Continua alle superiori l’esperienza della “didattica a distanza”
di Matteo Fratti
“Prof, è sporco di gesso..” – mi dice lo studente nel banco distante, ma come tutti i suoi coetanei attento più che mai a quello che NON dici. – “Di questi tempi, è il minimo che mi possa capitare.. ” – gli rispondo, e mi accorgo sorridendo come anche dietro alle mascherine si incroci la complicità degli sguardi.
Lo avevamo sentito raccontare dagli infermieri di un tempo che avremmo voluto lontano, come uno sguardo potesse essere intenso: tanto, quanto più difficile è il mondo che ti circonda. L’estate però sembrava aver diradato quei ricordi delle nebbie “virali” che, qualcuno avvertiva, avrebbero potuto assieparsi di nuovo al cader delle foglie.
Come il monito di una vecchia favola - con la bella stagione la formica fece provviste per l’inverno, mentre la cicala continuò tutto il tempo a cantare - ci troviamo a fare i conti adesso coi molteplici atteggiamenti attraverso i quali qualcuno (e in fondo un po’ ciascuno) si era illuso di poter ben sperare. Forse perché i tipi umani sono sempre gli stessi, il fare o non fare il proprio dovere per quanto attenesse le responsabilità individuali si è demandato talora ad una responsabilità collettiva, nelle falle della quale s’è insinuato il libero arbitrio di ciascuno, talora a scapito degli altri.
Senza un concreto senso di solidarietà infatti, quei gesti che una inevitabile quotidianità tuttora richiede, come indossare la mascherina, rimanere distanziati, sanificarsi le mani, hanno risuonato talora come una scaramantica ritualità per gli uni, piuttosto che le sole azioni concrete per una difesa immunitaria, per gli altri.
Di come anche in ciò la scuola rispecchi a fondo la società, me ne accorgevo guardando i ragazzi nella strada dalla finestra della Sala Prof. di buon mattino, in attesa del suono della campanella all’ingresso: i più con la mascherina sul mento, in piccoli capannelli a parlare; altri lontano, la chirurgica a coprire il viso e di essi qualcuno, invero una minoranza, con mascherine FFP2, protettive per sé e per gli altri.
Quando la voce dei primi contagi arrivò tra i corridoi, anticipata da una circolare che ce ne mettesse ufficialmente a parte, già alcune assenze diradavano i ragazzi in qualche aula, quantunque attinenti a una percezione del rischio viepiù concreta al diramarsi delle notizie, piuttosto che al rischio stesso. Dentro la scuola infatti, le regole condivise dalla comunità scolastica hanno fatto in modo che si potesse procedere per qualche tempo in sicurezza, perlomeno per quanto il contesto a sistema con essa (i trasporti o la sanità d’intorno, per esempio) ci avesse quasi fatto credere di potercelo permettere. Non è stato per molto e ci rendiamo conto di come le circostanze poi non abbiano retto. Ancora una volta però, il nostro sguardo pare non andare oltre l’oscuro presente e se Paesi come l’Irlanda o la Francia hanno “fermato tutto” ma non la scuola, l’Italia batte in ritirata sacrificando un’altra volta quest’ultima sull’altare materiale dell’economia, emergenza imprescindibile, forse senza aver capito che così facendo il nostro Paese si sta giocando il futuro delle sue generazioni, e il suo. Chiusure mirate, attività non essenziali, riduzione della socialità sono il vocabolario che ha condizionato anche molte delle attività culturali, e se purtroppo in ultime istanze pre - Covid si fosse percepito che il fare cultura paradossalmente, non si palesasse in modo evidente tra le priorità del nostro sistema scolastico (pur inseguendone per buona volontà di alcuni la remota vocazione, tra burocrazia e programmi più imbrigliati in tecnologia, mondo del lavoro, bisogni educativi speciali) le contingenze or riparano di nuovo altrettanto facilmente sulla beneamata Didattica A Distanza (D.A.D.) vessillo di battaglia della penultima emergenza.
Ci vuole poco per capire come sia stato percepito da alcuni studenti tale espediente, che ha regalato promozioni inaspettate a taluni creditori ammessi alle classi di questo a.s. 2020/’21: se tesi erano i giorni più recenti dove a farsi strada era una recrudescenza degli eventi epidemiologici (che Esame di Stato a parte, come lavoratori non avevamo ancora vissuto in presenza) l’annuncio di un probabile ritorno ai loculi tecnologici dell’anno precedente tradiva nei meandri delle aule una sommessa levità, neanche fossimo alla vigilia di una vacanza. All’immaturità dei pochi però, figlia anch’essa della ridotta socialità della scuola a distanza oltre che di una mancata educazione civica alla scuola dei genitori, fa da contraltare la sensibilizzata consapevolezza dei molti che in fondo, sentono allargarsi le maglie di un sapere senza i vantaggi delle precedenti generazioni. Ma se a fare la scuola non è l’edificio quanto invece la rete, lo scambio culturale, la forza delle relazioni, allora forte dev’essere la motivazione che tenga uniti, pur da lontano. Solo così la scelta della D.A.D. non sarà vissuta come un espediente, un ripiego, ma come occasione per non perdersi nell’attuale smarrimento. Nel mentre che la situazione possa mitigarsi e ci si renda conto che ciò che ad alcuni sembrerebbe un alleggerimento del dovere, è in realtà la perdita di un diritto, quello di crescere, che in tempi come questi non è poco. Pena l’incapacità di rispondere alle crisi del domani tanto quanto è richiesto dalle emergenze di oggi.
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