La laboriosità della gente santangiolina, Mino Milani rilegge la nostra storia
In un servizio speciale per l’inaugurazione della nuova sede santangiolina
della Banca Popolare di Lodi, avvenuta nel marzo 1985,
Mino Milani figura di rilievo della cultura italiana,
tratteggia con grande abilità la storia della nostra comunità

“Se Madre Cabrini è l’anima, la voce e il volto di Sant’Angelo, il Castello Visconteo (poi Morando Bolognini) ne è l’immagine fiera e solenne. Domina da secoli il borgo e la pianura del Lambro, chiudendo – nelle sue forti mura merlate – storie d’amore e di sangue, di violenza e di poesia. Un simbolo vero della vita”.
Così il “Bollettino della Banca Popolare di Lodi” nell’edizione di maggio/agosto 1985, introduce un ampio servizio dedicato all’inaugurazione avvenuta il 31 marzo della nuova filiale della Banca Popolare di Lodi, in piazza dei Caduti. Una moderna struttura sorta sulle fondamenta di quella che fu, nel 1869, la seconda filiale del territorio aperta dalla Banca. Quest’anno ricorrono dunque i centocinquant’anni dall’apertura degli sportelli della banca di Sant’Angelo, all’origine denominata Banca Mutua Popolare Agricola di Lodi, oggi una delle principali realtà del Gruppo Banco Bpm.
Allora soprannominato dai barasini “el bancòn”, l’istituto bancario fu certamente “popolare” e acquistò la gratitudine degli ambulanti e dei commercianti aiutati nella loro attività con un prestito “sull’onore” concesso sulla fiducia.
Nelle pagine dello “Speciale”, Age Bassi con la sua proverbiale vivacità di scrittura traccia una sorta di viaggio tra la gente di Sant’Angelo definendola “straordinaria e unica sotto il cielo di Lombardia”, e di questa gente Rosario Mondani rileva l’aspetto religioso, civile e la situazione socio-economica.
Ma in queste pagine spicca, soprattutto, un bellissimo ritratto poetico di Sant’Angelo realizzato dalla penna dello scrittore pavese Mino Milani, classe 1928, uno dei principali protagonisti della letteratura per ragazzi del Novecento e personaggio di spicco della cultura italiana grazie alle sue diverse anime di giornalista, scrittore e storico. Il testo dal titolo “La Banca e il territorio. Sant’Angelo Santangiolino” che offriamo ai nostri lettori, è un documento di grande spessore letterario e allo stesso tempo un curioso ritratto della nostra terra tratteggiato con impareggiabile abilità. Con quella capacità di “narrare per immagini” che gli era stata invidiata addirittura da Gianni Rodari e che ci restituisce, con poche sapienti pennellate, la storia della nostra gente e dell’affetto ironico e affascinato con cui lui, il famoso scrittore, custodisce in cuor suo i santangiolini.

Antonio Saletta


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Sant’Angelo Santangiolino
di Mino Milani


Sant’Angelo. Quel Lodigiano che segue è probabilmente di troppo, basta venire qua, per convincersene; basta andare per le strade, parlare con la gente, sentire quell’orgoglio municipale, quell’energia, quell’ottimismo, per capire come quel Lodigiano sia un’aggiunta puramente burocratica. Sant’Angelo non è di nessuno, è di se stesso; se proprio lo si vuol distinguere da quell’ottantina di centri italiani con lo stesso nome, lo si chiami Sant’Angelo Santangiolino; gli si renderà merito.
Merito di che cosa? Sant’Angelo non ha la storia delle vicine Lodi e Pavia, e nemmeno quella di altre cittadine lombarde; non ha una tradizione d’indipendenza, e di guerre per mantenerla, cui appellarsi; e se lasciamo il passato per il presente, troviamo che ci sono città che ben più di Sant’Angelo sono dentro il nostro tempo industriale.
Vero. Ma fin dal ’400 si faceva gran mercato, qui; e veniva gente da tutte le parti a vendere e a comprare. Vero; ma senza il commercio, a che giova l’industria? Senza lo scambio, a che giova la produzione? E forse quelle città dense di fabbriche e di falansteri popolari non hanno pagato fin troppo caro, il loro “esser dentro”? Non si sono, insomma, alienate, e rese simili ad altri centri industriali di qualsiasi parte del mondo?
Sant’Angelo, no. Ha affrontato la complessa realtà d’oggi con idee chiare e determinazione, in breve tempo s’è dotato di tutte le strutture occorrenti a una città moderna, nessuna esclusa: ma è rimasto se stesso.
Eccolo, il merito di Sant’Angelo, la coerenza alla vocazione. In generazioni e generazioni, i santangiolini hanno costruito la ricchezza e la fama della loro città, ed anche di loro stessi, presi collettivamente o a uno a uno. Dire che uno è un santangiolino è qualificarlo, definirlo. Sono un tipo tutto particolare di lombardi, anzi di italiani, inquieti prima d’esser laboriosi, ma più laboriosi che inquieti; prudenti ma senza paura; attenti al denaro, mai gretti; concreti quanto basta, ma sembra che in ogni santangiolino ci sia un adolescente poeta addormentato e capace di risvegliarsi; è terra di mercanti e di poeti, questa, e poche città italiane vantano tante pubblicazioni come Sant’Angelo. Che guarda avanti da sempre, e che da sempre rimane attaccata alle sue tradizioni.
Qui a Sant’Angelo, ti dicono con un sorriso appena percettibile, il cimitero non c’è; e se gli chiedi come mai, ti rispondono che i santangiolini muoiono tutti lontano da casa.
Se ne vanno per far fortuna, spiegano; non per trovar lavoro, come fanno altri italiani. Il lavoro ci sarebbe anche qui. Già ma anche la fortuna, ci sarebbe qui. La verità sembra essere e forse è un’altra: ed è che nelle vene dei santangiolini fluisce gagliardo lo spirito dell’avventura e del cimento, e queste sono cose che si trovano, e soprattutto si provano, solo lontano da casa.
È un destino, o una vocazione, che hanno un po’ tutti, qui. Anche Francesca Cabrini se ne andò a cercare fortuna sotto altri cieli; la trovò, probabilmente più d’ogni altro santangiolino, e quando l’ebbe trovata la distribuì a piene mani. Per questo le vogliono bene. È un modello; inimitabile, sì, perché i santi lo sono, ma pur sempre un modello.
Il momento migliore per visitare Sant’Angelo, è certo il mercoledì, giorno del mercato; la stagione non conta, estate, inverno, primavera, è lo stesso; ciò che importa è sentire il polso mercantile della città, comprendere questo appuntamento che si rinnova da secoli; vedere le strade invase di ricche bancarelle, i negozi che in una cascata incontenibile rovesciano la loro merce fuori dalle vetrine. Nulla di pittoresco, nulla di curioso; nulla è gridato o esibito, ma esposto e offerto; e la gente guarda, tratta, compra, con antica dignità.
Credo che questa sia la civiltà commerciale, di cui così poco si parla; e non è poi così facile trovarla. Dove il mercato si slarga, nella piazza, ecco la mole solenne del castello che sembra, ancora oggi come un tempo, proteggere il mercato.
È il castello visconteo, che ospitò principi e guerrieri, dame avventurose e condottieri senza scrupoli; ma anche Leonardo e Casanova, che, immagino, non avranno perso il mercato del mercoledì. Mirabilmente restaurato e mirabilmente vissuto, il castello è amato come può esserlo un monumento che non è solo simbolo e orgoglio ma parte viva della città. Provatevi a immaginare Sant’Angelo senza il castello. Impossibile. È come immaginarlo senza il mercato. Impossibile.
Questo intrecciarsi di ieri e di oggi, di passato e di presente e di futuro, questa concretezza nel lavoro e negli affari, e questo rispetto per i vecchi tempi, formano il cuore profondo di questa città unica.
Ho parlato con un uomo che non conoscevo, vero santangiolino, così mi ha detto di essere; e ho sentito, in lui, l’ansia che i suoi ragazzi crescano fedeli, e non diventino come tanti, anzi troppi italiani d’oggi, elementi intercambiabili, senza un carattere, buoni a tutti i posti e a tutti i lavori, e insieme a tutti indifferenti.
I santangiolini devono crescere da santangiolini, mi ha detto quell’amico sconosciuto; e questo sarà il loro passaporto per il futuro.
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IL PONTE - foglio d'informazione locale di Sant'Angelo Lodigiano





Qui sopra: l’edificio della filiale santangiolina nel 1981 prima della demolizione e la nuova sede inaugurata il 31 marzo 1985.
A lato: la copertina del Bollettino della Banca Popolare di Lodi con lo "speciale" dedicato a Sant’Angelo e il vetro a caratteri smerigliati della porta d’ingresso della filiale aperta nel 1869”.