Sant’Angelo: i colori, il Lambro, la libertà
Il ricordo del nostro passato, delle nostre radici, della nostra storia è viatico per il futuro

di Emanuele Maestri

Nella vita, ogni tanto, bisogna fermarsi. Fermarsi per riflettere. Riflettere per ricordare. Perché il ricordo è fondamentale: il ricordo delle persone care, della propria famiglia; ricordare tutte le persone che si sono donate per l’altro.
Il ricordo del nostro passato, delle nostre radici, della nostra storia è viatico per il futuro. Ci dà forza. Molta forza. Altrimenti il futuro non avrebbe senso.
Ogni tanto mi fermo. Mi fermo per riflettere. Rifletto per ricordare. Per non perdere il legame con il territorio in cui sono nato, cresciuto e dove torno con il cuore e con la mente e anche fisicamente. E mi fa star bene. Mi dà serenità.
Se la vita di corsa che faccio, tra un impegno lavorativo e un altro, sfibra le forze, considerando soprattutto la distanza tra il luogo di residenza (Guardamiglio) e il luogo di lavoro (Aosta): beh, se questo avviene, nel tragitto di andata o di ritorno, faccio una sosta santangiolina per rigenerarmi. Per fermarmi. Per riflettere. Per ricordare. Per recuperare le forze. E per farlo mi immergo nella mia Sant’Angelo, fatta di luoghi e paesaggi caratteristici. Luoghi e paesaggi padani che riempiono il cuore per il romanticismo dato dalla bellezza del territorio di pianura fatto da un insieme di colori unici, in primavera come in estate, passando per l’inverno e l’autunno.
La nostra terra di pianura che è bella anche quando, in estate, con umidità altissima, se fà fadiga a bufà. La nostra terra di pianura che è bella anche quando, in autunno, la nebbia (sempre meno presente) la te fà vede nien ma par la te brasa su. La nostra terra di pianura che è bella anche quando, in inverno, gh’è da barbelà. La nostra amata terra di pianura, che è bella anche quando e soprattutto, in primavera, con il risveglio della natura, par da ves in paradis.
E mi piace farlo fermandomi in un punto preciso, al confine tra la parte santangiolina e quella barasina, sul ponte Ferrante. E lì, proprio lì, recuperando alcuni pensieri alla mia memoria, faccio quello che facevo d’estate, da bambino, assieme a papà Antonio: mi affaccio e guardo il Lambro meridionale, direzione Mulino, per scorgere, nel medesimo punto in cui li vedevo almeno trent’anni fa, i pesci gatto. Sono anni che non li vedo più. Nel mese di agosto, quando il Lambro, causa esodo massiccio direzione mezzogiorno, era privo di inquinamento della metropoli meneghina, si vedevano. E mi piaceva tantissimo ammirare il colatore, solitamente nero se non rossastro e con parecchia schiuma, inquinato all’inverosimile, trasformato - aimè solo ad agosto - in un corso d’acqua limpido. Periodo in cui la realtà si avvicinava al significato del nome Lambro, la cui etimologia deriverebbe dal greco lampròs ossia lucente, proprio come la sua portata di agosto.
Ripetere questo gesto che facevo da bambino mi dà serenità. È immaginare il Lambro come lo vide a Monza nel 1353, e successivamente durante il soggiorno banino, Francesco Petrarca, il quale poetò: “A piè del colle scorre il Lambro limpidissimo fiume e benché piccolo, è capace di sostenere barche di ordinaria grandezza, il quale scendendo per Monza, di qui non lungi, si scarica nel Po”.
Osservare il Lambro dal ponte Ferrante che più che un fiume sembra un torrente data la forza delle acque liberate dalla chiusa della centrale del Mulino (forza torrentizia che i fiumi di pianura non hanno e che solo il Lambro, in quel punto, sa manifestare; forza che dà dinamicità; forza che è metafora della vita in quanto dono, un immenso dono): beh, osservarlo mi fa svegliare dal letargo, dalla fossilizzazione del pensiero sulla problematica che tormenta e affievolisce le forze. Così facendo il problema non c’è più.
L’acqua è simbolo, da sempre, di rinascita. E lo è a maggior ragione oggi dopo questo periodo buio in cui è arrivato il momento di guardare alla natura come maestra di vita, affinché ci insegni a essere grintosi, a lottare.
Cogliamo il segno dell’acqua che scorre veloce e con forza a bas al punte come occasione per correre, cavalcare, saltare, gioire, per ripartire. E se ce l’ha fatta il Lambro che negli ultimi decenni è rinato, beh, perché non dovrebbero farcela i santangiolini?
Questo non vorrà dire tenere comportamenti sbagliati, imprudenti o rischiosi. La prudenza è insita nell’uomo e dettata da un naturale istinto di sopravvivenza. Ma la prudenza non deve portare alla fiacchezza. Prudenza ed energia devono andare a braccetto, per affrontare il mondo con grinta e determinazione, ottimismo e tanta fiducia.
Sant’Angelo e i dü Lamber sono una cosa sola. Il territorio santangiolino e il suo abitato sono abbracciati dai due corsi d’acqua: l’abbraccio della natura che fa sentire la propria voce e che dovremmo sempre più rispettare e amare. Anzitutto rispettare, perché non esiste amore senza rispetto: rispetto per la nostra cara terra santangiolina, unica nella sua bellezza. Unicità che per un santangiolino la rende la cittadina più bella del mondo.
Bellezza che sa di libertà, perché la libertà è tutto. Senza libertà non c’è pensiero e senza pensiero non c’è dignità e dunque non c’è vita. Senza libertà non siamo né uomini né donne.
Senza libertà siamo vegetali.
Per me il Lambro è semplicemente questo: è libertà!

IL PONTE - foglio d'informazione locale di Sant'Angelo Lodigiano