Elogio delle santangioline. Da Madre Cabrini all’impegno odierno: un percorso d’amore

di Emanuele Maestri


Nella vita ci sono punti di riferimento in carne e ossa, persone che sono d’esempio con la testimonianza del proprio vivere, delle rocce a cui ancorarsi nei momenti di difficoltà.
In queste poche righe ecco descritta la donna che sa essere nel contempo figlia, mamma, casalinga e lavoratrice; sa essere, per tutti (genitori, figli, colleghi di lavoro), un punto di riferimento.
Il dono più grande che una donna possiede è quello di poter mettere alla luce una nuova vita: il dono di essere mamma; di essere colei che ci tiene in pancia per nove mesi, ci allatta, ci alleva; di essere colei che, insieme al papà, ci insegna a camminare; di essere punto di riferimento nella fanciullezza, nella fase delicata dell’adolescenza, nella gioventù e anche nella fase più matura della vita. E anche quando questo dono non è dato o non voluto, le nostre donne sanno essere straordinarie comunque, perché capaci di ritagliarsi il ruolo di “madri”, con la sensibilità, la dedizione e l’amore, in altri settori.
Questo scritto voglio dedicarlo alle donne, in particolare vuole essere un elogio delle donne santangioline: donne straordinarie che non sono semplicemente donne, ma donne con la caratteristica di essere donne di Sant’Angelo, donne portatrici di un senso di appartenenza unico.
E questo elogio non può che partire dalla santangiolina per eccellenza: la nostra Madre Cabrini, la quale non avrebbe fatto nulla di ciò che ha fatto se non fosse cresciuta a Sant’Angelo.
Una vita, la sua, che è testimonianza di come la volontà, sorretta da una fede incrollabile, possa portare a un bilancio di vita unico per una donna vissuta a cavallo tra Ottocento e Novecento.
Madre Cabrini è stata una donna dal carattere forte che ha saputo esprimere un punto di vista originale e innovativo sia nelle scelte di vita sia nel progettare le attività caritatevoli di cui si è occupata; una donna, una suora, un’imprenditrice, un’educatrice che ha saputo guardare al futuro e lottare per raggiungere i propri obiettivi e superare gli ostacoli; una donna che ha lasciato Sant’Angelo e ha viaggiato per il mondo per inserirsi in contesti radicalmente diversi da quello del luogo nativo; una donna che è stata senza dubbio una delle fondatrici più innovative e autonome della storia della Chiesa, capace di intraprendere una via di emancipazione femminile (diversa da quella ideologica del tempo) che raggiunse obiettivi di autonomia invidiabili, con la creazione del primo istituto religioso femminile non collegato ad un ramo maggiore maschile.
La via dell’emancipazione femminile non è stata facile. Ha trovato non pochi ostacoli. Un evento cruciale è stato, senza dubbio, il suffragio universale che ha permesso alle donne, nel 1946, di esprimere, con il voto, la propria preferenza o per la monarchia o per la repubblica e di scegliere i membri della Costituente e, nel 1948, alle elezioni politiche, di attribuire la propria preferenza o per lo scudocrociato o per il fronte democratico.
Giampaolo Pansa, nei suoi libri, in riferimento agli anni decisivi per la sorte democratica dell’Italia, nella sua Casale Monferrato, descrive compiutamente questo fenomeno. Attento osservatore, aveva l’opportunità di ascoltare e capire ciò che le clienti del negozio di modisteria della mamma, in via Roma, dicevano sulle preferenze di voto. Le donne, infatti, alla prima occasione utile per dire la propria nell’urna elettorale, furono determinanti per la vittoria di De Gasperi.
Sin da ragazzo, ho avuto la fortuna di ascoltare e annotare la testimonianza della mia cara nonna Cristina, militante dell’Azione Cattolica, la quale mi raccontava con profondo orgoglio che, nel 1948, come tante coetanee, votò convintamente per la Democrazia Cristiana. Non votò solamente, ma si mobilitò affinché si optasse per De Gasperi. Non votò e non si mobilitò e basta: ma fisicamente accompagnò molte persone al seggio. In quel periodo ci fu una vera e propria fibrillazione nei due schieramenti, per spiegare l’importanza del voto, il peso specifico dello stesso e il costo in termini di sacrificio di vite per esprimerlo liberamente. Era l’alba di una nuova era. Si assaporava la libertà. C’era la consapevolezza che iniziava, per le donne, una via d’emancipazione reale.
Che dire, nello specifico delle santangioline?
Tante fortune economiche in Sant’Angelo sono nate da idee di uomini, ma, in molti casi, suggerite e supportate con tenacia da donne uniche. Sì perché la donna santangiolina era ed è ancora oggi meravigliosamente innamorata della sua santangiolinità, impregnata di profondo senso di appartenenza alla comunità e di un amore vivace per la propria famiglia. Amore che non può non essere dissociato dal benessere economico, che trova fondamento in una capacità di gestione economico-finanziaria oculata. La donna santangiolina ha sempre avuto, in famiglia, un ruolo fondamentale, anche nella gestione del rapporto tra mezzi e fini, nel rispetto della regola base delle entrate di denaro che determinano le uscite. Dopo questa fase, ecco la capacità di fare impresa direttamente; ecco la capacità di essere dirigenti d’azienda; ecco la capacità di essere pari agli uomini anche e non solo nel mondo del lavoro.
La strada per una compiuta parità non è stata percorsa del tutto, manca l’ultimo e decisivo miglio. Dal dopoguerra ad oggi, sono entrate a pieno titolo in lavori tradizionalmente maschili (forze armate e di polizia, magistratura, medicina…), ma non hanno avuto sempre dei servizi sociali sufficienti a sostenere l’attività professionale con le necessità della famiglia. Il ruolo della donna deve andare di pari passo con il diritto alla maternità, la quale seppur concomitante al lavoro non deve diventare un peso, al punto di demotivarla. Occorre creare una cultura, fatta anche di leggi, che stia dalla parte della donna realmente e non solo a parole, perché essere dalla parte della donna significa essere anche dalla parte degli uomini e dei bambini. Sì, perché oggi la nuova realtà sociale vede entrambi i genitori impegnati ad assicurare la base economica e la qualità affettiva nella famiglia. In tale ottica devono essere conservati quei valori familiari a fondamento del tessuto sociale.
Proprio come straordinariamente hanno fatto le santangioline dal dopoguerra a oggi con grande senso di servizio. La capacità di servire (dove il verbo servire è da considerarsi nell’accezione di giovare, essere utile al perseguimento di un fine) la causa del bene comune da parte delle donne è straordinaria; è nella maggior parte dei casi disinteressata; è uno slancio emotivo dato dal grande senso di agàpé, amore allo stato puro, gratuito, incondizionato, che parte semplicemente da una pienezza interiore. Per comprendere l’amore caritatevole vi è un testo di un rabbino (Moshe Lob) che ne mette in luce la gratuità e che si attaglia, a parer mio, alla figura femminile:
«Io ho imparato da un contadino come bisogna amare i fratelli. Questi sedeva in una mescita con altri contadini e beveva. Tacque a lungo come tutti gli altri, ma quando il suo cuore fu mosso dal vino, si rivolse al suo vicino dicendo: “Dimmi tu, mi ami o non mi ami?” Quello rispose: “Io ti amo molto!”. Ma egli disse ancora: “Tu dici: Io ti amo, e non sai cosa mi fa soffrire. Se tu mi amassi veramente, lo sapresti”. L’altro non seppe che cosa rispondere e anche il contadino che aveva fatto la domanda tacque come prima. Ma io compresi: questo è l’amore per gli esseri umani, sentire di che cosa hanno bisogno.»
Questo è l’amore delle donne per il genere umano: sentire di che cosa l’altro ha bisogno, donare amore con l’esserci, l’esserci sempre, persino quando non serve a nulla, se non a ricordarci che l’amore esiste.





Santa Francesca Saverio Cabrini




2 giugno 1946 la nascita della Repubblica
e il voto alle donne