Indagine socio-economica su Sant’Angelo tra Settecento e Ottocento.
Un quadro della vita di quel tempo con l’aiuto degli atti comunali
e, soprattutto, degli “Stati d’Anime” parrocchiali, registri
che costituiscono fonti fondamentali per la storia della nostra comunità,
documenti per studiare la toponomastica, le composizioni famigliari,
la densità abitativa dei rioni, i costumi e gli usi sociali.
di Antonio Saletta
Il borgo di Sant’Angelo, situato nell’area dell’agricoltura irrigua fra le più ricche e fiorenti, si è distinto nei secoli per la sua spiccata e radicata vocazione commerciale e mercantile, borgo indicato nelle antiche cronache come uno dei più vivaci mercati di bestiame e granaglie della Lombardia.
Fino al XVIII secolo il suo mercato, accordato nel 1447 dalla Repubblica di Venezia, ha conosciuto anni di vero splendore, tra i più rilevanti della zona, anche se nella seconda metà del Settecento, la sua importanza si era ridotta a causa dell’impossibilità di navigazione del Lambro. Lo afferma il funzionario M. P. Odescalchi nella relazione sul commercio, le manifatture l’agricoltura lombardi, in seguito alla visita del Lodigiano compiuta su incarico governativo nel 1775.
Nella medesima relazione non venivano rilevati mestieri particolari in campo manfatturiero, se non una fabbricazione di cappelli e di merletti, nella quale veniva occupato circa un migliaio di donne e fanciulle, “anche le più tenere”. A questa si aggiungeva l’attività della pesca, della quale veniva evidenziata l’estrema povertà delle famiglie che la esercitavano.
L’agricoltura e le cascine
A partire dalla seconda metà del Settecento e per tutto l’Ottocento lo sviluppo dell’agricoltura nel Lodigiano fu notevolissimo.
Sant’Angelo è stato per secoli feudo della famiglia Attendolo Bolognini, proprietari di un enorme patrimonio di cascine e terreni concesse in affitto a fittabili.
Nel 1792 le cascine comprese nella parrocchia di Sant’Angelo erano 30: S. Martina (abitanti 47), Belfuggito (ab. 126), Casa del Bosco (ab. 5), Duomo (ab. 9), Casotti (ab. 5), San Felice (ab. 8), Montebono (ab. 8), Casa del Frate (ab. 22), Monte Albano (ab. 27), Ranera (ab. 220), Branduzza (ab. 53), Boffalora (ab. 52), Graminello (ab. 42), Gibellina (ab. 69), Musella (ab. 22), Musellina (ab. 27), Marudino (ab. 36), Cortesina (ab. 25), Riviera (ab. 54), Cassina Nova (ab. 48), Domodossola (ab. 165), Guazzina (ab. 35), Bosarda (ab. 54), Gervasina (ab. 60), Galeotta (ab. 189), Molino (ab. 52), Maiano (ab. 36), Battistina (ab. 33), Motta (ab. 7), Lisone (ab. 25).
Approvvigionate d’acqua da una fitta rete di canali, rogge e marcite, le cascine erano il cuore di un’agricoltura prevalentemente foraggera e cerealicola, da cui dipendeva una fiorente industria casearia, e la diffusione dell’allevamento di bestiame.
Da rilevare come l’irrigazione della possessione degli Attendolo Bolognini, fino dalla prima metà del Quattrocento, quando fu affittata al pavese Clemente Pietra, era già molto ampia permettendo di far muovere i mulini.
A Sant’Angelo era particolarmente importante il mercato dei bachi da seta, che richiamava frequentatori da tutto il territorio.
Secondo i dati parrocchiali, a Sant’Angelo, sempre nel 1792, su una popolazione di 7.125 abitanti, i residenti nella campagna erano 2.547, e quelli abitanti in paese 4.578.
Circa sessant’anni più tardi la popolazione aveva raggiunto gli 8.608 abitanti con un incremento del 21%.
La crescita demografica
Da secoli la borgata santangiolina era divisa in quartieri, ognuno con una propria fisionomia socio-economica.
Il quartiere Centrale, chiamato dalle cronache parrocchiali “interno”, rappresentava l’antico borgo rinchiuso entro le antiche mura, conosciute oggi come “mura spagnole”; a oriente, si è sviluppato il quartiere San Martino, l’antico borgo San Martino in Stabiello; a occidente sorgeva il quartiere Santa Maria, nato intorno all’antico castello di Cogozzo che si ergeva nei pressi del Lambro; a settentrione, sull’altra sponda del Lambro, che lo divideva dal resto del paese, si estendeva il quartiere di San Rocco.
Negli anni la crescita demografica interessò i quartieri in modo differente, quello di San Rocco passava dagli 834 abitanti del 1792 ai 1.425 del 1860, il quartiere Centro da 734 a 1.155 abitanti, quello di San Martino da 1.124 a 1.754, il quartiere Santa Maria-Costa da 1886 a 2276. Nel quarantennio successivo la popolazione si attesterà tra le 8.500 e le 9.000 unità.
Dati molto indicativi sulla realtà sociale di quel tempo danno un quadro puntuale di mestieri e professioni e della loro distribuzione nei quartieri. Da questi dati la popolazione attiva risultava essere intorno al 25%.
La maggior parte della popolazione che svolgeva attività lavorativa era dedita all’agricoltura e risiedeva nelle cascine, i lavoratori agricoli erano 546, circa il 30% della popolazione attiva.
Una buona parte della popolazione era impegnata nell’artigianato, nel 1860 se ne contavano 394: falegnami, calzolai, fabbri, arrotini, sellai, cappellai, sarti, cucitrici, barbieri, zoccolini, ramai, pellettai, ombrellai, vetrai, bottiglieri, materassai, orologiai, orefici, carpentieri.
La lavorazione della corda e la pesca
La categoria che appare più definita professionalmente era quella dei cordai che era concentrata nel quartiere San Martino con 77 addetti, nel 1893 se ne conteranno 144. Si trattava di un lavoro tradizionale che veniva esercitato da generazioni, il salario non era elevato, ma aveva il vantaggio di essere corrisposto tutto l’anno, dando una sicurezza economica che altre categorie di lavoratori non avevano.
Un’altra caratteristica del quartiere San Martino era la concentrazione del maggior numero di muratori, artigiani e operai, che caratterizzavano la composizione sociale del quartiere, conferendogli una particolare fisionomia rispetto agli altri rioni. Un aspetto cui contribuiva il lavoro delle donne che si dedicavano alla produzione di pizzi, merletti e ricami, che gli uomini, i cosiddetti “pizzè”, andavano a vendere nelle città e nei paesi vicini.
L’altra attività caratteristica di Sant’Angelo era la pesca esercitata soprattutto nel quartiere Costa che si affacciava con le sue case sul Lambro meridionale. Era un’attività economica antica, ma precaria, i cui frutti riuscivano a malapena a sfamare le famiglie dei pescatori. Già nel 1775 il consigliere P. Odescalchi, visitando Sant’Angelo aveva osservato che 1.590 famiglie erano occupate in questa attività, aggiungendo che “se quelli che attendono alla pesca fossero insieme coltivatori delle terre vivrebbero meno meschinamente, avendone veduto veramente dei miserabili che avevano i loro figli quasi ignudi”.
Nel 1860 la situazione non era molto cambiata, i pescatori alla Costa risultavano 121.
Le attività commerciali
Queste caratteristiche negative contribuirono a distinguere la Costa dal quartiere Santa Maria, che confinava e al quale veniva unito anche nelle rilevazioni statistiche della parrocchia. In Santa Maria erano particolarmente concentrate le attività commerciali, ben 143 nel 1860, perfino maggiore di quello rilevato nel quartiere Centro. La statistica designa in questo quartiere, negozianti, commercianti, bottegai, mercanti e pollivendoli, dalla piccola bottega per la vendita al minuto al commerciante all’ingrosso.
In tutto il paese, nel 1860, si contavano più di 350 commercianti. Una parte di questi si occupava di commercio di bestiame, attività che si concentrava soprattutto nel quartiere San Rocco, dove risiedevano il maggior numero di lavoratori giornalieri. Legata al commercio del bestiame si sviluppò la figura del “caciù”, tipica di questo quartiere, lavoro che consisteva nel trasporto del bestiame acquistato dal padrone nelle varie cascine. Nel 1860 troviamo solo una decina di “caciù”, tutti concentrati a San Rocco, ma diventeranno sempre più numerosi negli anni successivi.
A San Rocco, e in misura minore a Santa Maria, quasi un centinaio esercitavano il mestiere di “mediatore”, persone che vivevano sulla percentuale di intermediazione procurando affari di compravendita ai commercianti che si occupavano di bestiame e granaglie.
Gli affari più grossi venivano fatti nei giorni di mercato, il mercoledì e la domenica. Il primo mercoledì di ogni mese si svolgeva il mercato dei suini in quello che una volta si chiamava piazzaletto dei Suini (oggi via Fratelli Cairoli), mentre la compravendita dei cavalli e dei bovini si svolgeva rispettivamente in via della Fiera (oggi viale dei Partigiani) e piazza della Crocetta (oggi piazza dei Caduti).
La classe dei possidenti e dei liberi professionisti, circa un centinaio in tutto il paese, dimorava nel quartiere Centro, dove venivano registrati 31 domestici in servizio nelle case delle famiglie più agiate. E proprio in Centro si trovavano 6 delle 7 caffetterie del paese, variante “nobile” delle popolari osterie, e negozi importanti.
Qui avevano sede gli uffici comunali, la parrocchia, l’ufficio della pretura, l’ospedale Delmati e le carceri mandamentali che erano ospitate nella torre del castello visconteo.
Nella compilazione di questo testo mi sono avvalso di ricerche storiche su Sant’Angelo Lodigiano, compiute dall’indimenticabile amico Angelo Montenegro.
Una ricerca etnico-linguistica sul mondo
contadino, nel 1927, a Sant’Angelo
Un’indagine di grande spessore che ci conduce nel fascino dell’ambiente contadino santangiolino del primo Novecento, quella compiuta dallo svizzero Paul Scheuermeier che nel 1920 realizza un’importante analisi sulla cultura agricola tradizionale, collegando la lingua, le tecniche di lavoro, gli oggetti di cultura materiale, gli uomini che utilizzano tali strumenti e tecniche.
Per conto dell’Atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale, dell’Università di Berna, Paul Scheuermeier visita i comuni del territorio lombardo raccogliendo lessici del dialetto parlato, fotografando ambienti, oggetti e persone.
Fra le località da visitare è inclusa Sant’Angelo Lodigiano, dove giunge nel mese di ottobre 1927, alloggiando all’albergo Sant’Antonio.
Si reca dapprima alla Cascina Maiano e di seguito nelle altre realtà rurali della zona alla ricerca di contadini che possano aiutarlo nel suo intento, rilevando la mancanza d’aiuto dei braccianti, a causa del loro continuo spostamento da una cascina all’altra. Nel diario della sua visita annota che trascorre intere giornate senza risultati apprezzabili.
Osservando le fotografie che ha realizzato, di proprietà dell’Università di Berna, (Archivio AIS - Atlante Italo Svizzero), occorre invece rilevare che il viaggio di Scheuermeier non è stato infruttuoso, le immagini che pubblichiamo danno un’idea del loro inestimabile valore scientifico e culturale.
Di rilievo appaiono anche le didascalie che accompagnano le foto, (di cui diamo una sintesi) con descrizioni di ambienti, strumenti di uso agricolo, illustrati con precisi termini dialettali.
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Mappa di Sant’Angelo in una carta militare, 1820 circa, del Regno Lombardo-Veneto, parte dell’Impero Austro-Ungarico. Verso Maiano, il fiume Lambro veniva ancora attraversato con un guado, mentre la carta mostra, a nord del guado stesso, un ponte di barche in costruzione (dove ora c’è il ponte in ferro).
Una ricerca etnico-linguistica sul mondo contadino, nel 1927, a Sant’Angelo
Un’indagine di grande spessore che ci conduce nel fascino dell’ambiente contadino santangiolino del primo Novecento, quella compiuta dallo svizzero Paul Scheuermeier che nel 1920 realizza un’importante analisi sulla cultura agricola tradizionale, collegando la lingua, le tecniche di lavoro, gli oggetti di cultura materiale, gli uomini che utilizzano tali strumenti e tecniche.
Per conto dell’Atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale, dell’Università di Berna, Paul Scheuermeier visita i comuni del territorio lombardo raccogliendo lessici del dialetto parlato, fotografando ambienti, oggetti e persone.
Fra le località da visitare è inclusa Sant’Angelo Lodigiano, dove giunge nel mese di ottobre 1927, alloggiando all’albergo Sant’Antonio.
Si reca dapprima alla Cascina Maiano e di seguito nelle altre realtà rurali della zona alla ricerca di contadini che possano aiutarlo nel suo intento, rilevando la mancanza d’aiuto dei braccianti, a causa del loro continuo spostamento da una cascina all’altra. Nel diario della sua visita annota che trascorre intere giornate senza risultati apprezzabili.
Osservando le fotografie che ha realizzato, di proprietà dell’Università di Berna, (Archivio AIS - Atlante Italo Svizzero), occorre invece rilevare che il viaggio di Scheuermeier non è stato infruttuoso, le immagini che pubblichiamo danno un’idea del loro inestimabile valore scientifico e culturale.
Di rilievo appaiono anche le didascalie che accompagnano le foto, (di cui diamo una sintesi) con descrizioni di ambienti, strumenti di uso agricolo, illustrati con precisi termini dialettali.
Alla cascina Belfuggito, la “slita cun la capàna”
con cui in inverno si trasporta terra o letame.
Contadini sull’uscio della casa di cascina, la stalla con il
fieno e la statua “de Sant’Antòni de Padua cul Bambén”.
“El lavatòi d’la rùša”. “El Guà”, lavatoio che scende verso l’acqua. Qui le donne lavano stando in piedi in acqua.
La “cistèrna” (concimaia) con il contadino che “stravàca
la carèta cun el rüde”, a sinistra “el seràli dle galìne”.
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