“La genetica” di Sant’Angelo Lodigiano, grazie alla donazione della contessa Lydia Caprara Bolognini, nasce nel 1933 contemporaneamente all’istituzione della Fondazione Bolognini. Viene denominata “Stazione Fitotecnica dell’Istituto Nazionale di Genetica per la Cerealicoltura di Roma” (Ente di sperimentazione del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste), con il compito di attuare sperimentazione in campo agricolo, ed in particolare nel settore cerealicolo, come stabilito dallo Statuto della Fondazione.
La prima riforma
Nel 1967, con il Decreto del presidente della Repubblica di riforma degli Enti di sperimentazione agraria del MAF, la Stazione cambia denominazione diventando “Sezione operativa periferica dell’Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura di Roma”. Con un successivo DPR la Fondazione e la Stazione assumono una loro indipendenza, pur mantenendo la stessa direzione e lo stesso Consiglio di Amministrazione.
La riforma del 1999
Nel 1999 una nuova riforma porta al raggruppamento dei 22 Istituti di sperimentazione agraria del MAF in un unico ente: il Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura (CRA). Con tale riforma vengono creati 7 centri di ricerca tra i quali il Centro di ricerca per la Cerealicoltura, con sede a Foggia, comprendente anche la sezione santangiolina che assume la denominazione di “Unità di ricerca per la selezione dei cereali e la valorizzazione delle varietà vegetali”.
Nasce il Crea
Nel 2015 il CRA, nell’ambito di una nuova riorganizzazione, ingloba altri Istituti di ricerca e si trasforma in Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’analisi dell’Economia agraria (CREA); nel 2017 una nuova riforma decreta la fine della mission di ricerca cerealicola dell’Unità di ricerca santangiolina e l’inglobamento della struttura nel Centro di ricerca per la Zootecnia e l’Acquacoltura di Lodi.
A seguito di tale decisione (che personalmente ritengo immotivata e presa senza considerare il ruolo che la struttura santangiolina ha avuto nella ricerca nazionale ed internazionale relativa al miglioramento genetico dei frumenti) sono state più volte intraprese iniziative volte a chiedere una revisione della riforma e la riammissione dell’Unità di ricerca di Sant’Angelo al Centro di ricerca per la Cerealicoltura, dove sono già allocate l’Unità di ricerca per la maiscoltura di Bergamo, l’Unità di ricerca per la risicoltura di Vercelli ed il Laboratorio di granicoltura di Acireale.
Una eccellenza lodigiana
Una di queste iniziative è stato il mio libro «C’era una volta “La genetica” di Sant’Angelo Lodigiano» presentato lo scorso mese di maggio e recensito da “Il Ponte” nel numero di giugno. In questa recensione, scritta da Lorenzo Rinaldi, viene riportata la frase: «Le pagine descrivono in modo approfondito e scientifico un’eccellenza che il territorio lodigiano ha conosciuto poco o talvolta addirittura ignorato di ospitare». La frase riporta due verità: l’eccellenza e il conosciuto poco o ignorato.
Oltre mille pubblicazioni
Per confermare l’eccellenza basterebbe leggere il mio libro, oppure ricordare che da “La genetica” santangiolina sono uscite oltre 1000 pubblicazioni scientifiche (moltissime su riviste internazionali e spesso citate nelle bibliografie di importanti pubblicazioni scientifiche del settore, comprese quelle del primo direttore Roberto Forlani, scritte negli anni ‘40), oltre alla creazione di nuove varietà, di innovate tecniche di coltivazione e, soprattutto, della valorizzazione degli aspetti qualitativi, nutrizionali ed igienico-sanitari della produzione nazionale di frumento tenero e duro, oltre che di cereali minori.
Il silenzio delle autorità
Invece, a conferma del “poco conosciuto”, ribadisco quanto rilasciato nella mia intervista apparsa su “Il Cittadino” dello scorso 24 ottobre (in cui riferivo della data di chiusura, entro il prossimo 28 febbraio e del trasferimento nella sede centrale di Lodi) circa il mancato intervento (nonostante messaggi di allarme lanciati fin dal 2017) delle autorità lodigiane interpellate e della comunità locale per la difesa dell’eccellenza santangiolina, ma anche lodigiana, regionale e nazionale.
Alcuni hanno definito il sottoscritto e qualche mio ex collaboratore autori di una battaglia campanilistica, contraria alla necessità di riunire in un’unica sede le strutture di ricerca del territorio. Accentramento che, invece, ho sempre ritenuto indispensabile per creare un maggiore sinergismo tra ricercatori e per favorire una migliore utilizzazione dei laboratori, delle attrezzature e di tutti i servizi tecnici-amministrativi presenti nel Lodigiano.
Proposte ignorate
Proprio per questi motivi sono stato promotore di una proposta volta a creare a Sant’Angelo un Centro di ricerca per la Cerealicoltura in cui raggruppare le ricerche svolte a Bergamo (mais), Vercelli (riso) e Fiorenzuola d’Arda (orzo), avvalendosi anche dei terreni e delle strutture della Fondazione Bolognini. La proposta, avallata dalle varie direzioni del CRA allora succedutesi, venne ostacolata da dipendenti delle Unità di ricerca interessate e da politici intervenuti a difesa dei loro territori.
Sono stato pure propositore e sostenitore della creazione di un Centro Unico Lodigiano, comprendente tutte le strutture attive sul nostro territorio. La proposta, avanzata d’accordo con i colleghi lodigiani, poteva esser declinata in due modi: realizzando una struttura da affiancare all’allora nascente Polo Tecnologico Lodigiano (lasciando la sperimentazione di campo a Sant’Angelo), ovvero creando una nuova struttura a Lodi (alla Cascina Baroncina) o a Sant’Angelo (utilizzando i beni agricoli della Fondazione).
Tutte queste proposte sono state ignorate; a Lodi è stata invece creata la sede ufficiale del Centro di ricerca per la Zootecnia e l’Acquacoltura, che però in realtà è a Montelibretti-Roma, dove vengono svolte la maggior parte delle ricerche zootecniche e dove risiede prevalentemente il direttore del Centro. Inoltre la creazione di tale Centro ha ridimensionato il ruolo e l’importanza degli ex Istituti sperimentali per le Colture foraggere e Lattiero caseario di Lodi, ha provocato il prossimo trasferimento della ex Sezione dell’Istituto di Orticoltura di Montanaso Lombardo a Fiorenzuola e, peggio ancora, ha decretato la chiusura definitiva della struttura santangiolina.
Che fine farà la Fondazione Bolognini?
Per i santangiolini l’ex Sezione dell’Istituto Sperimentale di Cerealicoltura e la Fondazione Bolognini, sebbene siano due entità diverse, rimangono un’unica cosa: “La genetica”. Per cui diventa d’obbligo domandarsi: che fine farà la Fondazione?
Finché è stata sotto il controllo amministrativo dell’Istituto Sperimentale la Fondazione ha sempre funzionato nel rispetto del suo Statuto. Con il passaggio al CRA, la gestione della stessa, ed in particolare del Castello e dei suoi musei, ha subito, a partire dal 2004, una brutta frenata.
Il futuro del castello
Nel 2007 il Castello, con Delibera del Cda del CRA, è stato chiuso al pubblico, per inadeguatezza degli impianti dei sistemi di sicurezza. Dopo la messa a norma degli impianti, nel 2014, il Castello ha riaperto i suoi Musei, anche se la visita è attualmente limitata a una/due domeniche al mese, o a visite organizzate, mentre i locali restaurati vengono utilizzati per ospitare esposizioni, mostre, convegni e banchetti nuziali.
Nella attuale e futura situazione, va messo in evidenza che con la chiusura de “La genetica” la Fondazione Bolognini dovrà provvedere in proprio all’attuazione delle attività sperimentali, previste dal suo nuovo Statuto e finora demandate alla Sezione/Unità santangiolina. La mancata realizzazione delle attività sperimentali andrebbe ad inficiare il principale scopo per la quale è stata creata ed anche dare adito ad azioni giudiziarie da parte di eventuali eredi dei Conti Bolognini.
Salvo clamorosi ripensamenti, il futuro de “La genetica” e del Castello, non sarà più come quello descritto nel mio libro o presente nella memoria di molti santangiolini, e così un ulteriore simbolo della città, famoso anche al di fuori dei confini nazionali, verrà a mancare.