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scuola pubblica


ANNO 8 - N. 1 (Versione web - anno 5 n.1) NUOVA SERIE FEBBRAIO 2004

Novità e tradizione nella "Relazione" dell’abate Bovara nel 1776

La nascita della scuola pubblica
nel borgo di Sant’Angelo

Fu allestita nei locali della chiesa di Santa Marta, con i fondi
ottenuti dalla soppressione di alcune Confraternite

Nel 1714 la Lombardia era passata dal controllo della Spagna al dominio asburgico: iniziava così anche per il nostro borgo la lunga dominazione austriaca che avrebbe condotto l’Italia all’indipendenza.
Intanto, però, i nuovi padroni, l’imperatrice Maria Teresa e suo figlio Giuseppe II°, avevano le idee piuttosto chiare su come amministrare i loro domini: anzitutto riformare il sistema fiscale allo scopo di incrementarne il gettito (necessario, a tal fine, fu l’avvio del catasto teresiano); poi l’unificazione dell’impero dal punto di vista legislativo e giudiziario; quindi l’offensiva contro i diritti feudali ed il sistema corporativo ereditati dal governo spagnolo.
Ma i cambiamenti, noti come riforme teresiano-giuseppine, si estendevano anche all’amministrazione pubblica, nonché alla politica religiosa e scolastica.
Ed è proprio di questi argomenti che vogliamo parlare, entrando nel campo dei delicati rapporti tra Stato e Chiesa nella Lombardia del ‘700.
Com’è noto, Maria Teresa e Giuseppe II° aderirono ad una delle più rigorose tendenze del “secolo dei lumi”, quella del “giurisdizionalismo”, una politica volta a restringere la sfera della giurisdizione ecclesiastica per allargare quella dello Stato.
Di qui la facoltà del sovrano di nominare gli uomini di Chiesa, la soppressione dei monasteri e delle confraternite con la conseguente confisca dei loro beni.
Una volta incamerate queste proprietà, lo Stato poteva venderle e utilizzare i proventi per finanziare i servizi di pubblica utilità (in primis l’istruzione); oppure riconvertirle ad altri scopi (caserme, depositi militari).

La politica scolastica degli Asburgo in Lombardia

Fino alla metà del ‘700 nella nostra regione non esistevano scuole statali, l’istruzione era affidata alla Chiesa, la cui organizzazione prevedeva cappellanie scolastiche e scuole della dottrina cristiana che dovevano imporre sulle masse, soprattutto quelle contadine, modelli culturali e comportamentali ispirati al Concilio di Trento. La riforma teresiana si proponeva di sottrarre alla Chiesa il controllo dell’istruzione con una rete di scuole pubbliche e laiche che salvaguardassero le esigenze professionali di ogni gruppo sociale, così da fornire ad essi uno strumento di miglioramento professionale, con un ritorno, in termini di produttività, a vantaggio del singolo e dello Stato.
Dall’istruzione come strumento di formazione morale, dunque, all’istruzione come mezzo di miglioramento professionale e sociale.
E’ sulla base di questi presupposti teorici che nel 1765 venne istituita nello Stato di Milano la Giunta agli studi, un organismo che doveva svolgere indagini sulle condizioni delle scuole lombarde. Pochi anni dopo la riforma scolastica entrò nel vivo, con la creazione del Magistrato agli studi e con la nomina dell’abate Giovanni Bovara a visitatore delle scuole delle province di Cremona, Lodi e Casalmaggiore. La riforma, infatti, fu attivata in via sperimentale in queste tre province, in attesa di estenderla all’intero Stato.
L’abate Bovara aveva elaborato un organico progetto di riforma, i cui cardini erano: la selezione attraverso concorso del personale docente, l’uniformità di metodo, programmi e orari, la gratuità delle scuole, la separazione delle scuole di scrittura e lettura da quelle di rudimenti latini, l’istituzione di scuole di aritmetica superiore e di disegno professionale nelle città e nei principali borghi. Tutto ciò si sarebbe potuto ottenere con i proventi derivanti dalla soppressione di confraternite e consorzi ecclesiastici.
Al termine delle ispezioni, che nel biennio 1774-75 lo condussero nelle varie città e borghi dello Stato di Milano, il visitatore regio redasse un’ampia e dettagliata relazione sul suo operato, un documento di straordinaria importanza che testimonia la reale portata del fenomeno. In essa, infatti, non solo è possibile apprendere le soppressioni e gli accorpamenti disposti, ma anche capire quali fossero i maggiori ostacoli alla riforma, in modo particolare le resistenze delle autorità religiose e le perplessità delle popolazioni locali.

La realtà didattica della nostra borgata

A Sant’Angelo non vi era alcuna scuola pubblica, l’istruzione era affidata a tre maestri che impartivano lezioni di “leggere e scrivere”, di “conti semplici”, di rudimenti della lingua latina (limen), di Grammatica inferiore e superiore.
Essi avevano soltanto 75 alunni, a conferma che non tutti in paese avevano i mezzi necessari per accedere all’istruzione.
Ora, considerato che il borgo contava più di 5.000 abitanti, che la distanza da Lodi non era ragguardevole ma neanche del tutto irrilevante, che parte della popolazione viveva nell’indigenza, il visitatore Bovara avvertì l’esigenza di fondare una scuola gratuita per “leggere, scrivere e conteggiare”, contro il parere del Cancelliere e dei Deputati locali che non ne condividevano l’estremo bisogno. Ma con quali fondi fu possibile finanziare la prima scuola pubblica di Sant’Angelo?
Nel borgo esistevano quattro confraternite, due delle quali, quella di Santa Marta e quella del Santissimo Sacramento, erano rivali a tal punto che “lo spirito di emulazione degenerava in risse assai frequenti e sanguinose” (l’abate non era stato certo tenero con i nostri compaesani di una volta, apostrofandoli come “borghiggiani torbidi e rivoltosi”!).
Prendendo a pretesto queste “antiche discordie”, l’intraprendente pedagogista decise di sopprimere la Confraternita di Santa Marta. La scelta era pericolosa, poiché la Confraternita annoverava le persone più in vista del paese, ma si rivelò efficace: l’abolizione, infatti, avrebbe comportato la disponibilità annua di 2300 Lire, somma derivante dagli affitti di case e da altri redditi non meglio precisati. Tolte le spese relative a messe, rappresentanze e tasse (“carichi regi”), rimanevano 1150 Lire, di cui 400 destinate al maestro come compenso annuo; avanzavano così 750 Lire, che il Bovara volle fossero assegnate al parroco a titolo personale.
Era consuetudine che il parroco di Sant’Angelo percepisse dalla popolazione una decima in denaro fissata in circa 600 Lire annue, ma siccome vi era molta povertà e l’esazione risultava “importuna ed odiosa” ai parrocchiani, fu deciso di estinguerla sostituendola con l’avanzo di cui abbiamo parlato.

La fondazione della scuola nella chiesa di Santa Marta

Risolto il problema finanziario, non restava ora che pensare all’organizzazione materiale della scuola a cominciare dall’allestimento dei locali. La scelta ricadde sull’oratorio di Santa Marta, in quanto spazioso e situato a pochi passi dalla chiesa parrocchiale, “in luogo assai comodo a tutto il borgo”. Con la vendita dei grandi mobili furono sostenute le spese per adattare l’aula e per l’acquisto di banchi e altri materiali scolastici. Si venne così all’attribuzione dell’incarico, che venne affidato, previo esame del Sottocancelliere, al sacerdote Arisi, giudicato degno di questa mansione anche perché “fu il solo che presentossi”. Al parroco, invece, fu affidato l’insegnamento dei rudimenti della Dottrina Cristiana, attività retribuita sempre con i proventi della ex-confraternita (30 Lire annue).
Il metodo di insegnamento rimase quello tradizionale, basato sul rapporto individuale maestro-allievo, a scapito di quello “normale” che si stava ormai diffondendo in varie parti dell’impero. Mentre il primo occupava il maestro con un solo alunno, lasciando disimpegnati tutti gli altri, il secondo prevedeva – come oggi – la divisione degli alunni in classi consentendo ai maestri l’insegnamento simultaneo; ma comportava anche un forte controllo amministrativo sulle scuole e una rigorosa applicazione dei programmi. Scegliendo il metodo “antico”, il Bovara si espose alle severe critiche dei suoi detrattori, ma evidentemente preferì riformare con gradualità, combinando elementi tradizionali e moderni, al fine di garantire l’autonomia delle comunità locali in materia didattica.
L’opera riformatrice del Bovara non si esaurì qui, visto che dispose altresì la soppressione di altre due confraternite santangioline: quella della “Unione”, situata nell’oratorio di San Giuseppe (al Lazzaretto), e la Confraternita del Rosario, eretta in una cappella della chiesa maggiore.
L’amministrazione di tutte le rendite delle istituzioni soppresse fu assegnata al Regio Cancelliere Pandini, affiancato dal Cassiere Fedele Cantoni, giˆ priore di Santa Marta: entrambi del paese, furono giudicati degni per competenza ed onestˆ. Quanto alla riforma nel suo complesso, essa non sopravvisse al suo maggior difetto: la lunga sperimentazione; dovette infatti scontrarsi con l’ostruzionismo dell’arcivescovo di Milano e con le perplessitˆ della corte viennese, preoccupata per gli alti costi dell’operazione. Fu quindi superata dalla ben pi rigorosa sistemazione voluta da Giuseppe II¡ a partire dal 1786.
Ma a Sant’Angelo era ormai nata una scuola pubblica, laica e gratuita.
Antonio Cutillo