i
luoghi della memoria
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Ciò è forse dovuto al fatto che l’incontro e lo scambio fra generazioni cronologicamente molto lontane sviluppa energie insospettate e soprattutto apre la strada a scoperte inattese.
Gli edifici religiosi e le strutture ad essi collegate erano espressione di una società molto legata alla Chiesa e attiva nel campo delle opere caritative. La gente di Sant’ Angelo che frequentava le funzioni religiose era divenuta così numerosa che la vecchia prepositurale di Sant’ Antonio Abate non bastava più a contenerla, per cui nel 1928 Mons. Rizzi iniziò i lavori per la costruzione della nuova prepositurale, sempre dedicata al Santo che, si diceva, anticamente aveva salvato il paese da un furibondo incendio. Si dovettero abbattere le botteghe e le case situate
sul retro per far posto alla nuova costruzione che sarebbe stata più lunga,
ma non più larga della precedente. Il campanile, invece, rimase lo stesso;
vennero sostituite solo le campane che, come hanno ricordato gli anziani,
prima di essere issate, percorsero le vie del paese su di un carro, per
volere di don Nicola. Nel centro di Sant’ Angelo, a lato della prepositurale,
c’era la chiesa di Santa Marta,
ricordata come un edificio buio e squallido in cui non si celebravano
più le funzioni religiose, ma dove si rappresentavano spettacoli teatrali
e, in occasione del festone,
si organizzavano le pesche di beneficenza. Nel palazzo a fianco i nonni ricordano che c’era la drogheria di Malinverni di cui oggi, come
della chiesa, non resta più alcuna traccia. L’assistenza ai poveri era garantita dall’ “Ospizio dei vecchi” posto dietro la chiesa principale. Per sfamare i ricoverati un certo Giuàn percorreva le vie del paese raccogliendo cibo ed offerte; anche Vito girava alla ricerca di salumi e carne da portare all’ospizio in cui il tenore di vita era di gran lunga diverso da quello dell’attuale Casa di Riposo! Un’altra opera caritativa era rappresentata dall’orfanotrofio, posto nell’attuale piazza don Nicola De Martino nei locali dell’attuale monastero delle Suore cabriniane. Gli orfanelli avevano un grembiulino nero con un colletto bianco e seguivano i funerali in cambio di una ricompensa; il loro custode si chiamava Beccaria Pietro, detto Pedrinella . Nel monastero c’era anche il collegio delle educande, bambine di famiglie ricche del circondario che venivano qui a studiare. Di loro, a detta degli anziani, si aveva più cura rispetto agli orfanelli, perché molto spesso si evitava che partecipassero ai cortei funebri per evitare che prendessero freddo. Vicino al cortile dell’orfanotrofio e dietro il vecchio acquedotto c’era la caserma dei pompieri, che avevano un carro trainato dai cavalli e, in caso di necessità, uscivano al suono di un tintinnante campanello. Da questo punto della piazza era molto facile recarsi alla Guatra percorrendo el bus, il vicoletto ancora oggi esistente.
Per viaggiare e per rifocillarsi: tram ed osterie La linea Sant’Angelo-Lodi, invece, partiva dalla “fabbrica” (ex Cotonificio Lombardia); il capostazione si chiamava Giardini. Ad un certo punto, dicono gli anziani, fu soppressa perché Lodi era talmente vicina che si preferiva andarci a piedi!! In piazza Caduti, poi, correva sulle rotaie il tram che andava a Pavia, di proprietà della Società Valtidone. Partiva da via Mazzini e, con un fischio, chiamava i viaggiatori che salivano in carrozza quando la caldaia aveva prodotto sufficiente vapore. Sempre in piazza Caduti ci si poteva rifocillare alla Trattoria dell’Angelo che davanti aveva un fresco pergolato sotto cui d’estate si pranzava. Poco lontano le cosiddette Cudéghe vendevano lardo e salsicce, mentre sull’angolo del Trage c’era il banchetto della Quartirina che cuoceva le castagne, vendeva frutta e verdura e cuoceva la patuna. All’altezza del semaforo di via Mazzini era situato l’albergo Sant’Antonio, il “più su” del paese, dove si poteva mangiare e dormire. Di proprietà della famiglia Crespi, faceva anche lo “stallazzo”, cioè era in grado di ristorare e “ospitare” i cavalli degli avventori. Nella vicina via della Fiera (attuale via Partigiani) la prima domenica di luglio c’era l’esposizione degli animali che richiamava molta gente da tutto il circondario. Anche l’Osteria della Catena, che si trovava immediatamente prima del ponte sul Lambro, era fornita di stallazzo e dava alloggio soprattutto alle cavagnune, donne forestiere che si fermavano a Sant’Angelo parecchio tempo per vendere biancheria e molta altra merce. Il proprietario era il signor De Vecchi, detto Minchèta. Sempre prima del ponte, in direzione della piazza principale, si trovava l’Osteria S.Giorgio, con possibilità di alloggio, di proprietà dei signori Sara. I negozi,
i mestieri, i divertimenti
Sul lato nord della piazza si trovavano la posta e la ferramenta Boggi. Il selciato era costituito dalle caratteristiche piòdule, che si ritrovavano anche percorrendo via Garibaldi, divenuta poi via Madre Cabrini. Gli anziani si ricordano che qui c’erano già da allora la drogheria Rovida ed il ciclista Rognoni , detto Bistèca. Nella via c’era anche un tabaccaio, Rusconi detto Rusén, e lavorava il noto sarto della Ranera. A San Rocco il sciur Pèpu dirigeva la ferramenta Manzoni sita nell’attuale palazzo. Vicino si trovava un orologiaio, il ciclista Ferrari e, poco più in là, la drogheria Bulzi. La farmacia comunale non esisteva ancora, mentre all’inizio dell’odierna via Garibaldi c’era Basellini che vendeva salumi. Dopo il ponte sul Lambro c’era il “magnàn”, che riparava pentole ed oggetti di rame. Sempre in questa zona c’era una delle due pese pubbliche del paese, l’altra era situata nell’odierna sede dell’AVIS e fu spostata successivamente in piazza Duca degli Abruzzi. Chi doveva pesare la propria merce prima di scaricarla, pagava una quota all’addetto; una percentuale di tale cifra, spettava al Comune. La Sant’ Angelo di allora era attraversata da un Lambro pulito, in cui si andava a lavare, a pescare e a fare il bagno. Lungo il corso d’acqua c’era anche un mulino che ha lasciato il nome alla corrispondente zona del paese. Allora se ne serviva chi andava a spigolare; c’era poi la famiglia dei Murneròn, che raccoglieva il grano delle singole famiglie, lo macinava e lo restituiva a domicilio. I nonni ricordano che due figli di questa famiglia morirono annegati nel fiume, uno nell’intento di salvare l’altro. Come si divertivano i santangiolini del tempo? Al tempo del fascismo gli anziani ricordano che nella sede attuale del Comune c’era il “dopolavoro” in cui si facevano feste e, nei giorni di giovedì, sabato e domenica, si ballava. Questo tipo di divertimento non piaceva a monsignor Molti che minacciava di non esporre la statua di Sant’ Antonio il giorno del festone se fosse continuato questo andazzo. In definitiva i nonni hanno riportato l’immagine di un paese estremamente vitale e i bambini sono stati in grado di fare un raffronto con la loro Sant’ Angelo, altrettanto attiva e “commerciale”, ma certamente più moderna e ristrutturata, purtroppo anche più motorizzata e quindi … inquinata! I nonni
barasini della Casa di Riposo
I bambini della classe III A Scuola Elementare “R. Morzenti” |
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