Editoriale
Riparte la scuola, e le famiglie che fanno?
“Settembre, andiamo, è tempo di migrare” anzi no, è tempo di studiare. Di tornare a scuola magari a imparare le poesie e le tabelline. Come una volta, quando la scuola era un punto fermo, una certezza.
Questi invece sono altri tempi, i tempi della scuola che cambia non per adeguarsi alla modernità ma per seguire le onde politiche, sempre meno punto fermo, sempre più bandiera al vento.
La scuola dei debiti e dei crediti scolastici, tali da far rimpiangere i temuti esami di riparazione dopo le vacanze, la scuola del bullismo autocompiaciuto tra gli studenti (e filmato al cellulare), ma anche la scuola dei genitori, talora inconsapevoli o, peggio, accondiscendenti ad una tale indisciplina, la scuola di vulnerabili figure di presidi e professori.
Questo, perlomeno, quanto ci deriva da una televisione in cerca di notizie, che quando non ne trova, ci ricama un po’ sopra.
Ma il ribaltamento dell’immagine dell’istituzione scolastica, come di altre, ricercato un po’ per audience in questi ultimi mesi, non ci autorizzi a sputare fango su di esse. Le critiche servono per migliorare, e se queste da una parte hanno smosso un po’ le acque sui problemi di sempre, dall’altra, forse, le hanno fatte straripare.
Ci si faccia allora un esame di coscienza, col pensare innanzitutto che l’istruzione è un bene prezioso, che nonostante gli innumerevoli pro e contro, in Italia vuole essere ancora garantito.
Noi e i nostri ragazzi, in linea di massima, la possibilità di scegliere cosa studiare l’abbiamo avuta, l’abbiamo ancora e, rispetto ai paesi un po’ meno fortunati, l’abbiamo già.
Un altro anno è iniziato e sarebbe tempo che agli “inboccallupo” di rito, ci si augurasse non solo la morte dello sfortunato quadrupede, ma anche di fare al meglio il proprio dovere. Questo, innanzitutto, nel rispetto di chi cerca di farlo ogni giorno, in un contesto dove ai propri figli, probabilmente, sembra che il benessere sia solo dovuto.
Preso atto di questo, pazienza se qualcuno continua a dipingere i giovani come una massa informe e allo sbando. Noi sappiamo che la maggior parte di essi è ricca di potenzialità che guardano al futuro.
La scuola ha la responsabilità di scoprirle, ad ogni età, nel suo significato più vero dell’educare, cioè del condurle fuori dagli individui, nella possibilità di farli scegliere per il bene di sé stessi e degli altri, nella società in cui viviamo.
Una sfida per la costruzione di veri cittadini, uomini pronti a rispondere in modo attivo al continuo cambiamento delle rivoluzioni globali tuttora in corso. L’una, quella dell’immigrazione, che necessita ancora di una risposta concreta dalle scuole, possibile solo con un personale adeguato. L’altra, quella telematica, più veloce di quanto le giovani menti riescano ad ammortizzarla, e tale da non far comprendere nemmeno la funzione stessa delle nuove tecnologie, alle volte in mani sbagliate. Ne deriva che la scuola, oggi più che mai, debba educare a un’etica dell’utilizzo di questi strumenti, da acquisire prima di tutto.
Il resto, e non è poco, rimanga compito dei genitori, che però devono aprirsi al vero dialogo con le figure preposte alla funzione educativa. Sono loro in testa alla classifica, con la fila dietro che si passa la “patata bollente” finché al punto giusto, sarà pronta al nutrimento della comunità.
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