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IL PONTE
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festa di sant'antonio

ANNO 7 - N. 1 (Versione web - anno 4 n.1) NUOVA SERIE FEBBRAIO 2003

Il seicento a Sant'Angelo
Tempo di carestia, guerra e peste

Mons Bassano Dedè, scrupoloso compilatore nel 1868 del Memorabilium, manoscritto conservato nell’archivio parrocchiale di Sant’Angelo, alle pagine che descrivono la serie dei Rettori e Parroci santangiolini, così annota: “Anno 1624: Dragoni Pietro, Rettore, Dottore in ambo le Leggi, al 13 Luglio prese possesso della Parrocchia. Fu al Sinodo IV° celebrato l’anno 1625 da Mons. Clemente Gera. Con quest’anno fino al 1644 comincia un’epoca luttuosissima per carestia, guerra e peste”.
Carestia, guerra e peste sono stati i devastanti avvenimenti, che colpirono agli inizi del Seicento l’Italia settentrionale ed ebbero anche nella nostra borgata, effetti drammatici.
Si può affermare che le tre calamità furono concatenate fra loro, perché gli effetti di ciascuna provocarono lo sviluppo e l’aggravarsi dell’altra.
Il collegamento tra la guerra e la carestia è stato ben narrato da Alessandro Manzoni nel capitolo XII de “I Promessi Sposi”. Egli infatti ricordava come la guerra in atto per la successione del Monferrato e del Ducato di Mantova (1627-1631) avesse fortemente contribuito alla diminuzione dei raccolti e allo sperpero degli approvvigionamenti con il conseguente rincaro dei prezzi alimentari.
E’ accertato che il Manzoni ha tratto queste notizie dalle testimonianze dell’epoca, primo fra tutti il cardinale Federico Borromeo che nel suo scritto “De Pestilentia”, così  si esprimeva: “(…) La carestia era sorta a causa della sterilità della terra, quando andò delusa la speranza dell’anno e furono negate le messi. Inoltre dalla eccessiva libertà militare e dalle bande furono commessi atti gravi a dirsi, poiché, dissolta quasi ogni disciplina, quella barbarie incrudeliva secondo il suo costume (…)”.


Il Lodigiano nel Seicento, da un disegno (particolare),
attribuibile alla cerchia di G. Barattieri

La carestia

L’esistenza dello stato di carestia nel nostro territorio, è confermata da una notifica inviata alle parrocchie, conservata nell’archivio parrocchiale, in data 24 giugno 1628, da parte del Vescovo di Lodi, nella quale in considerazione della scarsezza di grano, si concedeva la facoltà di mietere e far mietere il cereale anche nelle festività, derogando eccezionalmente al rigoroso precetto della Chiesa cattolica di non lavorare nei giorni dedicati al Signore.

Tra la popolazione la mancanza di cibo si faceva sempre più pressante, il prezzo del pane rincarava in maniera vertiginosa, con le autorità incapaci di fronteggiare la situazione con provvedimenti efficaci, mentre la mortalità assumeva dimensioni inconsuete.

La nostra borgata, in quegli anni, non era molto popolata, in molti vivevano stentatamente e l’agricoltura era la principale fonte di reddito.

Nella relazione dello stato della città e del contado di Lodi, fatta al visitatore De Haro dal canonico Francesco Medici nel 1609, è detto che Sant’Angelo “… è luogo di 900 fuochi con 5400 anime su il fiume Lambro…” (manoscritto alla Biblioteca Laudense).

Mentre nella descrizione della Diocesi del terzo Sinodo del 1619, gli abitanti di Sant’Angelo sono indicati in 4995.

Facendo invece riferimento allo Stato d’Anime della Parrocchia, si desume che nell’anno 1626, si contavano 3663 abitanti, mentre nel 1632 erano scesi a 3419. A proposito di questi dati si deve esprimere però qualche dubbio, in considerazione che, a quei tempi, i registri delle popolazioni  erano compilati dai sacerdoti delle parrocchie, i quali, nella maggior parte dei casi, non si curavano molto della loro precisione. Questa è l’opinione autorevole dello storico lodigiano Giovanni Agnelli (G. Agnelli, L’esercito Alemanno e la peste del 1630 nel Lodigiano, Archivio Storico di Lodi e Circondario, 1886, pag. 182).

Da notare che nella raccolta parrocchiale dello Stato d’Anime, mancano gli anni relativi al 1627, 1628, 1629, 1630 e 1631, ed in questo caso il motivo può essere ampiamente giustificato, essendo i sacerdoti addetti alla rilevazione, impegnati in situazioni molto più urgenti e importanti.

A testimonianza dello stato di indigenza della nostra popolazione in quel periodo, nel Libro dei Morti della Parrocchia si può notare come gran parte dei defunti venne sepolta “per l’amor di Dio”, ossia in povertà con l’essenzialità dell’apparato liturgico, a differenza di altri defunti sepolti con “cera e paga”, quindi con riti più solenni.


Il curioso documento, riservato ai sacerdoti della parrocchia di Sant'Angelo, per facilitare la
confessione dei militari tedeschi (Archivio parrocchiale, cartella "memorie secoli XVI e XVII)

La guerra

Quando sembrava che la carestia dovesse diminuire con il raccolto dell’anno 1629, ecco profilarsi  minacciosa un’altra calamità: l’avvento della guerra per la successione al Ducato di Mantova.

Il conflitto faceva parte della più ampia guerra chiamata “dei Trent’anni”, gigantesco scontro armato su scala europea iniziato nel 1618 e concluso nel 1648 con il trattato di Westfalia, che stabilì la pace religiosa in Germania, segnando la fine del predominio spagnolo e l’inizio della supremazia politica della Francia.

In questo contesto di alleanze e interessi va inserito il fatto d’arme che ci interessa, la calata dei lanzichenecchi, soldati mercenari agli ordini dell’imperatore d’Austria, che per arrivare nel mantovano, dovevano necessariamente attraversare il territorio lombardo, compiendo saccheggi, devastazioni e seminando la peste.

L’Agnelli (op.cit., pag.129) narra che le “sfrenate soldatesche” dell’esercito alemanno, scesero in Lombardia dalla Valtellina e furono costrette ad attraversare il nostro territorio, essendo esso in gran parte posto lungo le rive dell’Adda. Lo storico, nel suo saggio, studiò a fondo le conseguenze che ebbe questo avvenimento nel nostro territorio, consultando una serie di documenti contenuti nei registri dell’archivio comunale di Lodi, collocati nella Biblioteca Laudense, sotto il titolo Diversorum, anni 1629-30-31.

La maggior parte di questi atti riguardano le patenti (decreti governativi) rivolte alle autorità locali per disporre l’approntamento degli alloggi e la somministrazione di viveri ai militari di passaggio. In pratica, le spese per gli alloggi e per il vitto dei militari e dei cavalli dovevano essere sostenute obbligatoriamente dalle popolazioni del contado.

Le razioni giornaliere che le comunità del Contado dovevano fornire, consistevano in 28 once di pane e di carne, due boccali di vino, uova e formaggi, e per i cavalli 15 libbre di fieno e un terzo di staio di avena o spelto o risone (G. Agnelli, op. cit., pag. 133).

Anche nella nostra borgata vi sono cenni del passaggio e della permanenza di questi militari nelle abitazioni dei santangiolini. Lo si deduce scorrendo il Libro dei Morti dell’archivio parrocchiale, dove si può leggere, ad esempio, che il 31 gennaio 1630, è morto il soldato Vincenzo Olinvi, in casa di M. Angelo Sommariva, sepolto “per l’amor di Dio”; oppure il 26 marzo 1630 la dipartita, in casa di Antonio Ceresa, di Guglielmo soldato alemanno di anni 40, della Compagnia del Cap. Caterlaco.

Il motivo per cui tanti soldati si arruolavano in questi eserciti, non era tanto quello di sostenere una buona causa  o di ricevere la paga giornaliera, quanto l’intento di rapinare, saccheggiare e violentare, approvati e stimolati anche dai loro comandanti, che in questo modo mantenevano fra loro buoni rapporti, facendo chiudere un occhio per paghe tardate o mancate.

Non deve apparire quindi fuori luogo la rabbia e la disperazione delle popolazioni che sfociavano in vendette culminate anche in morti misteriose. Potrebbe essere questa la causa dell’uccisione di un polacco ritrovato massacrato in un bosco di Sant’Angelo, annotato nel Libro dei Morti dell’archivio parrocchiale in data 9 luglio 1630, e siccome fu ritenuto un cristiano, fu sepolto “per l’amor di Dio” nella parrocchia di S. Antonio.

Sempre nell’archivio sopraccitato vi sono numerosi altri documenti che confermano la presenza di soldati nella nostra borgata, come ad esempio la richiesta di danni subìti da taglie e alloggiamenti militari, testimonianze e attestazioni a favore dell’appartenenza alla religione cattolica per l’ammissione alla comunione di Pasqua e per la sepoltura cristiana di soldati del reggimento che si trovavano in luogo, ed un interessante foglio, ad uso dei sacerdoti, con l’intestazione “Per confessare un tedesco” con domande e risposte nelle due lingue.

Il passaggio di queste truppe con i relativi disordini di ogni sorta, avvenne nel corso di due periodi, quello dell’andata all’assedio di Mantova per tutto il 1629 e 1630, e quello del ritorno nel 1631.

A tutto questo si doveva aggiungere “…anche il contagio che tanto infierì per quasi un anno nelle nostre popolazioni, … e quindi il morbo pestilenziale che rovinò quasi tutto il bestiame bovino, causa efficiente del commercio del Lodigiano…” (G. Agnelli, op. cit., pag. 133).

Antonio Saletta

(1 – continua)

* Dedico questo studio alla memoria dell’amico prof. Angelo Montenegro, che mi ha guidato nella disciplina della ricerca storica. Tutto quanto ho fin qui modestamente raccontato, lo devo al suo insegnamento e costante incoraggiamento. 

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