C.M.Cipolla (nato a Pavia nel 1922 - morto a Pavia nel 2000) ha studiato in Italia, in Francia (Sorbona) e in Inghilterra, caposcuola riconosciuto della storia economica, ha insegnato nelle Università italiane e negli Stati Uniti. I suoi eredi hanno donato all’Università degli Studi di Pavia parte della sua preziosa biblioteca, compresi molti manoscritti, il fondo che si è costituito è stato destinato alla ricerca storica universitaria. Il professor Cipolla è anche noto a molti lettori per aver scritto un breve e fortunato saggio sulla stupidità umana, ed anche per una sua celebre frase che propongo a tutti coloro che mai hanno sentito parlare di lui, eccola: la persona stupida è il tipo di persona più pericolosa che esista; una creatura stupida vi perseguiterà senza ragione, senza un piano preciso, nei tempi e nei luoghi più improbabili e più impensabili .Non vi è mai alcun modo razionale per prevedere se, e quando, come e perché, una creatura stupida porterà avanti il suo attacco. Di fronte ad un individuo stupido si è completamente alla sua mercé.
Arriviamo al testo sulla peste...
Tra il 1613 ed il 1666, l’Europa fu devastata da una serie di spaventose pestilenze. L’Italia, nel 1600 era, in Europa, il paese più avanzato in fatto di sanità pubblica e per quanto divisa in vari stati indipendenti possedeva un’efficientissima rete di raccolta e di scambi d’informazione in materia di sanità. Il professor Cipolla, nella biblioteca di Prato, trovò un manoscritto seicentesco di tal Cristofano Ceffini intitolato: “Libro della Sanità”, in cui l’autore (Cristofano) narrava delle peste a Prato e della gestione che egli fece dell’emergenza sanitaria. Ricordiamo che dal punto di vista politico e amministrativo, Prato apparteneva al Gran Ducato di Toscana (antico stato italiano nato nel 1569 mediante una bolla del Papa Pio V e inglobato nel Regno d’Italia nel 1861) e - nel 1600 - contava 6000 abitanti nella cerchia delle mura e 11.000 abitanti fuori dalla cerchia. Prato, nei precedenti secoli, precisamente nel 1350 fu venduta a Firenze, dalla regina Giovanna d’Angiò di Napoli, per 17.500 fiorini d’oro.
Il primo avviso ufficiale della peste bubbonica arrivò nel 1629 ed il comune stabilì due linee di difesa: una ai confini del territorio (ai valichi delle montagne e dei guadi) e l’altra alle porte della città e l’anno seguente l’Ufficio di sanità di Firenze impose l’obbligo dei passaporti sanitari per chiunque si muovesse dal luogo di residenza. Un cordone sanitario era necessario, ma raramente si rivelava sufficiente, soprattutto se l’agente patogeno era sconosciuto ed invisibile (come ora). La maggior parte della gente sperava in un aiuto divino che potesse risolvere la situazione e le autorità furono costrette ad autorizzare le cerimonie religiose e le processioni. Cristofano, designato all’unanimità Provveditore alla Sanità, non aveva mai studiato medicina, ma era un abilissimo contabile e cosa non trascurabile proveniva da una nobile, stimata e ricca famiglia (suo padre pagava una tassazione annuale di 6 fiorini d’oro). Il suo primo atto fu quello di riaprire le case che avevano fatto più di 22 giorni di quarantena (le case degli appestati erano murate e i rifornimenti erano consegnati attraverso un cesto calato dalla finestra). Il secondo atto fu quello di sospendere il pagamento di 10 soldi al giorno a coloro che -guariti - erano in condizione di sostentarsi. In terza battuta mandò al lazzaretto sia i contagiati che i convalescenti - sopravvissuti - che dovevano concludere il periodo di quarantena. A Prato c’erano sì due ospedali, ma si dedicavano alla carità più che all’assistenza. Il problema più grande, che Cristofano dovette affrontare, fu quello della gestione del lazzaretto, infatti nessuno voleva lavorare là dentro, inoltre bisognava fornire a quel luogo: pentole, catini, masserizie, coperte, lenzuola, stoviglie e medicine... nonché medici! Aveva pochi denari a disposizione e più di una volta attinse ad un suo fondo personale e privato (non potrebbe mai succedere oggi). Fu un amministratore onesto, parsimonioso e prudente e quando capì che non poteva più far fronte alle ingenti spese che la gestione del lazzaretto richiedeva accettò di consegnare la gestione del lazzaretto stesso ad una confraternita laica di Prato, mentre lui nel frattempo attraverso una questua recuperò molta roba di seconda mano per arredare l’ambulatorio del chirurgo del lazzaretto. Ordinò che si bruciassero (disinfezione col fuoco) tutti gli oggetti appartenuti ai morti per contagio e che, per contro si riutilizzasse tutto il recuperabile da distribuire ai bisognosi. Gli mancavano ancora dei ducati... quindi decise di utilizzare i proventi delle multe per beneficiare gli indigenti. Fortunatamente con l’inizio della stagione fredda (1630) il contagio allentò la morsa; l’epidemia costituì una tragedia umana, ma anche un disastro economico per l’intera comunità, la peste sconquassò ogni equilibrio. Alla fine dell’epidemia, che vide la popolazione ridotta del 25%, il comune aveva un forte debito che estinse molti decenni dopo, ricorsero ai pagamenti dilazionati che permettevano alla popolazione di far fronte a situazioni difficili, situazioni difficili che oggi, nelle società industrializzate, vengono risolte/affrontate attraverso il credito bancario; il risultato fu l’espansione del credito che giovò all’economia. Ma Cristofano ebbe un’ulteriore pensata geniale per recuperare denaro. Ecco, in ultima battuta, cosa escogitò: la “recognitione encomiastica”. Era costume dell’epoca che impiegati e salariati alla fine del rapporto di lavoro ottenessero una “recognitione” , che consisteva in un attestato di “ben servizio” insieme ad una somma il cui ammontare era proporzionale all’importanza del servizio reso (equivale alla nostra liquidazione). Ad esempio due medici che avevano lavorato all’interno del lazzaretto ottennero 30 scudi ciascuno. Ogni scudo (chiamato anche lira toscana) d’oro pesava 3,30 grammi quindi se moltiplichiamo il prezzo attuale dell’oro al grammo e lo moltiplichiamo per 3,30 otteniamo l’equivalente della cifra in attuale. Cristofano inventò la “recognitione encomiastica”, cioè mantenne la consegna dell’attestato senza l’accompagnamento degli scudi, la sua proposta fu votata all’unanimità dal Consiglio ed egli recuperò ulteriori risorse per la città gravata dall’epidemia e per sé, a fine mandato, ricevette 24 ducati, “tutto compreso...”(!).
Come finì?
La peste nei mesi successivi andò lentamente scemando e la città si riprese; non esistevano all’epoca né cure, né antibiotici, né vaccini; ma... la peste bubbonica si estinse e la vita riprese...
Il libro non è di semplice e facile lettura, inoltre è difficilmente reperibile sul mercato librario perché è stato scritto molti anni addietro, esiste un altro testo del professor Cipolla sull’argomento “peste”, ma è un saggio a livello universitario. Io posseggo entrambi i testi, se qualcuno volesse leggerli contatti la redazione de “Il Ponte”, ringrazio tutti coloro che mi seguono ed iniziano ad incuriosirsi di storia, grazie ancora...
Caterina Avogadri