Dal cavallo al camion, l’epopea dei “cureri” è arrivata al capolinea


La famiglia Biancardi tra Ottocento e Novecento ha scritto una pagina di storia della città

di Lorenzo Rinaldi


Fine corsa per gli storici cureri di Sant’Angelo Lodigiano, eredi della famiglia Biancardi che per cinque generazioni hanno trasportato prodotti di tutti i tipi, dalla corda alla tela dei tilè, dagli abiti per i militari alle lavorazioni della ditta Giannoni. I cugini Luigi e Fernardo Biancardi, classe 1960, il primo di giugno e il secondo di dicembre, hanno lasciato l’attività per la pensione a fine anno. I figli hanno scelto altre strade, il mercato del lavoro è cambiato con l’arrivo dei “piccoli corrieri” senza regole che scorrazzano nelle nostre città, i cugini Biancardi però possono dirsi orgogliosi per aver portato avanti negli anni un’attività storica, che ha attraversato l’Ottocento e il Novecento, è passata per due guerre e si è adattata alle evoluzioni dell’economia locale, dalla chiusura delle grandi fabbriche come la Philips allo spegnersi di una lavorazione storica come quella dei cordai.

L’azienda nasce in pieno Ottocento con Baldassarre Biancardi, il classico corriere (da qui l’appellativo santangiolino i cureri): cavallo e carretto servono per le consegne tra l’area santangiolina e quella milanese. I primi camion arrivano con la seconda generazione, quella di Paolo (figlio di Baldassarre). Tocca poi al figlio Edoardo rilevare l’attività, che passa successivamente ai figli Umberto e Vittorio, i genitori di Luigi e Fernando, gli ultimi di questa “gloriosa” stirpe.
Il primo documento scritto risale al 1921, è la medaglia per la Prima guerra mondiale attribuita alla ditta “Biancardi Paolo di Baldassarre”. È invece del 3 ottobre 1944 uno dei documenti più interessanti, con il quale il comando tedesco “requisisce” sempre a Paolo Biancardi un autocarro con rimorchio, con l’avvertenza che “il ritardo o la mancata presentazione sarà considerato atto di sabotaggio”. Siamo nel pieno della Seconda guerra mondiale con l’Italia settentrionale occupata dai nazifascisti.
I ricordi di Luigi Biancardi, in una fredda sera di inizio gennaio, si mischiano all’emozione. Per decenni la famiglia dei cureri ha avuto come clienti decine di esercizi commerciali e di aziende del territorio. C’erano la Fonderia Medetti e la Fonderia Manzoni, la Ogtm, c’erano la Philips di Vidardo e la Alcom di Caselle Lurani, c’erano botteghe come la drogheria Senna di Sant’Angelo, davanti alla basilica, una vera istituzione. E poi cordai e tilè. E qui si apre una “enciclopedia” perché stiamo parlando di due delle attività tipiche. «Il giro della corda si faceva il mercoledì - ricorda Luigi Biancardi -: si caricava a Sant’Angelo e il giovedì mattina verso le 4.30 eravamo a Trezzano sul Naviglio a consegnare la merce alla ditta Griziotti, oggi Bernucci Sforza». Dal racconto riaffiorano i nomi di alcune delle storiche famiglie di cordai. Nel quartiere San Martino (l’area in cui la lavorazione della corda era maggiormente diffusa) «avevamo come clienti Arisi, Scarioni, Saletta e Trabucchi. Alle Vignole Abbiati e Pasetti». Si caricava di tutto, dallo spago per uso domestico alla corda per la marina. Se l’epopea dei curdè è finita tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, tilè e pacchisti hanno proseguito ancora per qualche anno. Anche in questo caso, oggi il business che alimentava una parte consistente dell’economia locale è solo un ricordo, ma per decenni anche i Biancardi hanno contribuito a far crescere il benessere all’ombra del castello Bolognini.

«Abbiamo lavorato a lungo per i Devecchi, prima Domenico e poi Ennio - spiega Biancardi - andavamo a Castellanza e a Leffe a ritirare la merce dalle fabbriche e la portavamo a Sant’Angelo dove poi veniva rivenduta ai singoli ambulanti. Ogni viaggio erano 1500/2000 lenzuola, da caricare a mano! Abbiamo lavorato anche per Danova e per i grandi magazzini di abbigliamento Rusconi (Tanèn) e Cantoni». I cugini Biancardi hanno iniziato a lavorare dopo le scuole medie, a metà degli anni Settanta, per imparare il mestiere; poi sono subentrati nell’attività di famiglia all’inizio degli anni Ottanta e da lì è partita una lunga cavalcata che li ha portati ai giorni nostri.
Le merci più curiose che avete trasportato? «Probabilmente pesci tropicali, costosissimi, che ritiravamo in collina tra Sant’Angelo e Graffignana, in un acquario e portavamo nei negozi di animali di Milano», ricorda Biancardi. E poi scope di saggina e divise militari. Le prime «erano prodotte nella zona di Orvieto, le portavamo a Villanterio al magazzino Bocchiola percorrendo la Cisa, prima ancora dell’Autostrada. Ricordo certe nebbie...». Quanto alle uniformi per l’esercito, erano realizzate a Sant’Angelo in viale Montegrappa dalla ditta Radice e venivano consegnate a Caserta, Napoli e Maddaloni.
Mentre parla, Biancardi posa sul tavolo alcune fotografie in bianco e nero, testimoni del tempo. La prima immortala suo papà e suo zio (più un terzo lavorante) su un camion dell’esercito americano, un Dodge, che dopo la Seconda guerra mondiale era rimasto in Italia ed era stato adattato a uso civile. «Gli americani non badavano a spese, il camion era alimentato a benzina e costava dunque una enormità farlo funzionare, così si decise per una soluzione alternativa: mio padre andò da Cassaghi e ci fece mettere due bombole a gas».
Non solo lavoro, però, per i Biancardi. Perché nel corso dei decenni si sono impegnati al fianco di Africa chiama («il sabato dopo il lavoro facevamo il giro per Sant’Angelo per raccogliere la carta, da portare alla cartiera di Vidardo e il ricavato andava all’associazione») e per i ragazzi dell’oratorio: «Ogni estate si portavano in montagna le tende per il campeggio, è una cosa che abbiamo sempre fatto ma non lo abbiamo mai detto».
Nei primi anni Novanta i cugini Biancardi lasciano progressivamente Milano e alcune commesse e si concentrano su un unico grande cliente, che era alla ricerca di un autotrasportatore affidabile. Si cementa così un legame indissolubile con la ditta Giannoni di Vidardo, che è continuato fino ai giorni nostri, tant’è che a ridosso di Natale, poco prima di appendere le chiavi del camion al chiodo, Luigi e Fernando sono andati a salutare Rocco Giannoni, imprenditore vecchio stampo, galantuomo, vera anima dell’azienda di famiglia che oggi lavora per mezzo mondo.
Ne è passata di acqua sotto i ponti dalla casa con rimessa di via Santa Maria (a cui si aggiungeva un deposito alla Costa) all’odierna collocazione di viale Trieste. Dal cavallo al camion, cinque generazioni unite da una passione. E come tutte le avventure che si rispettino, è arrivata la parola fine.