trascurare la testimonianza di don Nicola De Martino che parla del rinvenimento “…vicino alle fondazioni del campanile di alcuni capitelli, chiavi di volta e materiale romanico…”. Nel 1975 l’architetto Paolo Mascheroni, che ha diretto lavori di manutenzione straordinaria del campanile, osserva: “La canna principale di pianta quadrata (m. 6,18x6,26), le cui pareti sono di mattoni pieni, spesse cm. 120, termina con l’edicola campanaria contenuta in due cornicioni, […] probabilmente il modello della torre è da ricercare in analoghe torri campanarie delle chiese lodigiane ed anche piacentine di organismo romanico…”. L’originario coronamento del campanile si ritiene fosse a cuspide, com’è possibile osservare in una stampa del Principato di Pavia risalente al 1654, detta “Carta Ballada”, che comprende una veduta di Sant’Angelo. È il rettore Giuseppe Senna (1684-1718) a mettere mano al campanile imperfetto con lavori di adeguamento della cella campanaria e la posa di quattro campane; il concerto è portato a cinque nel 1767, a sei nel 1887 e a otto nel 1923. L’aggiunta barocca e il sopralzo neoclassico Un primo intervento di sopraelevazione del campanile avviene nel 1787 con il prevosto Alessandro Rosa (1772-1788) che fa aggiungere un’arditissima volta rampante a crociera ottagonale di gusto barocco con quattro finestroni ovoidali e volute sugli angoli. Purtroppo mancano documenti che permettono di conoscere l’autore del progetto di questo pregevole intervento, e gli esecutori dell’opera. Trentasei anni dopo, il 21 luglio 1826, un fulmine colpisce il campanile traforandolo da parte a parte sotto il quadrante dell’orologio che era collocato al di sotto alla cella campanaria, sul lato verso la piazza. Mentre prende il via la riparazione della struttura viene decisa la modifica della cupola barocca con la costruzione di un sopralzo che completi architettonicamente il campanile. Da parte del parroco Luigi Anelli e dei fabbricieri Comaschi, Curti e Vandoni l’incarico è affidato all’architetto Carlo Amati (1776-1852) uno dei maggiori esponenti dell’architettura neoclassica; costui ha collaborato con l’architetto Giuseppe Zanoia al completamento della facciata del duomo di Milano e nel 1836 ha realizzato la chiesa milanese di San Carlo al Corso. L’Amati progetta una struttura avente alla base dei pinnacoli decorativi e una colonna scannellata di foggia neoclassica che sorregge la statua dell’arcangelo Michele, simbolo della borgata. Il compenso per il lavoro dell’Amati è di 107,10 lire. Il progetto è completato con la formazione di una volta ottagonale che forma il terrazzino su cui poggia la colonna terminale, ultimata il 24 settembre 1826; i pinnacoli decorativi sono sostituiti, il 24 maggio 1827, da quattro statue. Tre di esse, in arenaria, sono dono del santangiolino Giovanni Battista Sommariva e vengono dalla sua villa posta sulle colline di San Colombano; la quarta statua, in cemento, è invece acquistata a Milano dall’antiquario Baldassarre Andreoli al costo di 60 lire milanesi. La statua dell’Arcangelo Michele, realizzata in “pietra di Viggiù” ricavata da una delle numerose cave di calcarenite della zona, è invece opera di Bernardo Lino Butti detto Bernardino (1796-1868), un artista appartenente a una delle più famose famiglie di quegli scultori viggiutesi le cui botteghe d’arte hanno reso famosa la località della Valceresio, in provincia di Varese. L’arrivo della statua e gli artefici del sopralzo C’era aria di festa in quella primaverile giornata del 13 aprile 1827, con la gente assiepata lungo le vie che portano alla chiesa parrocchiale, in attesa dell’arrivo della statua. Da Viggiù, dove Bernardino Butti ha dato forma artistica alla pietra, la colossale statua giunge a Sant’Angelo divisa in due pezzi posti su due “carri matti” (carri senza sponde per trasporto di grossi pesi) trainati ciascuno da quattro buoi. Da un prospetto dei pagamenti conosciamo l’importo dovuto al Butti per la statua dell’Angelo, 1460 lire, costo comprensivo delle due ali di rame. Per espressa decisione dell’imperatore Francesco I, il campanile è dotato di un parafulmine. La direzione dei lavori è affidata al capomastro Giuseppe Cattaneo di Milano, coadiuvato da Giuseppe Cantoni di Sant’Angelo. Sono chiamati a portare la loro opera il marmorino Ambrogio Viola di Pavia e lo stuccatore Carlo Spinzi. Interviene anche il fabbro santangiolino Fermo Savarè che dieci anni dopo, nel 1836, appronterà la ringhiera di ferro battuto che corre attorno al terrazzino. Sono molti i santangiolini di ogni ceto che fanno a gara nell’offrire il loro contributo economico per la realizzazione dell’opera, dalle piccole somme a quelle più consistenti, come le 1552,16 lire frutto delle “riffe”. Il totale della raccolta è di lire 5100,16, a fronte di spese di lire 6655,4. I nuovi quattro quadranti dell’orologio pubblico Il campanile è dotato di un unico orologio pubblico posto al di sotto della cella campanaria, sul lato che dà alla piazza. L’orologio è in cattive condizioni per il deterioramento del quadrante, tanto da apparire indistinguibili l’indicazione delle ore. È l’ingegnere santangiolino Francesco Rozza, figlio di Antonio Maria e Laura Semenza, “tecnico ricercatissimo e di una meravigliosa attività”, che nel 1862 propone al Comune la rimozione dell’orologio e l’inserimento di quattro nuovi quadranti in corrispondenza delle aperture ovoidali della cupola barocca. Nel 1864 Francesco Rozza è eletto consigliere comunale e di seguito nominato assessore dal sindaco Francesco Cortese, il quale nella riunione di Giunta del 12 luglio 1865 ricorda che: “Il Consiglio Comunale ha conferito verbale incarico alla Giunta di far innalzare il quadrante dell’orologio al disopra delle campane, essendo l’attuale in posizione nascosta per la fabbrica innalzata vicino al campanile dal sig. Bassi, e che fosse il quadrante fatto sopra tutte le quattro facciate del campanile della parrocchiale per modo che possa essere veduto da tutta la popolazione, che confermato pure il verbale incarico dato dal Consiglio all’ing. Rozza, si debba incaricare il medesimo a presiedere a tale lavoro delegandolo iniziando a fare le pratiche necessarie per l’assentimento della Fabbriceria della nostra parrocchiale, non che di passare in via economica ai rispettivi contratti sia col capomastro del municipio sig. Cantoni che cogli meccanici che meglio crederà per i lavori dell’orologio”. In una seduta di Giunta successiva, il 20 agosto 1865, si delibera di affidare l’opera per la parte meccanica al milanese Giuseppe Kohlschueter, di origine prussiana, affiancato dal capomastro Giacomo Cantoni, dal pittore Giovanni Battista Savarè per la pittura dei quadranti e Tommaso Savarè per l’ideazione e la posa delle sfere. |
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