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di Giancarlo Belloni
Ai tempi del coronavirus, complice un po’ di vuoto, sono le parole a riempire le nostre giornate. Le parole che diciamo in famiglia, quelle che affidiamo al cellulare, quelle che ascoltiamo dalla televisione, quelle che leggiamo sui giornali.
Parole che nel drammatico contesto nel quale viviamo talvolta assumono significati nuovi. Ecco allora un alfabeto ai tempi del coronavirus: parole e pensieri in libertà… un esercizio che possiamo fare tutti. Applausi... come quelli che abbiamo fatto dai balconi il 14 marzo per ringraziare medici e infermieri; fra i vari momenti collettivi forse quello più bello verso chi rischia la propria vita per tutelare quella degli ammalati. Bambini… come Giovanni, 6 anni compiuti durante l’isolamento, al quale abbiamo affidato il compito di rallegrare il condominio col suo “andrà tutto bene” appeso sul cancello. Perché noi adulti quella sicurezza non l’avevamo. Chiesa… come quella di San Pietro il giorno in cui papa Francesco ha benedetto il mondo… quella piazza vuota, quella preghiera sono già entrati nella Storia. Distanziamento… con un pensiero a chi sta stretto su autobus e metropolitane. Economia… stravolta. Reggono l’alimentare (farina contingentata), la farmaceutica e il commercio on line. Scendono il turismo, i trasporti, l’edilizia e l’auto. Entrate ridotte per tantissime persone…e una emergenza sociale già in atto. Fila…che infine abbiamo imparato a fare (anche se c’è sempre qualcuno in posizione dubbia!). Gregge… come l’immunità di gregge, quella che qualcuno (non da noi per fortuna) voleva ottenere facendo fare al virus il suo lavoro indisturbato. Home sweet home… un po’ casa dolce casa, un po’ arresti domiciliari. Informazione… tanta, troppa, confusa. Tutti professori e ognuno a dire la sua. Come ha scritto qualcuno: la chiarezza non guarisce ma aiuta! Jogging… proprio necessario? Kit…kit diagnostici usati per individuare gli anticorpi e capire se possiamo ricominciare… perché in alcune regioni sì e in altre no? Lavoro agile… abbiamo provato a lavorare da casa ed è andata meglio del previsto: pensiamoci anche per il “dopo”. Mascherine… non servono, forse servono, ma sì servono, solo le FFP3, anche le FFP2, anche le chirurgiche, anche le swiffer, anche la sciarpa… mah… Nonni e nipoti, due parole, sì… ma intrecciate nel tenero abbraccio che ci è stato tolto. Ospedale… come quello di Lodi, uno dei primi ad essere travolti, per il quale la nostra concittadina Giulia Mantovani ha lanciato una raccolta fondi su GoFundMe arrivando a quasi 200.000 euro. Brava! Promessi sposi… (riletto ai tempi del covid) Manzoni aveva già previsto tutto raccontando la peste del 1630: “…il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune” (cap. XXXII). Quaderni… anche la vendita dei quaderni hanno vietato! Serviva? Referendum…eh? Solitudine… sì, restiamo in casa ma ricordiamoci di telefonare a chi è solo. Anche per chiedere solamente se va tutto bene. Tampone… soprattutto quelli negati… una scelta pagata cara! Ultras… come quelli del Sant’Angelo Calcio che hanno raccolto fondi e organizzato una spesa per le famiglie bisognose. Grazie! Vecchi…come quelli lasciati morire soli nelle case di riposo, morti di “mali di stagione” e neanche contati come vittime del virus. WhatsApp… ci fa divertire e allarmare. Assediata da odiose fake news ma anche da spiritosi video che ci aiutano a sdrammatizzare X come i raggi…per vedere gli effetti di una malattia che in molti ignoravano: la polmonite interstiziale. Yesterday cioè ieri…cioè una vita fa … ed è passato solo poco più di un mese… Zero… come Mattia, il paziente zero di Codogno, che all’inizio abbiamo incolpato per la sua esuberanza, come se fosse stato veramente lui a infettare l’Italia! Se volete, mandateci il vostro alfabeto covid alla casella: info@ilpontenotizie.it |
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