Si diceva una volta, neanche tanto tempo fa. Proverbi e Soprannomi Quando la saggezza e l’esperienza
erano condensate Continua, anche in questo numero, la pubblicazione commentata di proverbi riguardanti la lavorazione dei campi. Rinnoviamo l’invito ai nostri lettori di inviarci altri antichi proverbi a loro noti, con la spiegazione del relativo significato.
d’irrigar ben tosto l’erba pesta. Proverbio agronomico. Nel linguaggio padano-lodigiano per tempesta si intende la grandine. Le precipitazioni in forma di grandine si verificano, normalmente, in estate, quando le temperature sono elevate e, sovente, la grandinata arriva come un violento temporale, dopo un lungo periodo di calura e siccità. Non ci si illuda, dunque, data la brevità dell’evento meteorico, che i chicchi di grandine, una volta sciolti, rappresentino un significativo apporto idrico alle colture, che spesso restano prostrate al suolo. Si deve quindi provvedere rapidamente e copiosamente ad irrigarle. Se a mezzodì senti cantare il gallo, la pioggia presto aspetta senza fallo. Proverbio meteorologico. Come è noto, normalmente il gallo canta la mattina presto, quando spunta il sole, mentre poi durante il giorno tace. E’ probabile che il gallo si metta a cantare in altre ore del giorno, qualora la luce o qualche altro fattore esterno assuma una connotazione simile all’atmosfera del primo mattino. All’approssimarsi di un temporale è facile che il sole, coperto da nubi scure, mandi bagliori simili a quelli dell’alba, stimolando così il gallo a cantare. Non è quindi il gallo ad annunciare una pioggia imprevedibile, ma è piuttosto il suo approssimarsi che trae in inganno il gallo. Il sonno dell’aurora è quel che più ristora. Proverbio psico-somatico. Dormire serenamente fino al momento del risveglio offre la piacevole sensazione di aver pienamente goduto del riposo notturno e ci fa sentire bene al momento di alzarci. Forse non è tanto il sonno che precede l’alba a possedere particolari qualità ristoratrici, quanto piuttosto il fatto che, se ci si sveglia quand’è ancor buio e poi ci si rigira nel letto fino ad aspettare la luce, significa che non si è goduto di un tranquillo sonno notturno e, al mattino, ci sembra di essere più stanchi di quando ci siamo coricati. ******* Passiamo ora alla seconda piccola rassegna di soprannomi-scumagne. Come per i proverbi, ripetiamo l’invito ai lettori del PONTE di segnalarne di nuovi, con la relativa spiegazione. Belècia Bellezza: l’ironico soprannome venne affibbiato, per antifrasi, ad una persona che certamente non era considerato un Adone dai suoi concittadini. Ma con una particolare finezza che, probabilmente, è servita a rendere più accettabile e meno derisorio il termine. Nel dialetto di Sant’Angelo infatti, il termine bellezza di traduce con “belèsa”. La forma “belècia” sembra invece esprimere il desiderio di appioppare un nomignolo divertente, dimostrando uno spirito cameratesco, piuttosto che una volontà irridente. Cügnà del Signùr Cognato del Signore: e a buon diritto! Se è vero infatti che quando una donna si fa monaca è come se andasse sposa a Cristo Signore, allora, con tutto il dovuto rispetto per la divinità, ma con altrettanto puntiglio per i rapporti di parentela, come si deve intendere il legame con il Signore del fratello della monaca? Pare che per il titolare di questo soprannome non ci siano stati dubbi di sorta: “Se mia sorella è sposa del Signore, allora io ne sono il cognato”. E come tale, vita natural durante, è stato soprannominato e identificato dai santangiolini. Gian bon ladròn Gianni buon ladrone: il bisogno di mangiare, più che la cupidigia di arricchirsi, costringeva molti a violare l’altrui proprietà per appropriarsi di polli, conigli o di qualche maialino. Nessuna cattiveria, nessuna rapina, nessuna violenza. Solo tanta fame e un poco di sveltezza di mano. In un’epoca in cui i ladri di tal fatta sembra che andassero in chiesa ad accendere una candela a Sant’Antonio, patrono del paese, “per fa ‘ndà bèn el culpu” (per far andar bene il colpo), la bontà d’animo di Gianni, nonostante l’attività illecita, dev’esser stata tale da fargli meritare il dovuto riconoscimento da parte dei concittadini. Parlapü’ Non parlare più! Imperativo categorico negativo. Pare che la frase “e parla pü’! ” rappresentasse la conclusione, con divieto di replica, di una reprimenda rivolta da un genitore al figlio Antonio, che, da quel momento in poi, venne identificato in tutto il paese, anche per distinguerlo dai numerosissimi Antonio che a quell’epoca vivevano a Sant’Angelo, con il nome ed il soprannome di “Tògnu Parlapü’ ”. Angelo Pozzi |
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