.gruppi
di acquisto solidale
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La
“Bottega del Mondo” di Sant’Angelo è ormai un
punto di riferimento per molti, anche per Chiara e Romolo Macchetta, referenti
di Miradolo per il gruppo di acquisto solidale
del Lodigiano. I coniugi Macchetta conoscono il commercio equo e solidale
già dalla metà degli anni ‘90, quando sul territorio era presente solo
una bottega a Lodi, e hanno deciso di espandere il consumo etico unendosi
ad altre famiglie del Lodigiano. Un gruppo di acquisto solidale
(Gas) è formato da un insieme di persone che decidono di acquistare all'ingrosso
prodotti alimentari o di uso comune, da ridistribuire tra loro. Questo
modo di organizzarsi utilizza il concetto di solidarietà estesa ai piccoli
produttori italiani, fino a comprendere il rispetto dell'ambiente ed i
popoli del sud del mondo che, a causa della ingiusta
ripartizione delle ricchezze, subiscono le conseguenze dell’attuale modello
di sviluppo. Signor Macchetta, come avete deciso di aderire
agli ideali del consumo etico? «È
stato molto graduale, qualche anno fa abbiamo avuto la fortuna di ascoltare
padre Zanotelli che aveva parlato in modo molto incisivo dello sfruttamento
del nord nei confronti del sud del mondo. Per
noi che tutto sommato abbiamo la fortuna di poter
scegliere cosa consumare e ristabilire una certa giustizia, il commercio
equo è una delle strade, forse la strada privilegiata per fare qualcosa
di concreto». In
termini economici, è conveniente per una famiglia passare all’acquisto
solidale? «Forse
non sono convenienti rispetto a quelli del supermercato, ma a noi non
sembra che incida sul bilancio famigliare il fatto di acquistare i prodotti
del commercio equo. E comunque il fatto di non
andare al supermercato a fare la spesa, o di andarci molto meno di prima,
vuol dire che non vedi un sacco di prodotti inutili e non li compri, per
cui in effetti sul piatto della bilancia le due cose si compensano». E
riguardo la qualità? «I
nostri figli sapevano che venivamo a Sant’Angelo stamattina e finiva l’ultimo
pacchetto di biscotti, quindi ci hanno fatto la lista della spesa: i biscotti,
la frutta secca… se piace ai nostri figli vuol dire che la qualità è ottima.
E comunque, parliamoci chiaramente: noi non siamo nelle condizioni
di dover misurare la spesa per quello che mangiamo; quello che tendiamo
a risparmiare nella pasta, nel riso, nei generi di prima necessità lo
spendiamo in cose che spesso sono inutili o superflue, non dobbiamo risparmiare
perché se no non ce la facciamo a tirare avanti. Perciò si tratta solo
di scegliere di non avere il rapporto prezzo/prestazioni come unico criterio,
e se qualcosa ci costa anche di più, ma ci sono dei motivi che ci portano
ad una scelta, allora la facciamo comunque. E i motivi possono essere etici, di qualità ecc.». Si
parla di un’educazione al consumo. Deve essere una prerogativa o può avvenire
con la conoscenza di questi prodotti? «Può
avvenire prima: bisogna fare la scelta in base alle motivazioni; e poi
durante… l’appetito vien mangiando! E comunque
il fatto delle motivazioni è tanto rilevante se si
deve andare a Lodi per fare la spesa. Ma
se i punti di diffusione sono più sparsi sul territorio, come c’è adesso
la bottega a Sant’Angelo, è molto più facile; le motivazioni ci sono se
c’è anche la possibilità di scegliere. Anche
il fatto che molti prodotti si possono trovare nei supermercati può essere
utile». E
il boicottaggio?
«È
uno strumento che nella nostra società dei consumi può essere molto incisivo.
Noi seguiamo attivamente il boicottaggio di alcune
note società multinazionali. Per noi adulti è più facile rinunciare all’acquisto
di certi prodotti. Con i figli è più difficile, si cerca di mediare cercando
di far capire che quella marca non si prende perché dietro c’è lo sfruttamento,
oppure altre cose che non vanno bene. Questa è anche un’opera educativa». Uno
degli scopi del commercio equo è stimolare le istituzioni a compiere scelte
economiche in favore dei piccoli produttori. Avete osservato movimenti
in queste direzioni? «Il
fatto che certi prodotti siano entrati nei supermercati vuol dire che
i consumatori sono presi in considerazione, per cui
se fanno delle richieste, chi immette i prodotti sul mercato è attento
ad adeguarsi; sicuramente negli ultimi anni c’è stato uno sviluppo notevole.
Per i regali nell’ultimo Natale ci sembra che ci sia stata un’esplosione
dell’acquisto dei prodotti del commercio equo.
Parlavo con un’amica: mi diceva che non si può fare, siamo una goccia
nel mare… però secondo me qualcosa cambia, perché le gocce diventano sempre
di più e riescono a influire». Vedendo
anche il buon successo del negozio di Sant’Angelo, secondo voi è in atto
una reale sensibilizzazione? «Secondo noi sì, perché come dicevamo prima le motivazioni
contano prima di tutto. È
inevitabile prendere coscienza che come consumatori abbiamo
un potere e che bene o male lo esercitiamo; se non lo esercitiamo in modo
critico, lo esercitiamo male. Se invece lo esercitiamo
in modo critico, allora possiamo incidere su alcune scelte anche a livello
internazionale». Cosa comporta,
a livello organizzativo, il vostro ruolo di referenti?
«Come
“Gas” abbiamo fatto innanzitutto una scelta: quando un prodotto è disponibile
nel circuito del commercio equo, noi non lo cerchiamo altrove; per gli
altri prodotti, invece, nel gruppo c’è chi fa da tramite con il produttore,
gestisce l’ordine per posta elettronica o per telefono e ritira la merce
che poi i singoli referenti di zona distribuiscono. Abbiamo anche allacciato
rapporti di collaborazione con un’azienda agricola del piacentino, di
produzione biologica: questa fa avere ogni quindici giorni il formaggio
a una piccola gastronomia di Lodi che fa da intermediario
con un piccolo ricarico, accettabile in termini di prezzo. Il fatto di
avere dei riferimenti in negozi potrebbe permettere una maggior praticità
ed espansione». Non solo negozi dell’equo
e solidale, quindi…
«Anche altri negozianti, sensibili e disponibili. I “Gas” possono
appoggiarsi a strutture non necessariamente vincolate all’equo e solidale.
Anche qui la cosa va di pari passo: il fatto che aumenti la richiesta
delle persone che cercano di usufruire di questa opportunità,
fa sì che la cosa possa diventare interessante anche per un negoziante
che vive di questo lavoro e deve avere giustamente un ritorno economico». Giuseppe
Sommariva |
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