|
||
Ventinove anni fa, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 1991, il colpo grosso di ladri d’arte, che attraverso un passaggio segreto s’introducono nel castello. Un piano studiato nei minimi particolari, quello messo a segno dalla banda di ladri, certamente un furto su commissione con l’obiettivo rivolto verso alcune sale del museo situate nel lato di ponente del castello. Un saccheggio che ha fruttato ai malviventi un bottino consistente in 25 quadri e 30 mobili del XVI e XVII secolo, per un valore complessivo di un miliardo di lire. di Antonio Saletta
È la notte fra il 25 e il 26 febbraio 1991. Una notte buia, umida e fredda: l’inverno, dalle nostre parti, in quegli anni non scherzava. L’ora è tarda, il paese è deserto. Da un furgone che improvvisamente si ferma in via Bolognini, proprio davanti all’entrata del parco, scende silenzioso un gruppo di uomini. Sono cinque o sei e non hanno bisogno di parlare. Qualcuno si mette di guardia, qualcuno forza con facilità il portone di legno, qualcun altro spalanca con la maggior cautela possibile le pesanti ante. L’autista del mezzo ingrana la marcia e porta il furgone nel parco.
Bastano pochi minuti e quegli uomini - professionisti esperti in furti di opere d’arte che sanno perfettamente come e dove muoversi - daranno il via a quel gigantesco furto di opere d’arte al Castello Bolognini che ancora oggi, a distanza di ventinove anni, provoca amarezza e rabbia quando lo si ricorda. “Razzia nel castello di Sant’Angelo” titola il “Il Corriere della Sera” nell’edizione del 28 febbraio 1991, cercando di raccontare l’accaduto. Un racconto che, per forza di cose, sarà per lo più immaginato poiché il custode del castello, l’unica persona che potrebbe aiutare le indagini, subito dichiara, senza mezzi termini, di non aver sentito niente. Niente di niente: né l’arrivo del furgone nel parco né l’incursione in castello. L’entrata attraverso un antico cunicolo Eppure i ladri salgono lo scalone secentesco, raggiungono il cortiletto ed entrano nel maniero utilizzando un antico passaggio segreto conosciuto da pochissime persone, un varco lungo una ventina di metri mai indicato in nessuna planimetria. Di più: per raggiungere i locali che ospitano mobili antichi e preziosi dipinti, il gruppo è costretto ad abbattere un muro che chiude il cunicolo, a tagliare i fili del telefono, a disattivare l’allarme (che c’è, sia pur non perfettamente funzionante), addirittura ad attraversare i locali abitati dal custode il quale, immerso nel profondo sonno dei giusti, ovviamente nulla può sentire. Il primo locale a essere visitato è la sala delle Bandiere, dalla quale prendono il volo otto quadri raffiguranti battaglie e nature morte. La successiva sala dei Leoni è letteralmente svuotata dai preziosissimi arredi (due cassettoni in noce della bottega dei Maggiolini, un cassettone intarsiato del XVII secolo, una cassapanca, un tavolo, un inginocchiatoio cinquecentesco in noce, due grandi dipinti settecenteschi di soggetto mitologico, attribuiti a Pieter Mulier e altri quadri). Per una fortunata coincidenza si salvano due dipinti di Faustino Bocchi, le caratteristiche “bambocciate” databili al 1690: in quel momento i quadri sono esposti alla mostra “Il Settecento Lombardo” allestita al Palazzo Reale di Milano. Un bottino ragguardevole I ladri attraversano la sala d’Armi dalla quale trafugano alcune sedie settecentesche in ferro battuto e giungono nella stanza dello Zoccolo, dove mettono a segno il colpo più grosso: oltre a impadronirsi di un tavolo ottagonale con diverse sedie, mettono gli occhi e le mani su due preziosi trumeau lombardi in radica bionda, a due ordini, notevoli esemplari dell’ebanisteria del Settecento veneziano. Hanno un ottimo fiuto: quella coppia di credenziere ha un valore di oltre 400 milioni di lire. Dimostrando una perfetta conoscenza del castello, i ladri aggiungono al già consistente bottino un trumeau settecentesco che prelevano dalla stanza Veneziana e una preziosissima “Madonna col Bambino”, olio su tela della fine del XV secolo, che tolgono da un piccolo oratorio. Con il frutto del loro saccheggio - venticinque quadri e trenta mobili per un valore che supera il miliardo di lire - i ladri ripercorrono il cunicolo, caricano il furgone ed escono velocemente dal giardino attraverso il portone di via Bolognini. Nella fretta l’autista urta un muretto: quella beffarda e inutile traccia di vernice rossa indicherà il colore del mezzo sul quale la preziosissima refurtiva ha preso il volo in quella notte fredda, umida e buia. Da subito ci si rende conto che il furto è stato compiuto su commissione: sono stati scelti solo i mobili di maggior valore e non troppo ingombranti e opere d’arte collocate anche in stanze che da tempo erano chiuse al pubblico. Oltre al danno, la beffa: i mobili erano in gran parte appena stati restaurati. Le indagini e il recupero di alcuni quadri Dopo la denuncia del furto alle autorità competenti, i responsabili della Fondazione Morando Bolognini per agevolare le ricerche provvedono a diffondere a livello nazionale (al Reparto operativo dell’Arma dei Carabinieri per la tutela del patrimonio artistico, alla Guardia di Finanza, agli antiquari e ai doganieri) una brochure con le illustrazioni e le caratteristiche delle opere d’arte rubate, che come tutti gli altri oggetti presenti nel Museo sono fotografati e schedati: di ognuno si conosce la datazione, la provenienza, il materiale e, nel caso dei dipinti, l’autore e le misure. Solo nel 1996, a cinque anni dal furto, i Carabinieri di Roma del reparto operativo per la tutela del patrimonio artistico riconoscono in un catalogo d’asta inglese due quadri appartenenti al clamoroso colpo al Museo Bolognini. Si tratta di due dipinti raffiguranti “Nature morte con pesci” di scuola lombarda, datati intorno al XVII secolo, con cornice di legno dorato: sottratti dalla sala delle Bandiere del castello, che stavano per essere messi all’asta in Inghilterra, a riprova del fatto che il furto era opera di professionisti di livello internazionale. I quadri, riconosciuti grazie al confronto tra le foto dell’archivio e quelle pubblicizzate sulla brochure, dopo gli adempimenti burocratici di rito e le procedure per il loro recupero attraverso una rogatoria internazionale, sono stati restituiti al Museo Bolognini attraverso una cerimonia che ha reso il giusto plauso al prezioso lavoro dell’Arma dei Carabinieri nella tutela del patrimonio artistico italiano. A questo iniziale recupero ne sono seguiti altri, grazie sempre al nucleo operativo dell’Arma dei Carabinieri: il castello è riuscito a tornare in possesso di tre quadri rubati nella sala dei Leoni (“Marina con un galeone a vele spiegate”, opera di autore ignoto del primo Ottocento; “Venere e amore”, olio su tela di autore ignoto del XVI secolo; “Ritratto di fanciullo” olio su tela di scuola lombarda, di ignoto autore ottocentesco) e di un dipinto a olio attribuito al Brescianino raffigurante una scena di battaglia. Chi avrà fornito le utili e precise notizie circa la collocazione e il valore dei pezzi rubati dai ladri? Chi avrà commissionato il furto? Si sono chiesti gli alunni della classe II C della Scuola Media “Francesco Baracca” nel libro “Il Castello Attendolo Bolognini: ieri e oggi”, frutto di un lavoro di approfondimento sulla storia del nostro castello, pubblicato nell’anno scolastico 1990-91. Le stesse domande, che facciamo nostre, finora non hanno trovato risposta. |
Due dei mobili trafugati: uno dei trumeau lombardi che facevano parte di una coppia, in radica bionda a due ordini, della metà del Settecento, nel ripiano superiore i ladri hanno tolto, abbandonandoli, vasi, bottiglie, ceramiche e piatti in porcellana; sotto, uno splendido cassettone in noce, intarsiato a motivi floreali, con ripiano in marmo bianco, della bottega dei Maggiolini .
|