Il 24 Febbraio 1525 si svolsero le fasi terminali della battaglia di Pavia, fra l’esercito francese al comando del Re Francesco I e le truppe imperiali di Carlo V, duro scontro che confermò la temporanea supremazia di Carlo V sull’ Italia del nord.
Le fasi preparatorie di questa battaglia interessarono anche il borgo di S. Angelo.
Prima di riportare la cronaca di questo antefatto, come descritto da Paolo Giovio (!483-1552) nel libro V della vita del marchese di Pescara(1), inquadriamo la situazione politica sul territorio.
Francesco I ha occupato Milano costringendo gli imperiali al comando di Ferdinando d’Avalos marchese di Pescara a ritirarsi nella città di Lodi con 6.000 armati.
Il borgo di S. Angelo è difeso da Pirro Gonzaga da Bozzolo, al soldo del Re di Francia Francesco I° e dispone di 200 cavalli e 800 fanti per lo più schioppettieri e archibugieri.
Particolare carta principato Pavia 1654
La città di Pavia è presidiata da forze imperiali di Carlo V, 5.000 fanti tedeschi e 1.000 spagnoli, e resisteva, dall’ottobre del 1524, all’assedio dell’esercito francese.
In aiuto della città Carlo V invia rinforzi al marchese di Pescara, accampato a Lodi, e gli ordina di muoversi in difesa di Pavia, questi nel gennaio del 1525 si muove in aiuto di Pavia.
Vista la situazione sul campo delle forze militari vediamo la cronaca degli avvenimenti che coinvolsero il borgo di S. Angelo come riportato dal Giovio:
“Era da man sinistra S. Angelo abbondante in tutte le cose; et celebre per un frequentatissimo mercato, dove era di guardia Ser Pirro Gonzaga, fratello di Ser Federigo da Bozzolo con circa dugento uomini d’arme et insegne di fanteria. Perché il marchese disegnò in ogni modo di voler prendere questa terra, acciò che i Francesi lasciati dietro alle spalle rompendo le strade non dessero noia ai vivandieri et spaventando i popoli vicini non impedissero la vettovaglia. Ma al Lanoia, à Borbone et anco ai capitani Tedeschi piaceva più che si andasse dritto à ritrovare il re, et non perdere alcun tempo, acciò che i soldati del Ser Anton da Leua stanchi per lungo assedio non si perdessero d’animo, veggendo invecchiare la fame. Perciò e anche perché presa quella terra ve n’era anco un’altra vicina che chiamavasi S. Colombano e che per la medesima ragione parea doversi prendere. Et che era assai meglio andare a mettere un subito spavento nell’esercito di Francesco I, acciò che mentre i soldati erano ubbidienti ed in freschissime forze si levasse l’assedio a Pavia ed attaccato il fatto d’arme con nobil prestezza si finisse la guerra. A queste parole avendo risposto il marchese, quasi che egli per suo meraviglioso giudizio signoreggiasse gli animi altrui, subito i capitani approvarono il parer di lui. Per il che senza ritardo si fortificarono gli alloggiamenti in luogo comodo, ed egli (il marchese) se ne allontanò alquanto stabilendosi nel borgo. Et quivi nella notte si piantarono i gabbioni, et egli considerato diligentemente il sito della terra piantò l’artiglieria contro una torre quadrata e subito rischiarandosi l’alba, la fece battere di fronte e dai fianchi dove essa era attaccata col muro, et quindi nel fare queste cose fu ammazzato da un colpo di artiglieria don Antonio Capua buono e valoroso capitano assai caro al marchese.
Ora veggendosi la torre di molti colpi d’artiglieria rotta sulla sua fronte e fattasi un gran breccia il marchese fece subito empire le fosse di fascine, et confortò i soldati a salire con lui le mura (2).
Allora gli Spagnuoli e gli Italiani a gara per concorrenza di lode salirono le mura. Et quivi valorosamente si difesero gli archibugeri di Ser Pirro Gonzaga et molti degli assediati ne furono feriti et alcuni morti et fra gli altri fu passato al petto da un archibugiata a MarcAntoni Capece nobile e valoroso giovane napolitano. Ora mentre la battaglia ferveva al colmo, il marchese eccitava i soldati alla pugna, egli quasi temerariamente mostravasi in luogo ove ere molto scoperto, una palla di piombo scaricatagli nella costola per vero miracolo gli si arrestò nel giubbone, et un’altra più grossa gli rasentò di modo la calza che con grave segno gli lasciò solamente il lividore nella gamba. Ma senza spaventarsi punto del pericolo corso, ritornò all’assalto, e cacciatone i difensori prese la torre. La quale siccome era aperta dalla parte di fuora dalle artiglierie, col muro di dentro che era salvo copriva in modo coloro che vi erano saliti insieme al Pescara, che quei che erano nella torre et già cacciati dalle mura et si erano fermati nella seconda trincea dalla torre cavata ove erano i feriti con archibusate e per le cannoniere et eglino (I soldati di Pirro) all’incontro di sì malvagio quanto non pensato caso, non avevano comodità di ferire ne pur di vedere i nemici. A questo modo, mentre che i soldati di Pirro erano di luogo segreto ammazzati da una frequente archibugiata, et non avendo ardire alcuno, ancorche valorosi soldati, di fermarsi sulle trincee, presi dalla paura cominciarono pure a crollare negli animi e nei corpi ancora, et avendo qualche segno di spavento correvano guardandosi ogni tanto indietro, traendo ciò dall’avere veduto il marchese nella torre. Ciò spinse il Casada capitano d’archibugeri, uomo di singolare ardire, ad entrare per la finestra nel muro sottostante.
Si gettò allegramente il Casala d’un salto, il Pescara anch’egli con ardire quasi pazzo fu primo di tutti a seguirlo. Allora alzato un grido di gioia da ogni parte et facendo tutti il debito loro, fu preso il mura. Dove fu tanta la furia di coloro che vi correvano, et s’urtavano l’un l’altro che poco mancò, che mentre i soldati passavano, non opprimessero nella fossa il marchese del Vasto di presso tra le fascine dal peso dell’armatura. Ma il Sig. Pirro veggendo che i suoi per la paura subita erano spaventati et vituperosamente fuggivano, et che egli indarno gli richiamava, si fuggì nella Rocca.
Ora morti poco meno di cento e gli altri messi in fuga mentre che ognuno correva a rubare, il Pescara mandava il marchese del Vasto nella Rocca il quale confortasse il Sig. Pirro ad arrendersi, e gli facesse intendere che se egli volesse provare la forza, i soldati cruciati non gli avrebbero reso nessuna clemenza, ma che senza sdegno si volesse servire del beneficio che gli voleva fare; e tutti se ne avrebbero iti sani e salvi, perciò che egli non aveva cosa più cara ne più dilettevole che perdonare il sangue degli Italiani e lasciare liberi i quali erano a lui congiunti in legame di parentela (perché la sorella di Pirro Gonzaga era la moglie di Don Giovanni conte di Colisola).
Ora mentre il Sig. Pirro (presentandosi e ragionando il Vasto) gli faceva risposta alquanto aspramente, il Vasto replicavagli che non bisognava secondo l’usanza della guerra di domandare la tregua alcuni giorni. Facendo egli strepito, e schernendo gli Spagnuoli, il marchese gli faceva amichevolmente intendere che non stesse ad aspettare soccorsi. Allora il Sig. Pirro mosso dai suoi conforti s’arrese a discrezione del Pescara.
E così il marchese del Vasto, rinchiuse in una camera separata il Sig. Pirro, il Cagnino figlio di sua sorella, giovane di gentili arie, Emilio di Cauriano et alcuni altri capitani di cavalli et di fanti acciò che loro non venisse fatta per parte dei soldati la minima ingiuria, et aperta la porta diede la rocca a sacco ai soldati stessi, e dove un sacchetto di 1.000 scudi d’oro del Sig. Pirro venne trovato fu dato al Casada in premio del muro che aveva preso. Lo stesso Pescara si accontentò d’un cavallo Spagnolo che si chiamava Caballa, il quale come eccellentissimo gli servi in molte battaglie.
I soldati di guarnigione furono lasciati andare coll’obbligo di non servire, se non che fosse finita la guerra, il re di Francia.
Et con umanissimo et liberale giudicio licenziò parimenti i capitani i quali per ragione di guerra erano costretti a fare taglia. Il re Francesco I poiché ebbe inteso che S. Angelo era stata presa dai nemici, riprese grandamente il Gonzaga perché largamente gli aveva promesso che avrebbe retto alla furia dei nemici almeno tre giorni.
(1) Il testo della cronaca è tratto da: BREVI CENNI STORICI GEOGRAFICI STATISTICI raccolti a cura e diletto di GIOVANNI SOBACCHI PEDRAZZINI – S. Angelo Lodigiano – Tipografia SANTE REZZONICO 1897
(2) Per un approfondimento in merito ai fatti si rimanda all’articolo di Antonio Saletta IL PONTE Giugno 2021: “Un disegno cinquecentesco sulle fortificazioni del nostro borgo e il castello”.