Stemmi e cappelli dalle polizie del mondo
di Matteo Fratti
Si respira una fascinazione museale, quando entriamo in casa di Angelo Bianchi, a Melegnano. L’uomo, originario di Sant’Angelo, vive lì da alcuni anni e dopo una vita a Vidardo, con la sua attuale compagna di vita convive, assieme ad una personale passione per stemmi e cappelli dalle polizie di tutto il mondo. Un entusiasmo che lo ha colto da quando, ci racconta, tempo fa come rappresentante di un grande marchio alimentare, a Corsico, venne multato in divieto di sosta e nel posto di polizia, invece di un comprensibile nervosismo al pagamento della contravvenzione, ebbe l’estro di chiedere un distintivo: fu il “Numero Uno”.
Oggi il signor Bianchi ha novantun anni e ci mostra con orgoglio quello che ha “costruito” nel tempo, che ne fa una grande storia di vita mentre racchiude, a sua volta, altre mille storie: quelle dietro ogni stemma che, dal mondo, ci racconta anche di un particolare interesse “araldico”. Non studi particolari dietro, né medievalismi di sorta, ma solamente un’attrazione per quegli oggetti che, nella contemporaneità, rappresentano in modo originale chi in ogni dove si erga a difensore della legge. Un simbolismo tra garanzia di sicurezza e timore reverenziale, che ha affascinato Bianchi ormai dagli anni Ottanta circa, di quando ancora i contatti telematici erano un miraggio e lo scambio, per un’“oggettistica” di tal fatta, avveniva in grandi fiere – mercato come la “Militalia” (a Novegro) oppure intrattenendo una corrispondenza coi riferimenti istituzionali delle polizie di tutto il mondo: talora accondiscendenti, ma a volte non sempre ricettive a tali interessi e spesso reticenti, come dice Bianchi, soprattutto in Italia. Ma l’interesse che lo avvince da quando, in pensione dal ’92, ha intrapreso la strada del collezionismo, non si è mai fermato e anzi, dai contatti “ufficiali” intrapresi negli anni sono nati di frequente gli agganci con chi avrebbe potuto contribuire a questa assidua ricerca che ha permesso a Bianchi di raccogliere intorno ai cinquemila distintivi, oltre a piccoli cimeli come spille da giacca, fermacravatte. Qualcosa che lo ha visto spesso attivo, inevitabilmente, anche a gestire comunicazioni con mezzo mondo, persino ad imparare un po’ d’inglese. Ed è coinvolgente cogliere un po’ di questa vicenda salendo le scale, dall’atrio della sua abitazione melegnanese, dove ad accoglierci ci sono già alle pareti quegli stemmi che Bianchi cura con precisione archivistica (assieme ai faldoni della corrispondenza) occupandosi di persona di raccoglierli nelle cornici, che li raggruppano dove più, dove meno, per provenienza. Così ci sono le bacheche italiane divise per regioni o provincie, e quelle estere divise per stati che, raccontano Bianchi e signora, trovano il suo maggior pregio nelle provenienza britannica, ma ci sono oltre che dall’Europa, anche da Cuba, come dal Giappone o dall’India.
Non sempre facile capire se appartenenti a municipalità o allo stato, questo anche per un’organizzazione territoriale differente nei vari continenti. Ci affascinano poi i simbolismi statunitensi, a loro volta divisi per stati o contee, o quella storia con fotografia che ci mostra di un Angelo Bianchi, omonimo americano, artigiano di cinturoni da cow-boy e fondine per pistole. Al piano di sopra poi, la casa di Bianchi si dipana in alcune stanze e da un’anticamera sempre gremita di “raccolte”, il signor Angelo ci apre ad un piccolo “reparto” dove sono gli altri “pezzi”, custoditi da un immaginario che sovente si accompagna ai distintivi esibiti dalle forze dell’ordine: quei cappelli che innumerevoli, ci ricordano la miriade di “personaggi” in film o fotogrammi storici, indossati a simbolo di queste stesse istituzioni nel mondo. Inconfondibili allora i “copricapi” dei “policemen” inglesi, così come le forme a mo’ di Stetson americane, quanto gli storici “elmetti” dei “ghisa” milanesi. Il patrimonio di una vita, che ci coinvolge ed affascina, come le geografie e le storie del mondo, che avvincono attraverso i simboli che le rappresentano. Insieme, un uomo dalle innumerevoli risorse, che ci mostra anche i suoi quadri e la manualità nel ricreare mosaici dei luoghi lodigiani attraverso mille tessere di legno. E l’invito ad un appello: che tale collezione un giorno abbia l’onore di un posto dove rendere pubblicamente testimonianza per ciò che rappresenta.