La tradizione dei "filsòn"
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Con l'inizio del mese di novembre, appena dopo "i
morti", a Sant'Angelo si cominciano a preparare i "filsòn".
Negli anni addietro un intero quartiere, quello della Costa, cui
si aggiungeva pure borgo Santa Maria, entrava in fermento. Decine
di donne, molte volte ancora bambine, arruolate per infilzare le
castagne con un abile lavoro di mani, mentre gli uomini spostavano
sacchi di juta pesanti e polverosi che arrivavano dalle montagne
della provincia di Cuneo, direttamente in pianura Padana. Nei sacchi,
le pregiate castagne piemontesi, che sarebbero approdate qualche
settimana dopo sulle bancarelle dei famosi venditori barasini, i
quali girando in lungo e in largo le fiere di Lombardia, portavano
a casa i guadagni di un'intera stagione.
La vendita dei "filsòn", lunghe collane di castagne,
era una delle tante peculiarità della Sant'Angelo commerciale
che oggi si sta disperdendo.E quello del "filsunè"
era un lavoro tosto: levatacce nei giorni di festa, chilometri macinati
sulle strade di pianura con la nebbia e il gelo, tutta la famiglia
impegnata, dalla preparazione alla vendita dei "filsòn"
e sulle spalle, quasi senza accorgersene, il peso della tradizione.
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Per la Costa, come pure per Santa Maria, la stagione
dei "filsòn" era una valvola di sfogo a sostegno di
un'economia povera. Le ragazze e le mogli, a casa senza lavoro, si rovinavano
le mani infilzando le castagne per intere giornate e così contribuivano
ai risicati bilanci familiari.
Alessandro Bagnaschi, classe 1924, vive ancora oggi nel cuore della
Costa, in una classica casa di corte. «Son nasüde indrèn
ai scurbén» dice. I "scurbén", assieme
alle "scorbe", che sono un poco più grandi, sono le
ceste nelle quali si mettono i "filsòn". Il signor
Bagnaschi è nato in una famiglia di filsunè. Già
il padre, affiancava questa attività a quella principale di venditore
di pesce, un altro lavoro tipico della Costa, oggi scomparso.
Bagnaschi nasce a Sant'Angelo, da Battista e Rosa Campielli, alla Costa
per l'appunto, il 18 giugno 1924 ed è l' ultimo di 5 fratelli.
«I "filsòn" sono nati quando ancora
si andava in giro con il pesce - prende a raccontare Alessandro
Bagnaschi - e io ho iniziato a venderlo all'età di 15
anni. Eravamo io, i miei tre fratelli, mio padre e un mio parente,
Domenico Bagnaschi, anche lui della Costa. Il pesce arrivava dai
pescatori del Lambro, del Po o del Ticino, oppure arrivava dalla
Lomellina. Ricordo che noi ci rifornivamo da un tizio che faceva
la spola, con il cavallo, fino a Bereguardo. Mio padre all'inizio
girava a vendere il pesce con la bicicletta ed arrivava fino a Gorgonzola
e ad Agrate Brianza. Io sono andato anche a Monza. Si seguiva la
stagione: ad esempio, a San Giuseppe si cominciava con le rane,
poi in autunno andavamo in giro solo il giovedì o il venerdì.
E nel frattempo facevamo e vendevamo anche i "filsòn".
Saranno più di 80 anni che la mia famiglia li produce. Poi
negli anni Sessanta ho abbandonato l'attività del pesce e
ho iniziato a vendere la frutta. E poi come sempre, continuavo con
i "filsòn"». |
La vendita dei "Filsòn"
in una delle fiere e sagre
della Lombardia e del Piemonte |
Il procedimento per realizzare un "filsòn",
prima di poterlo esporre sul banco, è lungo e laborioso. Impegna
più persone, inizia con l'autunno, e poi continua, senza interruzioni,
fino a Pasqua, o anche oltre. In questi mesi si producono i "filsòn",
si fanno le scorte, e poi con l'inverno si comincia la vendita.
«Con settembre - spiega Bagnaschi - ogni giorno è
buono per andare in Piemonte, in provincia di Cuneo, nella zona di Mondovì,
per vedere come andrà la stagione delle castagne e per trattare
con gli agricoltori. Una volta noi "filsunè" parlavamo
direttamente con i contadini che scendevano dalle montagne. Oggi invece
sono i commercianti che ci vendono le castagne, dopo averle a loro volta
comprate dai contadini. Sono loro che le fanno seccare, per 25 giorni,
anche un mese. Una volta lo si faceva con il fuoco a legna, oggi ci
sono moderni essiccatoi. Le castagne vanno essiccate perché altrimenti
noi non le possiamo infilzare. Ogni "filsunè" caricava
diversi quintali di castagne da portare a Sant'Angelo. I montanari ci
davano le castagne in sacchi di juta che arrivavano a pesare anche 70
chili l'uno».
Una volta portati a casa i sacchi, toccava alle donne mondare le castagne.
Si mondavano a mano, "cun la basiöla i se tudèvun sü
dal sache". C'erano 5 tipi differenti di castagne: quelle, grosse,
medie, piccole, quelle di scarto, che erano rotte e si usavano per fare
"la büsèca" (castagne cotte in acqua), e infine
le castagne "büse" che si buttavano via. Ogni donna mondava
4 o 5 sacchi al giorno, tutti a mano. Dai sacchi usciva la polvere delle
castagne secche, e così alla fine della giornata le donne erano
tutte nere in volto. Per i "filsòn" si usavano le castagne
grosse, medie e piccole, e le prime erano le più richieste alle
fiere.
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«Prima si mondava a mano - aggiunge Bagnaschi -
poi, circa 40 anni fa, ho preso una macchina speciale nella zona
di Mondovì, a Torre di San Michele e sono stato uno dei primi
ad averla. Con la macchina era molto più veloce; era costituita
da un cilindro con tre tipi differenti di maglie. All'inizio c'era
la maglia stretta che faceva passare le castagne piccole, mentre
le medie e le grandi continuavano a percorrere il cilindro, fino
a quando trovavano maglie più grandi e allora finivano nei
rispettivi cesti al di sotto della macchina».
Dopo la monda, le castagne finivano nei mastelli, "prima ièrun
dle bute del vén o dei sigiòn de lègne",
adesso si usano mastelli in plastica. Le castagne restavano a mollo
in acqua fredda per 4 o 5 ore. Si usava l'acqua fredda perché
la buccia delle castagne si bagnava ed era facile poi infilzarle.
L'acqua calda invece, pur bagnando le castagne, ne rovinava la buccia,
rendendola troppo scura. Dopo averle tolte dai mastelli, le castagne
erano pronte, venivano messe nelle "scorbe" e " le
done ia filsèvun". |
«Sono arrivato ad avere anche 7, 8 donne che
"i filsèvun per me"- spiega Bagnaschi - ma
altri ne avevano anche 15. Preparare "el filsòn" era
un lavoro da donna: si usavano 4 aghi, e si infilavano quattro castagne
alla volta, una per ogni ago, legandole poi tra loro. Alla fine si otteneva
"el filsòn" una lunga fila di 30, 40 o 60 castagne,
disposte quattro su quattro. Il filo lo compravo nel quartiere San Martino,
da "Tugnén" Saletta. "Filsà" era un
lavoro faticoso, "andavano" mani e braccia, si doveva lavorare
tutto il giorno per guadagnare qualcosa, altrimenti non era conveniente».
E poi, una volta pronti i "filsòn", li si portava dai
fornai, per cuocerli. Tempo di cottura circa 40 minuti, nello stesso
forno per fare il pane. L'ultimo passaggio, con i "filsòn"
che erano stipati nelle "scorbe", era quello della vendita
nelle piazze.
«Io cominciavo con Sant'Ambrogio a Milano e andavo avanti
fino a Pasqua. Andavo sempre a Novara il 22 di gennaio per San Gaudenzio,
a Rivolta d'Adda, a Marcignano e a Treviglio. A Rivolta d'Adda ad esempio,
ero sicuro di far bene. Qui da noi, sono sempre andato a Lodi per "San
Basàn"».
"El filsunè" Alessandro Bagnaschi ha smesso la sua
attività non più di 7 anni fa, a 73 anni.
«Oggi di donne giovani disposte a "filsà"
non se trovano più, e le ultime rimaste sono anziane»
commenta.
Dopo aver cercato di raccontare cosa significava essere "filsunè",
Bagnaschi conclude così:«A Sant'Angelo questa attività
sta scomparendo. Sono rimaste soltanto 4 famiglie a produrre "filsòn",
tutte originarie della Costa. I Sommariva, i Toscani (oggi alla Ranera),
un'altra famiglia di Bagnaschi e una di Furiosi, che si sono trasferiti
da poco a Villanterio».
Lorenzo Rinaldi
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