Torna alla Home Page de
IL PONTE
SCRIVICI
Torna alla prima pagina di questo numero

ANNO 7 - N. 1 (Versione web - anno 4 n.1) NUOVA SERIE FEBBRAIO 2003

PER
ANGELO MONTENEGRO

testimonianze e ricordi su
Angelo Montenegro

scrivono:
Saverio Russo - Francesco Cattaneo - Clotilde Fino - Lorenzo Rinaldi - Gabriella e Antonio

 

IL RICORDO DEGLI ANNI DI GIOVENTU’   
di Saverio Russo

Conoscevo Angelo Montenegro da circa trentacinque anni. In un paese lungo e piuttosto popoloso quale era Margherita di Savoia negli anni Sessanta (aveva allora 13.300 abitanti, un migliaio più di adesso), se non si andava a scuola o in parrocchia insieme, c'era un luogo di conoscenza obbligato: il trenino - la "littorina" - che portava gli studenti delle superiori a Barletta. Gli studenti che andavano ai licei, al commerciale o all'istituto tecnico di Barletta finivano per conoscersi tutti, così come si conoscevano tutti quelli che andavano a Foggia o a Molfetta.  Decisiva fu tuttavia la congiuntura sociale e politica dei primi anni Settanta. Nessuno di noi, con buona pace di quanti celebrano la scuola dei tempi andati per la qualità o la vituperano per la politicizzazione dei suoi insegnanti, ebbe grandi "maestri". Qualche insegnante scrupoloso ci insegnò, più o meno bene il greco, il latino o la filosofia (Angelo aveva frequentato il Liceo Scientifico, io il Classico), nessuno, come orientarci nel mondo della guerra del Vietnam, del post-sessantotto, dell'Italia della strategia della tensione, del Cile o delle encicliche terzomondiste di Paolo VI. Imparammo da soli, fiutando l'aria, scambiandoci giornali o riviste.

Peraltro non vivevamo in una realtà di caldo conflitto: a Margherita governava incontrastata la DC, qualche volta con il PSI e il PSDI - nel 1973 vinse le elezioni con 19 seggi su 30 - e il PCI era debolissimo, al limite della testimonianza (nessun consigliere dal 1973 al 1978). Era un paese di contadini della Coldiretti, di pescatori organizzati in una cooperativa feudo di una famiglia democristiana e nella maggiore "fabbrica": la Salina di Stato. Le nostre erano tranquille famiglie di operai o di artigiani (il padre di Angelo era sarto), ricche di onestà e di dignità, ma lontane dalla politica.

Ma la politica, come ho detto, arrivò anche da noi, pur dislocandoci, nei primissimi anni Settanta, su postazioni differenti, ma tutte anti "regime": molti di noi nei gruppi ecclesiali di base, Angelo più vicino ai circoli di "Potere operaio". Talvolta si polemizzava tra di noi, più spesso, negli anni delle stragi di stato, si stava dalla stessa parte. Noi "cristiani per il socialismo" facevamo un giornale - quanti ne abbiamo fondati! - e credo che Angelo vi abbia scritto qualcosa. Ma, tra il 1972 e il 1973, comincia la diaspora. Molti di noi, con l'Università, andarono via: io a Pisa, Angelo a Firenze, Pino - più tardi suo cognato - a Trento. Con percorsi anche questa volta differenziati, finimmo per avvicinarci al PCI: molti di noi finirono con iscriversi, Angelo no, ma sicuramente subì la fascinazione intellettuale di Ernesto Ragionieri e della sua scuola, a Firenze. Sicuramente lesse, in questi anni, il volume di Ragionieri su Sesto Fiorentino, esempio massimo di una "storia locale" aperta alle grandi problematiche della storia nazionale.

Nei grigi anni Ottanta ci si vide poco, benché alcuni di noi fossero tornati in Puglia: Angelo era in Germania e poi, tornato in Italia, a Sant'Angelo. Ci si vedeva d'estate, noi, più impegnati nella politica locale, lui più "disimpegnato", ma sempre attento osservatore "partecipante", nelle lunghe notti alle Feste dell'Unità. Angelo tirava tardi e chi si accingeva ai lunghi turni di guardia notturni, lo vedeva comparire attorno a mezzanotte e mezza: restava fino alle tre, in serate animate da qualcuno dei tanti buontemponi o simpatici balordi di paese, da qualche chitarra e dalle canzoni di Jannacci e Guccini. Di mattina andava, ma tardi, al solito stabilimento balneare, "da Pierino", ed era frequente vederlo impegnato in tiratissimi tornei di calciobalilla, rinfrescati di tanto in tanto da una birra.

Nei primi anni Novanta, caduto il muro di Berlino, sciolto il PCI, crollato il pentapartito, Angelo si cimentò più direttamente con la politica. Sant'Angelo e Margherita, in fondo, si assomigliavano: una salda egemonia cattolica e moderata, difficilmente scalzabile. Qualche volta riuscimmo, noi e lui, a vincere qualche battaglia, molte, più numerose,  con gli avversari politici e con quelli della nostra parte, le perdemmo. E così ci trovammo a pensare che forse era preferibile ricominciare un lavoro dai tempi più lunghi: ripartire dalla formazione delle giovani generazioni, ricominciare dalla cultura.

Nel 2000 a Margherita progettammo di metterci insieme, ricercatori più esperti ed esordienti, per scrivere la storia del nostro paese dopo l'Unità d’Italia. Gli chiesi di partecipare all'impresa, scrivendo una trentina di pagine sulla storia amministrativa del nostro Comune: sulle prime rifiutò, dicendo che aveva altre cose da scrivere, che non aveva tempo per fare ricerca, giacché, morti i genitori, non poteva stare a Margherita che due settimane d'estate. Riuscii a convincerlo, impegnando me stesso e gli altri amici a dargli una mano. Sacrificò quasi tutte le mattine delle sue due brevi vacanze del 2001 e del 2002, per fare ricerca e nel novembre mi mandò il suo saggio, che uscirà, con il volume, in aprile. Quest'estate ci eravamo incontrati poche volte: un paio di riunioni con il gruppo degli "storici", una mezz'ora al mare di pomeriggio al solito lido. Nessuno di noi immaginava che non ci saremmo visti invecchiare.

AMICO E MAESTRO
di Francesco Cattaneo

Angelo Montenegro si presentò all’archivio storico comunale di Lodi un pomeriggio di molti anni fa con l’immancabile sigaretta alla bocca. Si presentò con la voce bassa, arrochita dal fumo, senza accampare credenziali. Quello che mi colpì immediatamente fu il modo discreto, signorile, di porre le questioni. Frequentò l’archivio per un lungo periodo e non ci volle molto agli archivisti per capire che ci sapeva fare. Era metodico e preciso nella consultazione delle carte, organizzato e sistematico nello scandagliare i fondi. E poi ci dava l’opportunità di parlare: ogni tanto, forse con troppa frequenza, lasciava le carte per fumare una sigaretta. E’ cominciata così la mia consuetudine con Angelo. Qualche anno dopo, quando Franco Della Peruta ci consigliò di costituire anche a Lodi un istituto per la storia della resistenza, non ebbi dubbi sulla necessità, anzi sull’obbligo di coinvolgere Angelo, dal quale mi ero fatto raccontare nel frattempo i trascorsi intellettuali. Mi aveva poi colpito un episodio. Aveva cominciato a collaborare con l’archivio Giorgio Bigatti, allievo di Della Peruta e importante giovane storico, forse il più autorevole sulla storia delle acque in Italia. Un giorno, Giorgio incontrò Angelo nel cortile dell’archivio e, appena li ebbi presentati, Bigatti esclamò: “Piacere di conoscerla. Ricordiamo ancora tutti il suo lavoro sulla Pirelli, un vero saggio di riferimento”. Il lavoro di Angelo sulla Pirelli era uscito quasi vent’anni prima, in una collana di Franco Angeli piuttosto defilata. Il fatto che uno studioso aggiornato e attento come Bigatti ricordasse benissimo il lavoro di Montenegro mi colpì molto. Testimoniava, se ve ne fosse stato bisogno, di una riconosciuta eccellenza del lavoro intellettuale di Angelo. La fondazione dell’Istituto lodigiano per la storia della resistenza rafforzò la nostra conoscenza e la trasformò in amicizia. Dobbiamo ad Angelo la serietà anche amministrativa, formale nella strutturazione dell’Istituto. Soprattutto dobbiamo a lui l’idea, l’impianto, la struttura dell’impresa maggiore fin qui tentata dall’Ilsreco: la redazione della storia del Lodigiano nel Novecento. Quando Angelo ce la propose, quasi tutti noi avemmo delle perplessità. Ci sembrava impresa superiore alle forze che potevamo mettere in campo. Lui non ebbe mai esitazioni, anche se vedeva bene i problemi. Di fronte ai dubbi soprattutto sulle forze che si potevano mettere in campo, soleva affermare: “Faremo con quello che abbiamo”. Ma importante era per lui costruire l’istituto attorno a una grande opera di ricerca realizzata attraverso il lavoro coordinato di un gruppo di studiosi, non per la somma di tanti contributi individuali. Ebbe ragione lui, naturalmente. L’uscita del primo volume della storia gli confermava la bontà dell’idea, dell’iniziativa e della sua realizzazione. Il metodo cui si ispirava lo stava del resto applicando coscienziosamente. Per il secondo volume della storia, dedicato alla cultura lodigiana nel Novecento, curato da lui stesso, Angelo aveva già tenuto numerose riunioni di coordinamento, che non rivestivano solo un carattere tecnico, ma diventavano occasione di confronto e scambio. Sembra banale, eppure se c’è una cosa che manca tra gli studiosi è proprio una discussione su impianto, metodi e problemi delle loro ricerche.

E su questo terreno, Angelo è stato per me, storico dilettante ed occasionale, un vero maestro. Del maestro aveva anzitutto la dottrina. Formatosi a livelli universitari molto alti, possedeva una conoscenza approfondita degli studi di base della sua disciplina: conosceva la storiografia novecentesca nei suoi risultati fondamentali. Questo gli permetteva di inquadrare ogni problema storico con un respiro di indagine e una strumentazione tecnica di prim’ordine. Da questo punto di vista, tutto era Angelo, fuorché uno “storico locale”. Tentava anzi un’operazione assai interessante: dedicarsi alla storia di un’area e un paese senz’altro marginali rispetto ai grandi avvenimenti, con la strumentazione e il respiro culturale del grande storico. I risultati di quest'impostazione devono ancora essere valutati ed apprezzati in pieno.

Poi la nostra amicizia si consolidò nella fase operativa di edizione del volume sulla storia del Lodigiano nel Novecento. Prendemmo noi due i primi contati con Franco Angeli Editore. Una mattina dell’estate scorsa ci recammo a Milano con la sequenza delle domande tecniche debitamente compilata (Angelo ci teneva sempre alla precisione). Fu forse il momento in cui la nostra consonanza di intenti e di atteggiamenti risaltò meglio. Angelo non era immediatamente espansivo. Gli dava molto fastidio la faciloneria e la mancanza di misura nei rapporti. Ma il suo non era un atteggiamento aristocratico. Era il frutto di un carattere riservato e soprattutto riflessivo. In quel giorno milanese tuttavia la sostanziale severità del carattere lasciò il posto anche a una confidenza e a una voglia di gioco.

Questo doppio registro (la severità negli studi, nella discussione intellettuale, il rifiuto delle semplificazioni e delle facilonerie e insieme il gusto della compagnia scherzosa) era governato da una modestia che molti hanno giudicato perfino eccessiva. Siamo tutti convinti che Angelo valeva molto di più dei riconoscimenti tributatigli.

Volevo bene ad Angelo. Mi mancherà, mi mancherà una guida intellettuale, un’intelligenza con cui confrontarsi senza problemi gerarchici e concorrenziali. Mi mancherà un amico e un maestro.


Figura di grande rilievo
di Clotilde Fino

“Il Ponte” ha indotto l’occasione del primo incontro con il professor Angelo Montenegro. Venne un anno fa, nel mese di aprile, a una mia conferenza di storia locale organizzata dagli Amici del Castello e ne scrisse l’argomento e lo svolgimento per il giornale che egli dirigeva.
Rimasi stupita di questa cortese attenzione, perché quello della ricerca storica era un percorso affascinante che io avevo intrapreso da poco, mentre lui lo seguiva da tempo con competenza e preparazione straordinarie. Capii poi durante una conversazione che l’apprezzamento derivava dal desiderio comune di diffondere la conoscenza della storia locale studiata nelle fonti dirette.
Ascoltai a mia volta nel mese di giugno la sua conferenza su Giovanni Pedrazzini Sobacchi, emulo del banino Alessandro Riccardi nella ricerca dei documenti d’archivio e nella ricostruzione degli avvenimenti del territorio. Nell’esposizione avvincente dei tratti biografici e degli scritti di un autore poco noto, ma importante per i contributi alla storiografia santangiolina, Angelo Montenegro comunicò i risultati dei suoi studi lunghi e accurati con semplicità e con grande capacità di coinvolgimento. Dalle sue parole (non leggeva testi preparati) emergeva immediatamente il “grande amore” con cui aveva tolto la polvere a scritti che illuminavano le vicende politiche e sociali di Sant’Angelo più vicine nel tempo, quelle che aiutano a capire meglio come si è chiuso un millennio e come se n’è aperto un altro.
La sua prematura scomparsa priva la comunità di una figura di grande rilievo culturale ed umano. Dopo lo sbigottimento per una tragedia implacabile, dopo la commozione e le commemorazioni, gli alunni e gli estimatori dovrebbero raccogliere l’eredità del suo esempio, perché la sua opera continui e rimanga viva, a sua imperitura memoria.

 

Persona speciale
di Lorenzo Rinaldi

Una persona semplice, con una cultura davvero raffinata. Ma Angelo Montenegro, il professor Angelo, era dotato anche di una grande umanità. Tante doti, che raramente si ritrovano tutte insieme. Ma che nel suo caso particolare, davano vita a un connubio assai intenso, tanto da renderlo  una persona speciale.

A Sant'Angelo aveva dato tanto. Lui, pugliese, conosceva le vicissitudini barasine e la storia del paese, come se qui vi fosse nato e vissuto da sempre. Ma la sua preparazione era frutto di anni di ricerca, e di un'impostazione mentale, quella dello storico, che nulla negava alla puntigliosa ricerca dei particolari, delle storie della gente umile, della descrizione dei classici angoli di borgata.

Scriveva sul “Il Ponte” con il piglio di chi ha tante cose da dire: i suoi articoli, vere lezioni di storia, hanno permesso ai barasini di rivalutare, e perchè no, in parte anche di scoprire cosa è stato Sant'Angelo nei secoli addietro.

Il ricordo va alla sua volontà, intenzione ferma e mai nascosta, di non lasciare cadere nel vuoto le storie degli anziani, quelle che vanno recuperate per tempo, prima di perderle definitivamente. Da chi aveva vissuto la storia sulla propria pelle, occorreva trarre insegnamento, e notizie di prima mano. Come nel caso di chi aveva partecipato alla lotta partigiana, in tanti anche a S.Angelo. Giovani che contribuirono a forgiare l'essenza democratica del nostro paese.

La scomparsa del professor Montenegro lascia un grande vuoto. Colmarlo spetta anche a quanti l'hanno conosciuto, e apprezzato, fosse solo per un unico aspetto del carattere e della personalità. Il suo essere prima di tutto un intrepido amante della storia, dei fatti che ci hanno inesorabilmente consegnato la realtà di oggi, è l'indicazione della strada da seguire. E questo, unito all'impegno e alla passione con le quali interpretava ogni giorno la vita del docente, apre la mente su come ricordarlo. Nella stessa maniera in cui lui trattava la cultura, vivendola a pieno, cogliendone spunti e lavorandoci sopra, con l'assiduità e la coerenza, che ha sempre trasmesso a chi ha avuto la fortuna di conoscerlo.

Un vuoto incolmabile
di Gabriella e Antonio

Riesce difficile parlare di Angelo Montenegro a pochi giorni dalla sua improvvisa scomparsa. E’ troppo forte il nodo che ci stringe la gola, è troppo lacerante il dolore che ci strappa il cuore.
Eravamo tra i suoi amici più affezionati, abbiamo condiviso i tanti momenti belli e meno belli che riempiono le nostre esistenze e si era creata un’amicizia che andava oltre il normale trascorrere delle giornate.
Ci legava l’amore per la nostra Sant’Angelo, l’interesse per la sua storia, lui che veniva dalla lontana Puglia e non era stato “battezzato con l’acqua del Lambro”. Eravamo affascinati dalla sua dedizione per la ricerca storiografica, che si traduceva in progetti e idee che stavano elevando culturalmente la nostra borgata e l’intero territorio Lodigiano.
L’impegno civico ci vedeva accomunati nel desiderio di portare il nostro contributo fattivo alla crescita, nei vari aspetti, della comunità barasina.
Nonostante il suo atteggiamento serioso, quando qualcuno lo avvicinava, veniva affascinato dalla sua profonda cultura, che dispensava a piene mani con quella umiltà che è dote solo delle persone intelligenti.
Era bello stare ad ascoltarlo, la sua lucidità di giudizio, il suo equilibrio nel valutare situazioni ed episodi sorprendevano per capacità, serenità ed obiettività. Queste doti sapienti le metteva al servizio de “Il Ponte”, (di cui era l’anima indiscussa), facendolo diventare un mezzo di comunicazione atteso, letto, conservato e stimato da tutti.
Ora, come in un flashback, scorrono davanti ai nostri occhi immagini, situazioni e momenti che difficilmente riusciremo a togliere dalla nostra mente e che non si potranno mai cancellare, perché ormai facenti parte della nostra storia personale.
La vita continua…, la sua assenza ci fa sentire più poveri, ma ancor più consapevoli che la sua amicizia ci ha lasciato dentro una grande ricchezza.
Grazie Angelo!

© MICROCHIP srl 2000 - 2003 NAUTILAUS