Novità e tradizione nella "Relazione" dell’abate
Bovara nel 1776
La nascita della scuola pubblica
nel borgo di Sant’Angelo
Fu allestita nei locali della chiesa di Santa Marta, con i fondi
ottenuti dalla soppressione di alcune Confraternite
Nel 1714 la Lombardia era passata dal controllo della
Spagna al dominio asburgico: iniziava così anche per il nostro
borgo la lunga dominazione austriaca che avrebbe condotto l’Italia
all’indipendenza.
Intanto, però, i nuovi padroni, l’imperatrice Maria Teresa
e suo figlio Giuseppe II°, avevano le idee piuttosto chiare su
come amministrare i loro domini: anzitutto riformare il sistema fiscale
allo scopo di incrementarne il gettito (necessario, a tal fine, fu
l’avvio del catasto teresiano); poi l’unificazione dell’impero
dal punto di vista legislativo e giudiziario; quindi l’offensiva
contro i diritti feudali ed il sistema corporativo ereditati dal governo
spagnolo.
Ma i cambiamenti, noti come riforme teresiano-giuseppine, si estendevano
anche all’amministrazione pubblica, nonché alla politica
religiosa e scolastica.
Ed è proprio di questi argomenti che vogliamo parlare, entrando
nel campo dei delicati rapporti tra Stato e Chiesa nella Lombardia
del ‘700.
Com’è noto, Maria Teresa e Giuseppe II° aderirono
ad una delle più rigorose tendenze del “secolo dei lumi”,
quella del “giurisdizionalismo”, una politica volta a
restringere la sfera della giurisdizione ecclesiastica per allargare
quella dello Stato.
Di qui la facoltà del sovrano di nominare gli uomini di Chiesa,
la soppressione dei monasteri e delle confraternite con la conseguente
confisca dei loro beni.
Una volta incamerate queste proprietà, lo Stato poteva venderle
e utilizzare i proventi per finanziare i servizi di pubblica utilità
(in primis l’istruzione); oppure riconvertirle ad altri scopi
(caserme, depositi militari).
La politica scolastica degli Asburgo in Lombardia
Fino alla metà del ‘700 nella nostra regione
non esistevano scuole statali, l’istruzione era affidata alla
Chiesa, la cui organizzazione prevedeva cappellanie scolastiche e
scuole della dottrina cristiana che dovevano imporre sulle masse,
soprattutto quelle contadine, modelli culturali e comportamentali
ispirati al Concilio di Trento. La riforma teresiana si proponeva
di sottrarre alla Chiesa il controllo dell’istruzione con una
rete di scuole pubbliche e laiche che salvaguardassero le esigenze
professionali di ogni gruppo sociale, così da fornire ad essi
uno strumento di miglioramento professionale, con un ritorno, in termini
di produttività, a vantaggio del singolo e dello Stato.
Dall’istruzione come strumento di formazione morale, dunque,
all’istruzione come mezzo di miglioramento professionale e sociale.
E’ sulla base di questi presupposti teorici che nel 1765 venne
istituita nello Stato di Milano la Giunta agli studi, un organismo
che doveva svolgere indagini sulle condizioni delle scuole lombarde.
Pochi anni dopo la riforma scolastica entrò nel vivo, con la
creazione del Magistrato agli studi e con la nomina dell’abate
Giovanni Bovara a visitatore delle scuole delle province di Cremona,
Lodi e Casalmaggiore. La riforma, infatti, fu attivata in via sperimentale
in queste tre province, in attesa di estenderla all’intero Stato.
L’abate Bovara aveva elaborato un organico progetto di riforma,
i cui cardini erano: la selezione attraverso concorso del personale
docente, l’uniformità di metodo, programmi e orari, la
gratuità delle scuole, la separazione delle scuole di scrittura
e lettura da quelle di rudimenti latini, l’istituzione di scuole
di aritmetica superiore e di disegno professionale nelle città
e nei principali borghi. Tutto ciò si sarebbe potuto ottenere
con i proventi derivanti dalla soppressione di confraternite e consorzi
ecclesiastici.
Al termine delle ispezioni, che nel biennio 1774-75 lo condussero
nelle varie città e borghi dello Stato di Milano, il visitatore
regio redasse un’ampia e dettagliata relazione sul suo operato,
un documento di straordinaria importanza che testimonia la reale portata
del fenomeno. In essa, infatti, non solo è possibile apprendere
le soppressioni e gli accorpamenti disposti, ma anche capire quali
fossero i maggiori ostacoli alla riforma, in modo particolare le resistenze
delle autorità religiose e le perplessità delle popolazioni
locali.
La realtà didattica della nostra borgata
A Sant’Angelo non vi era alcuna scuola pubblica,
l’istruzione era affidata a tre maestri che impartivano lezioni
di “leggere e scrivere”, di “conti semplici”,
di rudimenti della lingua latina (limen), di Grammatica inferiore
e superiore.
Essi avevano soltanto 75 alunni, a conferma che non tutti in paese
avevano i mezzi necessari per accedere all’istruzione.
Ora, considerato che il borgo contava più di 5.000 abitanti,
che la distanza da Lodi non era ragguardevole ma neanche del tutto
irrilevante, che parte della popolazione viveva nell’indigenza,
il visitatore Bovara avvertì l’esigenza di fondare una
scuola gratuita per “leggere, scrivere e conteggiare”,
contro il parere del Cancelliere e dei Deputati locali che non ne
condividevano l’estremo bisogno. Ma con quali fondi fu possibile
finanziare la prima scuola pubblica di Sant’Angelo?
Nel borgo esistevano quattro confraternite, due delle quali, quella
di Santa Marta e quella del Santissimo Sacramento, erano rivali a
tal punto che “lo spirito di emulazione degenerava in risse
assai frequenti e sanguinose” (l’abate non era stato certo
tenero con i nostri compaesani di una volta, apostrofandoli come “borghiggiani
torbidi e rivoltosi”!).
Prendendo a pretesto queste “antiche discordie”, l’intraprendente
pedagogista decise di sopprimere la Confraternita di Santa Marta.
La scelta era pericolosa, poiché la Confraternita annoverava
le persone più in vista del paese, ma si rivelò efficace:
l’abolizione, infatti, avrebbe comportato la disponibilità
annua di 2300 Lire, somma derivante dagli affitti di case e da altri
redditi non meglio precisati. Tolte le spese relative a messe, rappresentanze
e tasse (“carichi regi”), rimanevano 1150 Lire, di cui
400 destinate al maestro come compenso annuo; avanzavano così
750 Lire, che il Bovara volle fossero assegnate al parroco a titolo
personale.
Era consuetudine che il parroco di Sant’Angelo percepisse dalla
popolazione una decima in denaro fissata in circa 600 Lire annue,
ma siccome vi era molta povertà e l’esazione risultava
“importuna ed odiosa” ai parrocchiani, fu deciso di estinguerla
sostituendola con l’avanzo di cui abbiamo parlato.
La fondazione della scuola nella chiesa di Santa Marta
Risolto il problema finanziario, non restava ora che
pensare all’organizzazione materiale della scuola a cominciare
dall’allestimento dei locali. La scelta ricadde sull’oratorio
di Santa Marta, in quanto spazioso e situato a pochi passi dalla chiesa
parrocchiale, “in luogo assai comodo a tutto il borgo”.
Con la vendita dei grandi mobili furono sostenute le spese per adattare
l’aula e per l’acquisto di banchi e altri materiali scolastici.
Si venne così all’attribuzione dell’incarico, che
venne affidato, previo esame del Sottocancelliere, al sacerdote Arisi,
giudicato degno di questa mansione anche perché “fu il
solo che presentossi”. Al parroco, invece, fu affidato l’insegnamento
dei rudimenti della Dottrina Cristiana, attività retribuita
sempre con i proventi della ex-confraternita (30 Lire annue).
Il metodo di insegnamento rimase quello tradizionale, basato sul rapporto
individuale maestro-allievo, a scapito di quello “normale”
che si stava ormai diffondendo in varie parti dell’impero. Mentre
il primo occupava il maestro con un solo alunno, lasciando disimpegnati
tutti gli altri, il secondo prevedeva – come oggi – la
divisione degli alunni in classi consentendo ai maestri l’insegnamento
simultaneo; ma comportava anche un forte controllo amministrativo
sulle scuole e una rigorosa applicazione dei programmi. Scegliendo
il metodo “antico”, il Bovara si espose alle severe critiche
dei suoi detrattori, ma evidentemente preferì riformare con
gradualità, combinando elementi tradizionali e moderni, al
fine di garantire l’autonomia delle comunità locali in
materia didattica.
L’opera riformatrice del Bovara non si esaurì qui, visto
che dispose altresì la soppressione di altre due confraternite
santangioline: quella della “Unione”, situata nell’oratorio
di San Giuseppe (al Lazzaretto), e la Confraternita del Rosario, eretta
in una cappella della chiesa maggiore.
L’amministrazione di tutte le rendite delle istituzioni soppresse
fu assegnata al Regio Cancelliere Pandini, affiancato dal Cassiere
Fedele Cantoni, giˆ priore di Santa Marta: entrambi del paese,
furono giudicati degni per competenza ed onestˆ. Quanto alla
riforma nel suo complesso, essa non sopravvisse al suo maggior difetto:
la lunga sperimentazione; dovette infatti scontrarsi con l’ostruzionismo
dell’arcivescovo di Milano e con le perplessitˆ della corte
viennese, preoccupata per gli alti costi dell’operazione. Fu
quindi superata dalla ben pi rigorosa sistemazione voluta da
Giuseppe II¡ a partire dal 1786.
Ma a Sant’Angelo era ormai nata una scuola pubblica, laica e
gratuita.
Antonio Cutillo