PER testimonianze e
ricordi su
IL
RICORDO DEGLI ANNI DI GIOVENTU’
Peraltro non vivevamo in una realtà di caldo conflitto: a Margherita governava incontrastata la DC, qualche volta con il PSI e il PSDI - nel 1973 vinse le elezioni con 19 seggi su 30 - e il PCI era debolissimo, al limite della testimonianza (nessun consigliere dal 1973 al 1978). Era un paese di contadini della Coldiretti, di pescatori organizzati in una cooperativa feudo di una famiglia democristiana e nella maggiore "fabbrica": la Salina di Stato. Le nostre erano tranquille famiglie di operai o di artigiani (il padre di Angelo era sarto), ricche di onestà e di dignità, ma lontane dalla politica. Ma la politica, come ho detto, arrivò anche da noi, pur dislocandoci, nei primissimi anni Settanta, su postazioni differenti, ma tutte anti "regime": molti di noi nei gruppi ecclesiali di base, Angelo più vicino ai circoli di "Potere operaio". Talvolta si polemizzava tra di noi, più spesso, negli anni delle stragi di stato, si stava dalla stessa parte. Noi "cristiani per il socialismo" facevamo un giornale - quanti ne abbiamo fondati! - e credo che Angelo vi abbia scritto qualcosa. Ma, tra il 1972 e il 1973, comincia la diaspora. Molti di noi, con l'Università, andarono via: io a Pisa, Angelo a Firenze, Pino - più tardi suo cognato - a Trento. Con percorsi anche questa volta differenziati, finimmo per avvicinarci al PCI: molti di noi finirono con iscriversi, Angelo no, ma sicuramente subì la fascinazione intellettuale di Ernesto Ragionieri e della sua scuola, a Firenze. Sicuramente lesse, in questi anni, il volume di Ragionieri su Sesto Fiorentino, esempio massimo di una "storia locale" aperta alle grandi problematiche della storia nazionale. Nei grigi anni Ottanta ci si vide poco, benché alcuni di noi fossero tornati in Puglia: Angelo era in Germania e poi, tornato in Italia, a Sant'Angelo. Ci si vedeva d'estate, noi, più impegnati nella politica locale, lui più "disimpegnato", ma sempre attento osservatore "partecipante", nelle lunghe notti alle Feste dell'Unità. Angelo tirava tardi e chi si accingeva ai lunghi turni di guardia notturni, lo vedeva comparire attorno a mezzanotte e mezza: restava fino alle tre, in serate animate da qualcuno dei tanti buontemponi o simpatici balordi di paese, da qualche chitarra e dalle canzoni di Jannacci e Guccini. Di mattina andava, ma tardi, al solito stabilimento balneare, "da Pierino", ed era frequente vederlo impegnato in tiratissimi tornei di calciobalilla, rinfrescati di tanto in tanto da una birra. Nei primi anni Novanta, caduto il muro di Berlino, sciolto il PCI, crollato il pentapartito, Angelo si cimentò più direttamente con la politica. Sant'Angelo e Margherita, in fondo, si assomigliavano: una salda egemonia cattolica e moderata, difficilmente scalzabile. Qualche volta riuscimmo, noi e lui, a vincere qualche battaglia, molte, più numerose, con gli avversari politici e con quelli della nostra parte, le perdemmo. E così ci trovammo a pensare che forse era preferibile ricominciare un lavoro dai tempi più lunghi: ripartire dalla formazione delle giovani generazioni, ricominciare dalla cultura. Nel 2000 a Margherita progettammo di metterci insieme, ricercatori più esperti ed esordienti, per scrivere la storia del nostro paese dopo l'Unità d’Italia. Gli chiesi di partecipare all'impresa, scrivendo una trentina di pagine sulla storia amministrativa del nostro Comune: sulle prime rifiutò, dicendo che aveva altre cose da scrivere, che non aveva tempo per fare ricerca, giacché, morti i genitori, non poteva stare a Margherita che due settimane d'estate. Riuscii a convincerlo, impegnando me stesso e gli altri amici a dargli una mano. Sacrificò quasi tutte le mattine delle sue due brevi vacanze del 2001 e del 2002, per fare ricerca e nel novembre mi mandò il suo saggio, che uscirà, con il volume, in aprile. Quest'estate ci eravamo incontrati poche volte: un paio di riunioni con il gruppo degli "storici", una mezz'ora al mare di pomeriggio al solito lido. Nessuno di noi immaginava che non ci saremmo visti invecchiare. AMICO
E MAESTRO E su questo terreno, Angelo è stato per me, storico
dilettante ed occasionale, un vero maestro. Del maestro aveva anzitutto
la dottrina. Formatosi a livelli universitari molto alti, possedeva
una conoscenza approfondita degli studi di base della sua disciplina:
conosceva la storiografia novecentesca nei suoi risultati fondamentali.
Questo gli permetteva di inquadrare ogni problema storico con un respiro
di indagine e una strumentazione tecnica di prim’ordine. Da questo punto
di vista, tutto era Angelo, fuorché uno “storico locale”. Tentava anzi
un’operazione assai interessante: dedicarsi alla storia di un’area e
un paese senz’altro marginali rispetto ai grandi avvenimenti, con la
strumentazione e il respiro culturale del grande storico. I risultati
di quest'impostazione devono ancora essere valutati ed apprezzati in
pieno. Poi la nostra amicizia si consolidò nella fase operativa
di edizione del volume sulla storia del Lodigiano nel Novecento. Prendemmo
noi due i primi contati con Franco Angeli Editore. Una mattina dell’estate
scorsa ci recammo a Milano con la sequenza delle domande tecniche debitamente
compilata (Angelo ci teneva sempre alla precisione). Fu forse il momento
in cui la nostra consonanza di intenti e di atteggiamenti risaltò meglio.
Angelo non era immediatamente espansivo. Gli dava molto fastidio la
faciloneria e la mancanza di misura nei rapporti. Ma il suo non era
un atteggiamento aristocratico. Era il frutto di un carattere riservato
e soprattutto riflessivo. In quel giorno milanese tuttavia la sostanziale
severità del carattere lasciò il posto anche a una confidenza e a una
voglia di gioco. Questo doppio registro (la severità negli studi, nella
discussione intellettuale, il rifiuto delle semplificazioni e delle
facilonerie e insieme il gusto della compagnia scherzosa) era governato
da una modestia che molti hanno giudicato perfino eccessiva. Siamo tutti
convinti che Angelo valeva molto di più dei riconoscimenti tributatigli. Volevo bene ad Angelo. Mi mancherà, mi mancherà una
guida intellettuale, un’intelligenza con cui confrontarsi senza problemi
gerarchici e concorrenziali. Mi mancherà un amico e un maestro.
Persona
speciale A Sant'Angelo aveva dato tanto.
Lui, pugliese, conosceva le vicissitudini barasine e la storia del paese,
come se qui vi fosse nato e vissuto da sempre. Ma la sua preparazione
era frutto di anni di ricerca, e di un'impostazione mentale, quella
dello storico, che nulla negava alla puntigliosa ricerca dei particolari,
delle storie della gente umile, della descrizione dei classici angoli
di borgata. Scriveva sul “Il Ponte” con il piglio
di chi ha tante cose da dire: i suoi articoli, vere lezioni di storia,
hanno permesso ai barasini di rivalutare, e perchè no, in parte anche
di scoprire cosa è stato Sant'Angelo nei secoli addietro. Il ricordo va alla sua volontà, intenzione ferma e mai nascosta, di non
lasciare cadere nel vuoto le storie degli anziani, quelle che vanno
recuperate per tempo, prima di perderle definitivamente. Da chi aveva
vissuto la storia sulla propria pelle, occorreva trarre insegnamento,
e notizie di prima mano. Come nel caso di chi aveva partecipato alla
lotta partigiana, in tanti anche a S.Angelo. Giovani che contribuirono
a forgiare l'essenza democratica del nostro paese. La scomparsa del professor Montenegro
lascia un grande vuoto. Colmarlo spetta anche a quanti l'hanno conosciuto,
e apprezzato, fosse solo per un unico aspetto del carattere e della
personalità. Il suo essere prima di tutto un intrepido amante della
storia, dei fatti che ci hanno inesorabilmente consegnato la realtà
di oggi, è l'indicazione della strada da seguire. E questo, unito all'impegno
e alla passione con le quali interpretava ogni giorno la vita del docente,
apre la mente su come ricordarlo. Nella stessa maniera in cui lui trattava
la cultura, vivendola a pieno, cogliendone spunti e lavorandoci sopra,
con l'assiduità e la coerenza, che ha sempre trasmesso a chi ha avuto
la fortuna di conoscerlo. Un vuoto incolmabile
di Gabriella e Antonio |
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