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Castagne venditori vendita di castagne caldarroste


ANNO 7 - N. 5 (Versione web - anno 4 n.5) NUOVA SERIE NOVEMBRE 2003

Mestieri di una volta

La tradizione dei "filsòn"

castagne
Con l'inizio del mese di novembre, appena dopo "i morti", a Sant'Angelo si cominciano a preparare i "filsòn". Negli anni addietro un intero quartiere, quello della Costa, cui si aggiungeva pure borgo Santa Maria, entrava in fermento. Decine di donne, molte volte ancora bambine, arruolate per infilzare le castagne con un abile lavoro di mani, mentre gli uomini spostavano sacchi di juta pesanti e polverosi che arrivavano dalle montagne della provincia di Cuneo, direttamente in pianura Padana. Nei sacchi, le pregiate castagne piemontesi, che sarebbero approdate qualche settimana dopo sulle bancarelle dei famosi venditori barasini, i quali girando in lungo e in largo le fiere di Lombardia, portavano a casa i guadagni di un'intera stagione.
La vendita dei "filsòn", lunghe collane di castagne, era una delle tante peculiarità della Sant'Angelo commerciale che oggi si sta disperdendo.E quello del "filsunè" era un lavoro tosto: levatacce nei giorni di festa, chilometri macinati sulle strade di pianura con la nebbia e il gelo, tutta la famiglia impegnata, dalla preparazione alla vendita dei "filsòn" e sulle spalle, quasi senza accorgersene, il peso della tradizione.

Per la Costa, come pure per Santa Maria, la stagione dei "filsòn" era una valvola di sfogo a sostegno di un'economia povera. Le ragazze e le mogli, a casa senza lavoro, si rovinavano le mani infilzando le castagne per intere giornate e così contribuivano ai risicati bilanci familiari.
Alessandro Bagnaschi, classe 1924, vive ancora oggi nel cuore della Costa, in una classica casa di corte. «Son nasüde indrèn ai scurbén» dice. I "scurbén", assieme alle "scorbe", che sono un poco più grandi, sono le ceste nelle quali si mettono i "filsòn". Il signor Bagnaschi è nato in una famiglia di filsunè. Già il padre, affiancava questa attività a quella principale di venditore di pesce, un altro lavoro tipico della Costa, oggi scomparso.
Bagnaschi nasce a Sant'Angelo, da Battista e Rosa Campielli, alla Costa per l'appunto, il 18 giugno 1924 ed è l' ultimo di 5 fratelli.

«I "filsòn" sono nati quando ancora si andava in giro con il pesce - prende a raccontare Alessandro Bagnaschi - e io ho iniziato a venderlo all'età di 15 anni. Eravamo io, i miei tre fratelli, mio padre e un mio parente, Domenico Bagnaschi, anche lui della Costa. Il pesce arrivava dai pescatori del Lambro, del Po o del Ticino, oppure arrivava dalla Lomellina. Ricordo che noi ci rifornivamo da un tizio che faceva la spola, con il cavallo, fino a Bereguardo. Mio padre all'inizio girava a vendere il pesce con la bicicletta ed arrivava fino a Gorgonzola e ad Agrate Brianza. Io sono andato anche a Monza. Si seguiva la stagione: ad esempio, a San Giuseppe si cominciava con le rane, poi in autunno andavamo in giro solo il giovedì o il venerdì. E nel frattempo facevamo e vendevamo anche i "filsòn". Saranno più di 80 anni che la mia famiglia li produce. Poi negli anni Sessanta ho abbandonato l'attività del pesce e ho iniziato a vendere la frutta. E poi come sempre, continuavo con i "filsòn"».
caldarroste
La vendita dei "Filsòn"
in una delle fiere e sagre
della Lombardia e del Piemonte

Il procedimento per realizzare un "filsòn", prima di poterlo esporre sul banco, è lungo e laborioso. Impegna più persone, inizia con l'autunno, e poi continua, senza interruzioni, fino a Pasqua, o anche oltre. In questi mesi si producono i "filsòn", si fanno le scorte, e poi con l'inverno si comincia la vendita.
«Con settembre - spiega Bagnaschi - ogni giorno è buono per andare in Piemonte, in provincia di Cuneo, nella zona di Mondovì, per vedere come andrà la stagione delle castagne e per trattare con gli agricoltori. Una volta noi "filsunè" parlavamo direttamente con i contadini che scendevano dalle montagne. Oggi invece sono i commercianti che ci vendono le castagne, dopo averle a loro volta comprate dai contadini. Sono loro che le fanno seccare, per 25 giorni, anche un mese. Una volta lo si faceva con il fuoco a legna, oggi ci sono moderni essiccatoi. Le castagne vanno essiccate perché altrimenti noi non le possiamo infilzare. Ogni "filsunè" caricava diversi quintali di castagne da portare a Sant'Angelo. I montanari ci davano le castagne in sacchi di juta che arrivavano a pesare anche 70 chili l'uno».
Una volta portati a casa i sacchi, toccava alle donne mondare le castagne. Si mondavano a mano, "cun la basiöla i se tudèvun sü dal sache". C'erano 5 tipi differenti di castagne: quelle, grosse, medie, piccole, quelle di scarto, che erano rotte e si usavano per fare "la büsèca" (castagne cotte in acqua), e infine le castagne "büse" che si buttavano via. Ogni donna mondava 4 o 5 sacchi al giorno, tutti a mano. Dai sacchi usciva la polvere delle castagne secche, e così alla fine della giornata le donne erano tutte nere in volto. Per i "filsòn" si usavano le castagne grosse, medie e piccole, e le prime erano le più richieste alle fiere.

venditori di castagne
«Prima si mondava a mano - aggiunge Bagnaschi - poi, circa 40 anni fa, ho preso una macchina speciale nella zona di Mondovì, a Torre di San Michele e sono stato uno dei primi ad averla. Con la macchina era molto più veloce; era costituita da un cilindro con tre tipi differenti di maglie. All'inizio c'era la maglia stretta che faceva passare le castagne piccole, mentre le medie e le grandi continuavano a percorrere il cilindro, fino a quando trovavano maglie più grandi e allora finivano nei rispettivi cesti al di sotto della macchina».
Dopo la monda, le castagne finivano nei mastelli, "prima ièrun dle bute del vén o dei sigiòn de lègne", adesso si usano mastelli in plastica. Le castagne restavano a mollo in acqua fredda per 4 o 5 ore. Si usava l'acqua fredda perché la buccia delle castagne si bagnava ed era facile poi infilzarle. L'acqua calda invece, pur bagnando le castagne, ne rovinava la buccia, rendendola troppo scura. Dopo averle tolte dai mastelli, le castagne erano pronte, venivano messe nelle "scorbe" e " le done ia filsèvun".

«Sono arrivato ad avere anche 7, 8 donne che "i filsèvun per me"- spiega Bagnaschi - ma altri ne avevano anche 15. Preparare "el filsòn" era un lavoro da donna: si usavano 4 aghi, e si infilavano quattro castagne alla volta, una per ogni ago, legandole poi tra loro. Alla fine si otteneva "el filsòn" una lunga fila di 30, 40 o 60 castagne, disposte quattro su quattro. Il filo lo compravo nel quartiere San Martino, da "Tugnén" Saletta. "Filsà" era un lavoro faticoso, "andavano" mani e braccia, si doveva lavorare tutto il giorno per guadagnare qualcosa, altrimenti non era conveniente».

E poi, una volta pronti i "filsòn", li si portava dai fornai, per cuocerli. Tempo di cottura circa 40 minuti, nello stesso forno per fare il pane. L'ultimo passaggio, con i "filsòn" che erano stipati nelle "scorbe", era quello della vendita nelle piazze.
«Io cominciavo con Sant'Ambrogio a Milano e andavo avanti fino a Pasqua. Andavo sempre a Novara il 22 di gennaio per San Gaudenzio, a Rivolta d'Adda, a Marcignano e a Treviglio. A Rivolta d'Adda ad esempio, ero sicuro di far bene. Qui da noi, sono sempre andato a Lodi per "San Basàn"».
"El filsunè" Alessandro Bagnaschi ha smesso la sua attività non più di 7 anni fa, a 73 anni.
«Oggi di donne giovani disposte a "filsà" non se trovano più, e le ultime rimaste sono anziane» commenta.
Dopo aver cercato di raccontare cosa significava essere "filsunè", Bagnaschi conclude così:«A Sant'Angelo questa attività sta scomparendo. Sono rimaste soltanto 4 famiglie a produrre "filsòn", tutte originarie della Costa. I Sommariva, i Toscani (oggi alla Ranera), un'altra famiglia di Bagnaschi e una di Furiosi, che si sono trasferiti da poco a Villanterio».


Lorenzo Rinaldi