Diciassettenne, era fuggito di casa per arruolarsi volontario
Riccardo Morzenti
eroe della "grande guerra"
Nel corso della "prima guerra mondiale",
furono parecchi i soldati santangiolini caduti in combattimento,
ai quali sono state conferite medaglie al Valor Militare per
i loro atti di eroismo.
Alle medaglie d'argento Stefano Furiosi e a Michelangelo Vignali
solo nel 1979 sono state dedicate vie cittadine, mentre a Riccardo
Morzenti, a pochi anni dalla morte, sono state intitolate la
scuola elementare nel 1927 e la via in cui abitava nel 1931.
Queste tempestive deliberazioni dell'amministrazione comunale
intendevano sottolineare la riconoscenza della comunità
santangiolina per l'eroico gesto del giovane soldato, morto
in combattimento sul Monte Vodice il 18 maggio 1917.
Nell'atrio d'ingresso della scuola elementare che porta il suo
nome è posto un bassorilievo di bronzo che lo raffigura
e una lapide, le cui parole sono esplicative dei sentimenti
che hanno animato i concittadini in quel particolare momento
storico: "Riccardo Morzenti, Sotto Tenente IV Alpini, Medaglia
d'Argento, quale eroe del primo Risorgimento, diciassettenne
sotto mentito nome, sui contesi confini combatteva, la fiorente
giovinezza immolava alla Patria. Vodice XVIII-V-MCMXVII. Perché
il ricordo si eterni fra le generazioni rinnovantisi e loro
apprenda come per l'Italia si operi e si muoia".
La vicenda di questo giovane soldato, ancora oggi, ha il sapore
di un'epica avventura che desideriamo raccontare, premettendo
alcune notizie sulla sua famiglia, che è da annoverare
fra quelle più importanti della nostra borgata.
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Riccardo Morzenti
con la divisa da alpino |
La famiglia
Gli avi paterni dei Morzenti scesero dalla Val di Scalve
nell'Alta Bergamasca sulla metà del 1800, alla pianura lodigiana",,
così scriveva lo storico Giovanni Pedrazzini Sobacchi nel 1929.
Angelo, il nonno di Riccardo, di professione macchinista meccanico,
sposò il 24 novembre 1863 a Villanterio l'insegnante Luisa
Corneliani e venne ad abitare a Sant'Angelo, dove si sarebbe dedicato
alla fabbricazione e all'impianto di pompe idrauliche e alla costruzione
di macchine per la trebbiatura del grano.
I Morzenti iniziarono la loro attività in un piccolo locale,
di proprietà Bondioli, in Borgo Santa Maria, trasferendosi
poi alla Vignola in via della Fiera, sotto un portico, ove più
tardi sarebbero sorti l'abitazione e l'officina.
Dal matrimonio di Angelo nacquero tre figli: Ottorino, Ubaldo e Giuseppe.
Ottorino sposò Margherita Monteverdi, ed ebbe due figli: Palmiro
e Riccardo.
Riccardo Luigi Antonio Morzenti (questo il suo nome completo) nasce
a Sant'Angelo Lodigiano il 15 giugno 1898 ed è battezzato il
18 giugno: così è certificato nel Libro dei Battesimi
dell'Archivio parrocchiale.
Le cronache del tempo descrivono il giovane Riccardo "un bel
giovanotto alto e robusto" che inizia a far parlare di sè
nella primavera del 1915 quando, studente dell'istituto tecnico di
Lodi, in testa ad una dimostrazione studentesca per sostenere l'intervento
italiano contro l'Austria, viene aggredito da sostenitori dell'opposta
fazione.
Ed è probabilmente in queste circostanze che Riccardo ha modo
di conoscere Iride Corvi, una ragazza lodigiana accomunata dagli stessi
ideali patriottici.
Con lei manterrà un intenso rapporto epistolare, che è
stato acquisito dai nipoti, i quali, molto gentilmente, hanno consentito
alla sua divulgazione.
Volontario sotto falso nome
Quando il 24 maggio 1915 l'Italia dichiara guerra all'Austria,
Riccardo Morzenti ha appena concluso l'anno scolastico abbreviato
e immediatamente esterna il desiderio di partire per la guerra come
volontario, suscitando l'inevitabile e categorico rifiuto dei familiari.
D'altra parte la sua domanda di ammissione non può essere accettata,
non essendo ancora diciottenne, età minima richiesta per essere
ammessi nell'esercito come volontari.
Tenta allora di arruolarsi, mentendo sull'anno di nascita, ma viene
scoperto e rimandato a casa.
Non si scoraggia e tenta una seconda volta, con documenti falsi, di
recarsi a Milano per essere accolto nei "Cacciatori delle Alpi"
di stanza a Perugia. Squattrinato, si rivolgeva all'amica Iride supplicando
un aiuto economico che gli verrà concesso, in cambio della
promessa di aiuto per entrare nell'esercito come ausiliaria o crocerossina.
Riccardo partirà il 19 giugno dalla stazione di Lodi ed il
giorno stesso è già di ritorno, perché al distretto
militare, dopo essere stato dichiarato idoneo alla visita medica,
viene scoperta la falsificazione dei documenti.
Consigliato dagli amici, Riccardo assume l'identità di un compagno
di studi, Francesco Sottocasa di anni 18 e, finalmente a Pavia, viene
accettato e inviato alla caserma Lamarmora di Torino dove indossa
la divisa del 4° Bersaglieri. E' il 12 luglio 1915.
In una lettera del 29 luglio da Torino, indirizzata all'amica Iride,
racconta la durissima vita di caserma "dove si lavora come forzati",
in compagnia di giovani laureati provenienti dall'America, Francia,
Inghilterra e Germania. Gli è stato comunicato che al fronte
il suo compito sarebbe stato quello di vedetta e di esplorazione negli
avamposti e la sua lettera informa che presto sarebbero stati chiamati
alle armi la classe '96 e i riformati. "Non uno non andrà
al fronte giacché sarà lunga la guerra. lo già
faccio conto di non più ritornare...".".
Nel frattempo Iride, a cui si è unita la sorella Dirce, proseguono
nell'aiuto materiale e morale a Riccardo, facendo da tramite con i
familiari all'oscuro della destinazione del figlio.
L'espediente però sarebbe durato poco: il padre Ottorino giunto
a Torino, si rende conto della ferma determinazione del figlio e desiste
dal proposito di riportarlo a casa, strappandogli la promessa che
una volta giunto al fronte avrebbe rivelato ai superiori la sua vera
identità.
Il 2 agosto 1915, Riccardo parte con 120 bersaglieri per l'Isonzo.
Lo stesso giorno scrive alle amiche lodigiane: "..Ricevete il
saluto del partente, non dubitate io farò il mio dovere, ormai
la vita non la conto più. ...Ricordatemi, amatemi. Se non ci
rivediamo più, se dovrò morire consolate ve ne prego
la mia mamma che è tanto afflitta".
Dalla zona di guerra, il 17 agosto, confida un suo atto di coraggio:
"...Domenica notte vi fu una ricognizione per scoprire il nemico.
Fummo scoperti e bersagliati in pieno, succedette un panico terribile,
ebbene io che ero di vedetta sopra un'altura e le granate mi scoppiavano
d'attorno rimasi al mio posto fino all'ordine di ritirata. Ebbi elogi
da ufficiali e soldati....".
Riccardo rimarrà due mesi al fronte, fino a quando i superiori,
venuti a conoscenza della sua vera identità, decidono il suo
allontanamento dall'esercito.
Con grande rincrescimento torna a casa, riprendendo a frequentare
il secondo anno di ragioneria all'Istituto tecnico di Lodi, nell'attesa
di compiere i diciotto anni, che gli avrebbero permesso di soddisfare
il suo desiderio.
Al fronte con gli Alpini
Nel maggio 1916, raggiunta l'età minima, si arruola
nuovamente volontario, questa volta nel 4° Alpini, Battaglione
Aosta.
Subito destinato alla zona di operazione, così comunica, il
18 luglio 1916: "...La notte del dieci attaccammo con otto battaglioni
il nemico che oppose una resistenza accanitissima. …Avemmo circa
mille uomini fuori combattimento mentre gli austriaci ebbero a soffrirne
molto di più nei contrattacchi. Qui si combatte ogni giorno;
ora ci siamo nuovamente spostati sul Monte Caldera...".
E ancora il 27 dello stesso mese: "Partii da Primidiano alle
ore 17 del 25 con un treno speciale e giunsi a Marane (V. Adige)
alle 4 del 26. Zaino in spalla e su; ora sono accampato a Passo
Buole. Corre voce che dobbiamo nuovamente cambiare fronte. Qui
l'Austria ha avuto una buona lezione giacché per un mese
di continuo seppellirono cadaveri. Regna una calma relativa".
Da questo momento la corrispondenza con le benefattrici lodigiane
Iride e Dirce, per motivi che non conosciamo, si interrompe.
Molto probabilmente il rapporto con Iride, la ragazza lodigiana,
doveva essere andato oltre la semplice amicizia. Lo si deduce
da una lettera in data 19 dicembre 1916 del fratello Palmiro,
classe 1895, anch'egli sotto le armi in qualità di radiotelegrafista,
che lo consiglia "data la sua giovane età" di
interrompere la relazione.
Altre notizie le ricaviamo da un ritaglio di giornale, non ben
identificato, del 17 luglio 1916, al quale Riccardo racconta la
sua vita al fronte. Alla maniera di un reporter, descrive ai lettori,
con dovizia di particolari, episodi dell'avanzata in Costa Alta
nei pressi dell'Altipiano dei Sette Comuni e di "aver combattuto
alla baionetta" provocando la fuga del nemico "che subisce
molte perdite". In uno dei questi scontri, rimane ferito
da una scheggia di granata, episodio che non gli impedisce di
continuare a combattere. Commenta: "Siamo stanchi, magri
e sporchi, ma ciò non conta, la vittoria ci arride!"
e riporta l'incitamento del suo comandante a respingere il nemico
"che calpesta ancora un breve tratto del nostro bei suolo". |
La lapide e il bassorilievo
collocati nell'atrio
della scuola elementare
che porta il suo nome |
Commoventi le parole conclusive, che possono essere
considerate il suo testamento spirituale: "Ed io che della patria
ho un culto, combatterò finché l'eterno e barbaro nemico
non sarà scacciato definitivamente dal nostro sacro suolo.
Dopo morrò contento, purché l'Italia viva libera ed
una".
Mentre la guerra di trincea diventa sempre più cruenta con
la perdita di migliaia soldati, il giovane santangiolino si distingue
in operazioni ad alto rischio sfidando ogni pericolo. Apprezzato dai
superiori per il coraggio e lo spirito di disciplina, viene promosso
ufficiale.
Il 1917 fu l'anno in cui si combatterono le più sanguinose
battaglie, fra le quali, la decima dell'Isonzo con la conquista del
Monte Vodice. E' appunto su questa altura che Riccardo Morzenti, il
18 maggio, muore eroicamente.
Gli viene concessa, sul campo, la medaglia d'argento, con questa motivazione:
"Ufficiale esploratore, essendogli stato ordinato di rimanere
in riserva, chiedeva ed otteneva di partecipare all'attacco di forti
posizioni nemiche. Giunto primo sulle trincee avversarie, sotto violentissimo
fuoco con lancio di bombe a mano incoraggiava i suoi dipendenti ad
avanzare, dando bella prova di coraggio, finché cadeva colpito
a morte".
Il 7 giugno, nella chiesa parrocchiale di Sant'Angelo, viene celebrata,
dal parroco mons. Domenico Mezzadri, una solenne Messa di suffragio
alla presenza del dott. Cortese in rappresentanza del sindaco, degli
assessori comunali, del sig. Angelo Pelli presidente del Comitato
di assistenza civile e del prof. A. Marenduzzo preside dell'Istituto
tecnico di Lodi. Rende gli onori militari una compagnia di soldati
del presidio con alcuni ufficiali del Genio.
Sulla porta della chiesa viene posta la seguente epigrafe: "Dio
nostro accolga in cielo l'anima eletta di Riccardo Morzenti sottotenente
degli alpini, caduto gloriosamente combattendo per la Patria e per
la libertà".
Antonio Saletta
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