Viaggio tra i Centri di Ascolto Caritas santangiolini
di Giancarlo Belloni
Una porta aperta davanti alle fragilità del nostro tempo: sono questo i Centri di Ascolto Caritas delle nostre parrocchie.
Qui trovano un approdo persone e famiglie vulnerabili che faticano a vivere in modo dignitoso. Qui, senza distinzione alcuna, chiunque stia vivendo una storia di sofferenza trova qualcuno che lo ascolta.
L’ascolto è il primo passo: da lì inizia il percorso che può portare all’aiuto più immediato organizzato dai centri di distribuzione alimentare fino, in alcuni casi, al vero e proprio accompagnamento per la conquista della propria autonomia.
L’attenzione al povero è storicamente un tema nel quale la Chiesa si è sempre spesa, è uno dei modi con il quale realizza la propria missione. In anni recenti, davanti alle sfide dei processi migratori e specie dopo la crisi economica iniziata nel 2007/2008, questo impegno si è reso ancor più manifesto. Basti ricordare la pronta decisione della Diocesi di Lodi di istituire un fondo di solidarietà per dare risposta a chi ha problemi di sussistenza a causa della perdita del lavoro.
Anche lo Stato, in questi ultimi anni, ha mostrato particolare attenzione al tema del contrasto alla povertà: non senza affanno dal 2016 si sono susseguite ben tre misure legislative: prima quella del Sostegno all’ Inclusione Attiva, poi il Reddito di Inclusione e infine il Reddito di Cittadinanza che a Sant’Angelo ha visto accogliere 151 domande su un totale di 279 richieste.
Attese da molti cittadini con problemi economici, le nuove norme hanno però evidenziato alcune rigidità sia nei criteri di accesso che nei tempi di attesa. Un rigore burocratico che disarma chi è nel bisogno immediato e che nella Chiesa può trovare una risposta.
Certo anche nei centri Caritas i beneficiari devono presentare l’ISEE (il modulo che certifica la situazione economica) e la loro domanda è valutata in base alla residenza, allo stato di famiglia e alla regolarità del permesso di soggiorno, se stranieri. Ma evidentemente davanti a certe situazioni emergenziali il regolamento può passare in secondo piano: a prevalere è l’empatia, il mettersi nei panni di chi è nel bisogno.
Ad oggi la Caritas della parrocchia di Sant’Antonio Abate, grazie ad otto operatori, segue 46 famiglie (15 italiane e 31 straniere) per un totale di 171 persone. Di queste 71 sono bambini o ragazzi sotto i 15 anni.
I volontari – in quattro curano il Centro di Ascolto e altri quattro si occupano della distribuzione – riferiscono di successi e di fallimenti, di momenti di arrabbiatura e altri di commozione. Raccontano storie di chi si è affrancato dalle difficoltà, come quella di una giovane mamma musulmana che è riuscita a laurearsi, oppure quella di due profughi che grazie al lavoro stanno progressivamente portando le loro famiglie alla indipendenza economica.
Non diverse sono le situazioni che incontra il Centro di Ascolto della parrocchia Maria Madre della Chiesa, riferimento del quartiere San Rocco. Anche qui quattro operatori coprono i turni per garantire l’apertura del Centro di Ascolto mentre altri sette volontari si alternano nel servizio della distribuzione. In carico hanno 14 famiglie (di cui 7 straniere), una quarantina di persone in totale, di cui 17 bambini.
Ogni persona presa in carico dai Centri di Ascolto generalmente è inserita in un progetto personalizzato che viene rivalutato dopo un anno. A tutti viene garantito un aiuto con un pacco mensile di generi alimentari e di prima necessità, adeguato al numero di famigliari. Per chi ne ha bisogno ci sono anche indumenti. Per qualcuno poi l’aiuto sta nel percorso stesso, nella relazione che si crea. La povertà spesso è una questione multidimensionale: si accompagna a problemi di carattere sociale, di degrado, di salute. In questi casi gli operatori (che hanno avuto adeguata formazione) devono prevedere azioni di promozione o di educazione.
È per questo che in Caritas la parola d’ordine è “accompagnare”. Che significa certamente anche andare fisicamente con qualcuno a sbrigare questioni burocratiche, o portarlo magari in ospedale. Ma più in generale “accompagnare” assume il significato di mettersi al fianco, prendersi cura, in definitiva fare strada, o meglio: fare un pezzo di strada insieme.
Insieme ai poveri, ma anche insieme allo Stato che, seppur con lentezza, sta organizzandosi per dare attuazione alle politiche di sostegno potenziando – così si auspica – i servizi sociali e i centri per l’impiego.
Con un grande obiettivo che unisce tutti: quello di cercare un finale diverso a storie che sembrano già scritte.
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