La cura in pillole… barasine: el sègne



Eccoci alla seconda puntata del contributo che la Società della Porta ha presentato nell’ambito del Festival dei diritti, evento culturale organizzato lo scorso anno da CSV Lombardia Sud, con tema La Cura.
La prima puntata – sui modi di dire e proverbi dialettali – è stata pubblicata sul precedente numero del nostro giornale.
In questo secondo appuntamento abbiamo invece affrontato la cura nella tradizione popolare offrendo una breve testimonianza sui guaritori di campagna – i medegòn – e sulle pratiche devozionali per curare la salute attraverso l’intercessione dei Santi.
Ricordiamo ai nostri lettori che stiamo riproponendo in forma scritta un contributo ideato come conversazione radiofonica attraverso Radio Sant’Angelo (ancora disponibile sul sito facebook della radio).
Per noi, al microfono, c’era Gabriella Bracchi.

LA CURA IN PILLOLE BARASINE
- Parte2 –
El sègne

Eccoci alla seconda puntata del percorso pensato per il Festival dei Diritti che quest’anno ha come tema “La Cura”.
La scorsa puntata abbiamo parlato del benessere attraverso i motti della saggezza popolare.

È con noi oggi Gabriella Bracchi per parlare di un tema con un titolo un po’ misterioso, “El sègne”… di cosa si tratta?
Parleremo di medegòn e di santi… cioè di come un tempo, e neanche tanto tempo fa, si affrontavano le malattie. Siamo sempre nel mondo rurale e davanti a certi disturbi non si scomodava il medico, bensì el medegòn.

Siamo nel campo della superstizione dunque…
Sì e no… direi che confinare il fenomeno nella sola categoria della magia e della superstizione è limitativo perché in fondo, al netto dei rituali che l’accompagnavano, l’arte dei guaritori di campagna si fondava su alcuni principi ripresi anche dalla medicina ufficiale.

E quali sarebbero?
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Beh, ad esempio c’era già l’idea che alcune patologie sono accelerate o controllate da meccanismi psicosomatici, c’era il ricorso ai benefici dell’erboristeria…
Ma c’è anche un altro aspetto che va considerato: chi racconta le storie di questi medegòn li presenta sempre come figure carismatiche, in grado di catturare la fiducia del malato…
C’è una bella poesia di Achille Mascheroni intitolata proprio “El medegòn” che illustra varie situazioni e fa sempre dire al medegòn“e pö al rest ghe pensi mi…” Ecco dietro quel ghe pensi mi c’è la presa in carico del malato più che la cura della malattia.

In effetti una lettura del genere è piuttosto moderna: oggi ci si lamenta di una medicina che spesso privilegia solo i referti strumentali… cura la malattia ma perde di vista il malato…
È anche vero che il rapporto di fiducia, che è un elemento essenziale per il successo della terapia, nel caso dei medegòn era un po’ eccessivo, direi una fiducia cieca, vuoi per ignoranza, vuoi per la soggezione che incuteva il guaritore.…

Per cosa si andava dal medegòn? E in cosa si distingueva rispetto a un medico?
Dal medegòn si andava per malattie tutto sommato semplici anche se molto fastidiose: fuoco di Sant’Antonio, porri, storte, bruciature, sciatica, malattie della pelle, verminazione dei bambini…
Si andava di persona o si portavano effetti personali del malato (maglie, fazzoletti) o fotografie, nella convinzione che la terapia, rinforzata dal “segno” avrebbe funzionato anche da remoto come diremmo oggi.
Il segno, el sègne come abbiamo intitolato la puntata, è l’elemento caratteristico dell’azione del medegòn che, un po’ come lo sciamano delle popolazioni primitive, mette insieme funzioni religiose e funzioni terapeutiche…

Ma esattamente di cosa si trattava?
Il segno è un gesto. È il gesto che accompagnava le prescrizioni.
Poteva essere il segno della croce, una imposizione delle mani, una moneta appoggiata da qualche parte. Un gesto magari ripetuto per tre volte, spesso accompagnato da invocazioni religiose.
Il segno incarnava il lascito ricevuto dal guaritore: era un po’ la sua laurea, la certificazione delle competenze che aveva ricevuto da qualcun altro... dalla madre, dal nonno o da altri che prima di lui facevano lo stesso gesto e che proprio a lui l’avevano tramandato..

Per capire meglio la situazione ci viene in aiuto un racconto in dialetto di una lettrice de “Il Ponte”, Angela Ferrari, nel quale narra la sua avventura dal Medegòn de la Mòta, uno dei più noti nel nostro territorio.
Nel breve stralcio che leggiamo, la piccola Angela viene accompagnata dalla nonna a Motta Vigana, frazione di Massalengo, dal medegòn, per un problema persistente di prurito alla testa e forfora (la rüfa)...

Ruvàde ala Mòta la me porta in una cùrte… el medegòn el stèva lì.
Me nona l’a tirade el sapè: “Permès?”
Se sènte: “Ve inàns”
Ndème indrèn: una stansèta vegia, che sèva de remàteghe; gh’èra una panadùra, una cadrèga e un taulén….
“Sciur Giuàn, bongiorno”
“Tlà chì Miglia! Te gh’è adré la cumpagnìa stamatìna?”
“L’è me neùda. La me fiöla la m’à dì che la fiulìna la gh’à la rüfa e la següta a gratà”
El sciur Giuàn el me branca per un bras, el me rüsa ‘ndel cantòn d’la panadùra e ‘l me làsa ‘ndà ‘na sgiafàda. Fò per riparame, ma me na rüva un’oltra e po un’oltra amò…
Ghe disi “A slè mate? L’è adrè a perde la mumbràna?
El se mete adrè a vusà: “Tàs, parla no che son adré a segnàt”
Me gneva da sgarì. Ma me nona anca lè: Tas, l’è el sègne!”
Son restàda me quela d’la maschèrpa!
El siur Giuàn el ghe dìs: “Miglia, te fè el decòt de bisìe e quand la lava i cavèi, ja resènta còl decot, te vedarè ch’la guarìs”.


E guarivano?
Beh, le terapie che si rifacevano all’erboristeria avevano un loro fondamento come sappiamo ancora oggi… anche se certi impiastri erano in grado di portare a suppurazione qualsiasi cosa… bisögnèva tirà a cò, come dicevano… ma quando i bubboni scoppiavano lasciavano cicatrici a vita…
All’effetto dei rimedi consigliati (preparati con ingredienti spesso recuperabili in dispensa) è possibile che si aggiungesse un effetto placebo grazie alla suggestione.

Magari il decotto per la forfora funziona… avete altri consigli per i nostri ascoltatori?
Senza il segno ovviamente non garantiamo l’efficacia….comunque, ecco qualche prescrizione presa da un testo di Nini Semenza (Dìss che bèl e bèn gh’èra ’na volta…)

Per il mal di pancia e l’infiammazione: una pessa vuntàda de oli de rìsne sü la pànsa, pansèta da mangià per medegà i büdei, un cuciàr de oli de ulìva tüte le matine. Cioè un panno unto di olio di ricino sulla pancia, pancetta da mangiare per sistemare l’intestino e un cucchiaio di olio di oliva tutte le mattine.

Per i geloni, I zelòn: lavà cun la so pissa e pö fregài cun l’ai e la sunsa vegia: lavarli con la propria urina e poi frizionarli con l’aglio e la sugna vecchia (grasso di maiale).

Per il mal di denti: mète in bùca la grapa, pö una bèla pestàda de ai e larde sü la fàcia e tegnìla sü tüta la note... mettere in bocca la grappa e poi fare un pesto di aglio e lardo da tenere sulla faccia per tutta la notte.

E se non funzionano e proprio volete evitare lo studio medico in tempi di Covid potete sempre rivolgervi ai Santi….

In che senso?
Nel senso che c’è anche una grande tradizione verso l’intercessione dei Santi per la protezione e cura delle malattie. Ad esempio a San Biagio il 3 febbraio la Chiesa cattolica offre il rito della benedizione della gola, contro le pestilenze si invocano San Rocco e San Sebastiano… per le infiammazioni San Benedetto… Santa Lucia per gli occhi, Santa Apollonia (Santa Pulònia) per il mal di denti

Credo che siano tradizioni molto generalizzate…
A Sant’Angelo abbiamo tradizioni particolari?

Da noi, come in ogni altra parte d’Italia, ci sono particolarità locali più sentite di altre.
A Sant’Angelo ad esempio si invocava San Zeno per i neonati a rischio di sopravvivenza: si andava alla cascina Graminello dove c’è una chiesetta a lui dedicata “Pòrteghe el camisèn a San Zén, o la fa guarì o la fa murì” si diceva…
Un altro santo molto invocato a Sant’Angelo è San Mauro (San Màver) chiamato in causa per ogni sorta di malattie o difficoltà.
San Mauro ha una cappella dedicata nella chiesa di San Bartolomeo nella quale sono effigiati anche altri Santi amati dai santangiolini:
San Bartolomeo, cui è dedicata la chiesa, che è protettore delle malattie della pelle;
San Postumio, che è patrono dei cordai, attività tipica del borgo;
Sant’Omobono, che invece protegge sarti e mercanti, altri mestieri che erano molto diffusi a Sant’Angelo.
In effetti invocare i santi per ogni situazione è veramente una consuetudine ancora vicina: mia nonna ogni volta che cerca qualcosa lo fa chiamando Sant’Antonio dala barba bianca fame truà quel che me manca.
Ma senza scomodare le vostre nonne vi possiamo consigliare una piccola giaculatoria che va bene anche per voi giovani, che avete l’aria di far fatica a svegliarvi il mattino… Che a volte, come si dice, dormite fin che canta la vàca…
Potete stupire i famigliari chiedendo di essere svegliati all’alba invocando: “Sant’Ana e Santa Süsana, vüna c’la me sveglia e l’òltra c’la me ciàma”.
Provare per credere!

IL PONTE - foglio d'informazione locale di Sant'Angelo Lodigiano





El medegòn

Se un chidön l’èra malade
o s’el se sentiva mal
o se l’èra a l’uspedàl,
per pudè guari dabòn,
gh’èr chi ‘ndèva da’l dutùr
e gh’èr chi… da’l medegòn.
I’ èrun robe… amò de lur!
Strada fai a pé in du ur…
I rüvèvun in cà, la…
tüte pièn de maistà
d’la Madòna, de’l Signùr,
Santa Balbura e Simòn
ch’i risguardun d’la saèta
e pö anca fin da’l tròn.
Gh’èra tanti Santi amò,
inciudadi cuntra ‘l mür,
cu’i lümén in sü’l cumò
ch’i lüšivùn in de’l scür.
Tanta gènte gh’èr setada
che spetèva d’andà indrèn
cun la maia de’l malàde
fai sü dren d’un pachétén.
Se derviva intante l’üs:
‘gnèva vultra un brütu müs
-Sü, indrèn chi l’è ghe tuca.-
“Me son chi pr el me fiulén,
e son me che me pertùca
a purtaghe chi ‘l maién.“
-Dam’a mi che ghe fò ‘l sègn,
pö la tuchi a la Madòna.
Un decòt fai de castégn
e de rura per tri dì.
Un rušari a la Madòna…
e pö al rèst, ghe pènsi mi.-
“Grasie… Quante che ghe vèn?“
-Fa l’ufèrta: mi vöi nièn-
E l’ufèrta, se te vöi?,
la vudèva el purtaföi.
-Dènter l’alter… desfesèv!-
“G’ho ‘l me òme cun la tus.“
-un decòt fai cun el sèv
e un cüciar d’oli de nus.
Tri patèri per tri dì…
e, al rèst, ghe pènsi mi!
Fà l’ufèrta: mi vöi nièn…-
Se süghèva anca ‘l bursén.
“Questa chi l’è la maina
d’la me pòra picinìna…
Da tri mèši ghe vèn pü
le sò robe, o bòn Gesü!
Tüti i dì l’è là da l’oste,
prò le l’è ‘ncamò a’l sò poste.“
-Dü o tri dì ‘n d’la me stansa.
pulentìna sü la pansa,
dò masacc che mi gh’a fò…
i sò ròb ghe vèn amò.
Sènsa ufèrta, ne urasiòn
la tò fiöla guarirò.
Te m’la laset chi tri dì…
e a’l rèst… ghe pènsi mi!-
“Amò ‘l mola! Sacramè!
Te vurés, ti, fam’la a me…
Quèste sì che l’è un bèl dritu…
Me te’l diši, pencescrìtu!”
Dis insi che bèl e bèn
dopü un po’, ‘stu medegòn,
el s’è töi una pusiòn.
È (sfalsandu un po’ ‘l pruèrbis,
ch’l’èra pròpi quèl mulièrbis
e l’è quèl vira dabòn)
dis che val ‘na buna facia
per… cumpràs ‘na pusiòn!

Achille Mascheroni