Nel prossimo mese di gennaio ricorre
l’anniversario della scomparsa di Angelo Montenegro avvenuta
il 16 gennaio 2003. La pubblicazione di uno dei primi articoli di
storia santangiolina che il compianto Angelo scrisse nel giugno 1992
su “Il filo logico” un foglio di informazione locale,
riteniamo possa essere il modo più adeguato per ricordarlo.
Santangiolini dimenticati
L’ing. Francesco Rozza
Un clericale intransigente dell’800
Vagabondando per archivi e biblioteche e curiosando fra vecchie Carte
e antiche pubblicazioni mi è accaduto di imbattermi in un singolare
personaggio che ha dominato la vita politica e amministrativa di Sant’Angelo,
per oltre mezzo secolo, dal 1842 al 1898. Si tratta dell’ing.
Francesco Rozza, autore tra l’altro di un libro autobiografico
pubblicato a Sant’Angelo nel 1898 dalla Tipografia di Sante
Rezzonico, editrice per altro di almeno 12 volumi, fra il 1874 e il
1898, registrati in repertori bibliografici nazionali.
Il bassorilievo
raffigurante l'ing. Francesco Rozza fotografato da Angelo Montenegro
poco dopo
la rimozione della tomba di famiglia
nel cimitero santangiolino |
Interrogando anziani e cultori di storia locale
mi sono reso conto che di questo personaggio era andata perduta
quasi completamente la memoria. E’ stata rimossa persino
la tomba di famiglia sita con molta probabilità (ma non
ci è stato possibile verificarlo) nella cappella che guarda
la porta d’ingresso accanto a quella di Antonio Corbellini,
assessore per molti decenni e fraterno amico di Rozza, anch’essa
ormai in totale abbandono.
Ma chi era l'ing. Francesco Rozza?
Nato a Sant’Angelo, il 17 ottobre 1813 da Antonio Maria
Rozza e Laura Semenza, proprietari terrieri, dopo aver frequentato
il Collegio di Cassano d’Adda e il liceo a Pavia, a 18 anni
conseguiva il dottorato in matematica e a 22 anni il titolo di
ingegnere architetto civile. Dal 1842, fu uno dei tre “deputati”
che reggevano l’amministrazione comunale sotto il dominio
austriaco.
Educato ai principi della fede cattolico-romana, devotissimo al
Papa-Re, nel 1848 si infervorò per l’ideale liberale
abbracciato momentaneamente da Pio IX. |
Venuto in contrasto in più occasioni con le
superiori autorità austriache, dopo essere stato accusato,
nel gennaio del 1848, “di aver insozzato” di sterco la
firma ad una notificazione di Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria,
fu costretto a fuggire da Sant’Angelo. Vi fece ritorno il 19
marzo dello stesso anno per accorrere in soccorso degli insorti milanesi
delle famose “cinque giornate”. Fu questo certamente il
momento di maggior gloria e popolarità da lui vissuto nella
sua vita.
Secondo il suo racconto, tornato a Sant’Angelo riuscì
a riunire circa trecento uomini con i quali disarmò “gendarmi,
soldati e finanzieri” di stanza a Sant’Angelo e sequestrò
la cospicua somma di 36.000 lire austriache all’esattore comunale
Andrea Tassi, intendendo usarle per l’acquisto di armi e vettovaglie
per il suo gruppo e per gli insorti milanesi. Sulla via per Milano
fece sosta a Landriano, dove fu pregato da quel municipio di disarmare
i gendarmi di stanza in quel borgo. La sera del 19 marzo si acquartierò
alla Cascina Morivione, fuori Porta Vigentina, a Milano.
Armati con cinquanta fucili, ronche, falci, bidenti e tridenti, dopo
qualche scaramuccia, i barasini presero parte agli scontri che avvennero
a Porta Lodovica la sera del 21 marzo avvalendosi anche di rinforzi
pervenuti da Chignolo Po.
A seguito di questa ed altre azioni Francesco Rozza venne nominato
Capitano. Tornato a Sant’Angelo fu nominato membro del “Comitato
dei tre” che resse l’amministrazione fino alla sconfitta
dei piemontesi e al ritorno degli austriaci. Egli fu peraltro amareggiato
dal fatto che in paese lui e i suoi uomini venissero indicati come
“quèi ch’ièn n’dai a Muriviòn
a mangià el late”.
Fuggito nuovamente in Svizzera, come tanti altri combattenti delle
“cinque giornate”, trovò alloggio a Lugano presso
l’Albergo Italia. Qui fu raggiunto da un altro santangiolino,
l’ing. Anacleto Nosotti, che in quell’esilio gli fu di
molto conforto. Nel suo libro Rozza racconta che essi pranzarono allo
stesso tavolo di Mazzini e che i “di lui discorsi contro le
teste coronate” lo persuasero infine che come cattolico non
poteva condividere quei discorsi né poteva continuare oltre
ad essere alleato di quegli uomini. Iniziò così una
lunga crisi di coscienza che lo porterà negli anni successivi
ad abbracciare totalmente la posizione reazionaria assunta poi da
Pio IX, e a definirsi con orgoglio clericale intransigente.
Tornato a Sant’Angelo e restituito il denaro sequestrato fu
rieletto “Deputato”, ricoprendo tale carica fino al 1859,
quando gli Austriaci, sconfitti dai Franco-Piemontesi, dovettero abbandonare
la Lombardia annessa al Regno Sardo.
Nel 1860 l’occupazione dei territori dello Stato Pontificio
da parte delle truppe piemontesi rinvigorì il suo clericalismo
e infervorò il suo sentimento antiunitario e antiliberale.
Queste idee vennero poi incoraggiate e guidate da uno dei maggiori
rappresentanti del clericalismo reazionario lodigiano, il parroco
di Sant’Angelo don Bassano Dedè, protagonista di numerose
battaglie antiliberali e costante obiettivo polemico della stampa
liberale non solo lodigiana.
Il frontespizio del libretto
autobiografico dell'ing.
Francesco Rozza, pubblicato
nel 1898 dalla tipografia Rezzonico |
L’incontro di questi due personaggi fu decisivo per le
sorti amministrative di questo paese. Mentre nelle strade del
borgo e dal pulpito don Dedè, con le sue infiammate prediche
antigaribaldine e antiliberali, contribuiva letteralmente a demonizzare
e a isolare quel manipolo di giovani rampolli della borghesia
e della nobiltà locali che avevano entusiasticamente seguito
Garibaldi, l’ing. Francesco Rozza, da parte sua, forte dell’esperienza,
del consenso e del prestigio guadagnati in sede locale durante
gli anni dell’amministrazione austriaca, divenne, in un
certo senso, il braccio secolare della Chiesa locale in seno al
Consiglio comunale e alla Giunta. In quella veste, affiancato
da altri clericali come Francesco Cortese, futuro sindaco e Antonio
Corbellini, contribuì in modo decisivo prima a mettere
ripetutamente in minoranza il sindaco garibaldino e anticlericale
Raimondo Pandini e poi ad affossare quella che ha rappresentato
l’unica vera Giunta laica che Sant’Angelo abbia conosciuto
fra il 1860 e il 1915.
Nominato Capitano anziano della Guardia Nazionale di Sant’Angelo,
egli assurse nuovamente agli onori della cronaca per un episodio
clamoroso avvenuto nel 1861, quando offrì le sue spalline
di Capitano a Pio IX in segno di devozione alla causa pontificia
e di netto rifiuto del nuovo stato unitario realizzato a spese
dei territori del Papa-Re. A causa di questo e di altri minori
episodi egli venne degradato per ordine del Re e ridotto a guardia
semplice. |
Continuò comunque la sua opera di consigliere
comunale e di assessore ininterrottamente per altri trent’anni.
Per alcuni decenni ricoprì anche la carica di deputato provinciale
come rappresentante del mandamento di Sant’Angelo, a ulteriore
conferma della fiducia ivi riscossa. Ingegnere comunale per molti
anni contribuì alla realizzazione della prima linea tramviaria
Sant’Angelo-Lodi-Crema, della strada provinciale Melegnano-Sant’Angelo
per Corteolona e della provinciale Sant’Angelo-San Colombano.
Ma l’opera che a 127 anni dalla sua realizzazione rimane ancora
oggi a testimonianza della sua attività a Sant’Angelo
è l’orologio a quattro facciate che dalla sommità
del campanile ha scandito il tempo per tante generazioni di barasini.
Sentiamo come lo stesso Rozza nel 1989 ricordava la sua opera: “Il
paese manca d’orologio pubblico. Non più riconoscibile
l’esistente al di sotto delle campane della torre parrocchiale
sia per lo stato ammalorato del quadrante, sia per il rialzo del fabbricato
Bassi detto del Prestino Vecchio in tramontana del Sacrato (...) propongo
la formazione dei quadranti per ciascun finestrone (...). Durai due
anni di fatica a fare entrare nei miei la possibilità. Venuto
in paese l’avv. Francesco Cortese, nominato sindaco, questi
la intuì, e l’opera venne eseguita. Ed ecco dal 1865
in poi i quadranti del diametro di m. 3 prospicienti i quattro lati
del paese, ed a tutti visibili (...). Lode ad un meccanico prussiano
di cui non mi ricordo il nome, che si prestò per il movimento
delle quattro sfere; al defunto pittore Savarè Giovanni Battista,
che fece e dipinse i quadranti; al pure defunto Savarè Tommaso,
che ne ideò e ne pose in opera le sfere; ed al parimenti defunto
capomastro Cantoni Giacomo, che eseguì tutto il resto”.
Come uomo politico Rozza fu per tutta la vita ossessionato dall’idea
della massoneria come male assoluto, vero anticristo a cui egli ascriveva
tutti i rivolgimenti politici e sociali dell’epoca. Considerava
liberali, mazziniani, garibaldini come altrettanti tentacoli manovrati
dalle logge massoniche, giurate nemiche del Papa e della Chiesa. Questa
idea semplicistica dell’unità d’Italia, come frutto
di un complotto ordito da società occulte, gli impedì
di comprendere i rivolgimenti sociali che ne seguirono. Tramontati
gli ideali risorgimentali, al primo manifestarsi del movimento libertario
e socialista negli anni ‘89 e ‘90 dell’Ottocento
reagì condannandoli senza appello, insieme a tutto il portato
della nascente civiltà industriale, a cominciare dalla stessa
classe operaia delle città.
Ad essa contrapponeva i virtuosi contadini del buon tempo antico,
pronti a lavorare in cascina senza lamentarsi, soddisfatti del poco
che avevano e anzi grati al loro padrone, rispettosi delle gerarchie,
ligi agli autentici valori cristiani.
Con queste ferme convinzioni, ormai ottantacinquenne, sopravvissuto
alla sua stessa generazione, l’ing. Francesco Rozza si spegneva
alla fine di settembre 1898, quando la questione sociale esplodeva
drammaticamente con i moti popolari per il pane, le cannonate di Bava
Beccaris a Milano e le numerose vittime.
Angelo Montenegro
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