Mons Bassano Dedè, scrupoloso compilatore nel 1868 del Memorabilium,
manoscritto conservato nell’archivio parrocchiale di Sant’Angelo,
alle pagine che descrivono la serie dei Rettori e Parroci santangiolini,
così annota: “Anno 1624: Dragoni Pietro, Rettore, Dottore
in ambo le Leggi, al 13 Luglio prese possesso della Parrocchia.
Fu al Sinodo IV° celebrato l’anno 1625 da Mons. Clemente Gera. Con
quest’anno fino al 1644 comincia un’epoca luttuosissima per carestia,
guerra e peste”. La
carestia
L’esistenza
dello stato di carestia nel nostro territorio, è confermata da una
notifica inviata alle parrocchie, conservata nell’archivio parrocchiale,
in data 24 giugno 1628, da parte del Vescovo di Lodi, nella quale
in considerazione della scarsezza di grano, si concedeva la facoltà
di mietere e far mietere il cereale anche nelle festività, derogando
eccezionalmente al rigoroso precetto della Chiesa cattolica di non
lavorare nei giorni dedicati al Signore. Tra la popolazione la mancanza di cibo si faceva sempre più pressante, il
prezzo del pane rincarava in maniera vertiginosa, con le autorità
incapaci di fronteggiare la situazione con provvedimenti efficaci,
mentre la mortalità assumeva dimensioni inconsuete. La nostra borgata, in quegli anni, non era molto popolata, in molti vivevano
stentatamente e l’agricoltura era la principale fonte di reddito. Nella relazione dello stato della città e del contado di Lodi, fatta al
visitatore De Haro dal canonico Francesco Medici nel 1609, è detto
che Sant’Angelo “… è luogo di 900 fuochi con 5400 anime su il fiume Lambro…” (manoscritto
alla Biblioteca Laudense). Mentre nella descrizione della Diocesi del terzo Sinodo del 1619, gli abitanti
di Sant’Angelo sono indicati in 4995. Facendo invece riferimento allo Stato d’Anime della Parrocchia, si desume
che nell’anno 1626, si contavano 3663 abitanti, mentre nel 1632
erano scesi a 3419. A proposito di questi dati si deve esprimere
però qualche dubbio, in considerazione che, a quei tempi, i registri
delle popolazioni erano
compilati dai sacerdoti delle parrocchie, i quali, nella maggior
parte dei casi, non si curavano molto della loro precisione. Questa
è l’opinione autorevole dello storico lodigiano Giovanni Agnelli
(G. Agnelli, L’esercito Alemanno e la peste del 1630 nel
Lodigiano, Archivio Storico di Lodi e Circondario, 1886, pag.
182). Da notare che nella raccolta parrocchiale dello Stato
d’Anime, mancano gli anni relativi al 1627, 1628, 1629, 1630
e 1631, ed in questo caso il motivo può essere ampiamente giustificato,
essendo i sacerdoti addetti alla rilevazione, impegnati in situazioni
molto più urgenti e importanti. A testimonianza dello stato di indigenza della nostra popolazione in quel
periodo, nel Libro dei Morti della Parrocchia si può notare come gran parte dei
defunti venne sepolta “per l’amor di Dio”, ossia in povertà con
l’essenzialità dell’apparato liturgico, a differenza di altri defunti
sepolti con “cera e paga”, quindi con riti più solenni. La
guerra
Quando
sembrava che la carestia dovesse diminuire con il raccolto dell’anno
1629, ecco profilarsi minacciosa un’altra calamità: l’avvento della
guerra per la successione al Ducato di Mantova. Il conflitto faceva parte della più ampia guerra chiamata “dei Trent’anni”,
gigantesco scontro armato su scala europea iniziato nel 1618 e concluso
nel 1648 con il trattato di Westfalia, che stabilì la pace religiosa
in Germania, segnando la fine del predominio spagnolo e l’inizio
della supremazia politica della Francia. In questo contesto di alleanze e interessi va inserito il fatto d’arme che
ci interessa, la calata dei lanzichenecchi, soldati mercenari agli
ordini dell’imperatore d’Austria, che per arrivare nel mantovano,
dovevano necessariamente attraversare il territorio lombardo, compiendo
saccheggi, devastazioni e seminando la peste. L’Agnelli (op.cit., pag.129) narra che le “sfrenate soldatesche” dell’esercito alemanno,
scesero in Lombardia dalla Valtellina e furono costrette ad attraversare
il nostro territorio, essendo esso in gran parte posto lungo le
rive dell’Adda. Lo storico, nel suo saggio, studiò a fondo le conseguenze
che ebbe questo avvenimento nel nostro territorio, consultando una
serie di documenti contenuti nei registri dell’archivio comunale
di Lodi, collocati nella Biblioteca Laudense, sotto il titolo Diversorum,
anni 1629-30-31. La maggior parte di questi atti riguardano le patenti
(decreti governativi) rivolte alle autorità locali per disporre
l’approntamento degli alloggi e la somministrazione di viveri ai
militari di passaggio. In pratica, le spese per gli alloggi e per
il vitto dei militari e dei cavalli dovevano essere sostenute obbligatoriamente
dalle popolazioni del contado. Le razioni giornaliere che le comunità del Contado dovevano fornire, consistevano
in 28 once di pane e di carne, due boccali di vino, uova e formaggi,
e per i cavalli 15 libbre di fieno e un terzo di staio di avena
o spelto o risone (G. Agnelli, op. cit., pag. 133). Anche nella nostra borgata vi sono cenni del passaggio e della permanenza
di questi militari nelle abitazioni dei santangiolini. Lo si deduce
scorrendo il Libro dei Morti dell’archivio parrocchiale, dove si può leggere, ad
esempio, che il 31 gennaio 1630, è morto il soldato Vincenzo Olinvi,
in casa di M. Angelo Sommariva, sepolto “per l’amor di Dio”; oppure
il 26 marzo 1630 la dipartita, in casa di Antonio Ceresa, di Guglielmo
soldato alemanno di anni 40, della Compagnia del Cap. Caterlaco. Il motivo per cui tanti soldati si arruolavano in questi eserciti, non era
tanto quello di sostenere una buona causa
o di ricevere la paga giornaliera, quanto l’intento di rapinare,
saccheggiare e violentare, approvati e stimolati anche dai loro
comandanti, che in questo modo mantenevano fra loro buoni rapporti,
facendo chiudere un occhio per paghe tardate o mancate. Non deve apparire quindi fuori luogo la rabbia e la disperazione delle popolazioni
che sfociavano in vendette culminate anche in morti misteriose.
Potrebbe essere questa la causa dell’uccisione di un polacco ritrovato
massacrato in un bosco di Sant’Angelo, annotato nel Libro
dei Morti dell’archivio parrocchiale in data 9 luglio 1630,
e siccome fu ritenuto un cristiano, fu sepolto “per l’amor di Dio”
nella parrocchia di S. Antonio. Sempre nell’archivio sopraccitato vi sono numerosi altri documenti che confermano
la presenza di soldati nella nostra borgata, come ad esempio la
richiesta di danni subìti da taglie e alloggiamenti militari, testimonianze
e attestazioni a favore dell’appartenenza alla religione cattolica
per l’ammissione alla comunione di Pasqua e per la sepoltura cristiana
di soldati del reggimento che si trovavano in luogo, ed un interessante
foglio, ad uso dei sacerdoti, con l’intestazione “Per confessare un tedesco” con domande
e risposte nelle due lingue. Il passaggio di queste truppe con i relativi disordini di ogni sorta, avvenne
nel corso di due periodi, quello dell’andata all’assedio di Mantova
per tutto il 1629 e 1630, e quello del ritorno nel 1631. A tutto questo si doveva aggiungere “…anche
il contagio che tanto infierì per quasi un anno nelle nostre popolazioni,
… e quindi il morbo pestilenziale che rovinò quasi tutto il bestiame
bovino, causa efficiente del commercio del Lodigiano…” (G. Agnelli,
op. cit., pag. 133). Antonio Saletta (1 – continua) * Dedico questo studio alla memoria
dell’amico prof. Angelo Montenegro, che mi ha guidato nella disciplina
della ricerca storica. Tutto quanto ho fin qui modestamente raccontato,
lo devo al suo insegnamento e costante incoraggiamento. |
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